Francesco Spini per “la Stampa”
ALESSIO BUTTI GIORGIA MELONI
Non un romanzo, una soap opera: sembra sempre all'ultima puntata ma poi la trama si complica e tutto torna in alto mare. Ora, sulla rete in fibra ottica che deve portare l'Internet superveloce ai cittadini, siamo all'ennesimo snodo. Quando la soluzione sembrava a portata di mano e l'offerta della Cassa Depositi e del fondo Macquarie, attraverso la loro Open Fiber, pronta per partire, il nuovo governo ha detto stop.
Ricominciando sostanzialmente il lavoro dal punto di partenza. Era atteso per oggi l'avvio dei tavoli con i principali attori di questa vicenda, a cominciare dai principali azionisti di Tim - come Vivendi e la stessa Cdp - ma le convocazioni stentano a partire. Nel Palazzo si ragiona sul da farsi e si tiene aperto il canale con Bruxelles con l'obiettivo di non commettere passi falsi per creare una rete nazionale, non più unica (Open Fiber sulle prime rimarrebbe com' è), ma «wholesale only» (separata dai servizi ai privati) e a controllo pubblico.
PIETRO LABRIOLA
Tante le ipotesi sul tavolo. Scartata l'Opa totalitaria, si ragiona su un'Opa parziale da parte di un soggetto pubblico, fino allo «spin-off» della rete con la scissione proporzionale del titolo tra rete e servizi con i medesimi azionisti, salvo poi redistribuire i pesi, per dare rete allo Stato e servizi ai privati. Si vuole creare una rete limitata alle aree rurali (dove però Open Fiber ha vinto le gare) e che lasci la concorrenza nelle zone più ricche.
Più che una rete, un sudoku.
Dal piano Rovati a Open Fiber
ROMANO PRODI ANGELO ROVATI
Di separazione della rete si parla fin dal 2006, appena otto anni dopo la privatizzazione di Telecom Italia. In autunno viene alla luce un piano firmato da Angelo Rovati, consigliere economico dell'allora premier Romano Prodi, che prevedeva la scissione dell'infrastruttura.
L'opposizione di centro-destra si solleva e accusa l'esecutivo di ingerenza su un'azienda privata. Il piano provoca un cataclisma ma apre un genere: lo scorporo della rete, anche per sopperire a una privatizzazione decisa troppo in fretta. Il film, per così dire, ha successo e i sequel si moltiplicano. Protagonista più o meno sempre lei: la Cdp. A lavorare per separare la rete saranno in tanti.
ALESSIO BUTTI GIORGIA MELONI
Lo fa Franco Bernabè (accanto a lui quello che sarebbe in seguito diventato l'attuale ad di Tim, Pietro Labriola). A giugno 2013 annuncia: senza intoppi la rete scorporata sarà operativa «entro fine anno», per poi cederne un pezzo a Cdp. L'intoppo però arriva e si chiama Telefonica, nuova grande azionista.
Siamo nel 2014 e pochi anni dopo, giudicando insufficienti gli investimenti di Tim, entra in campo la politica. Nel 2015 Matteo Renzi, da capo del governo, firma la regia della nascita di un secondo operatore di infrastruttura, Open Fiber, che all'inizio ha due soci paritetici, Enel e Cdp.
AMOS GENISH
«Hanno voluto creare concorrenza laddove c'era un monopolio naturale: come costruire due autostrade tra Roma e Milano. Una o entrambe rischiano di non stare in piedi», fa notare un autorevole addetto ai lavori. Nel mentre la concorrenza tra operatori di servizi è sempre più serrata, la marginalità diminuisce. Per questo il tema della rete - per creare valore per gli azionisti valorizzando le singole parti - riemerge. Ci provano tutti i grandi azionisti di Tim, Elliott dapprima, se ne convince infine anche Vivendi che prende il posto di Telefonica. Ci lavorano Amos Genish e Luigi Gubitosi. Invano.
luigi gubitosi
Il memorandum saltato
Gubitosi ha fretta di fare cassa per abbattere il debito. Dapprima separa una parte di rete, quella secondaria, in Fibercop dove per 2 miliardi imbarca il fondo Kkr, che più tardi proverà a promuovere un'Opa su Tim senza arrivare a lanciarla. Ma la "rete unica", l'idea di riunire l'infrastruttura di Open Fiber sotto il cappello dell'ex monopolista non marcia anche perché non convince l'Europa.
Uscito Gubitosi, Labriola e il cda - rifiutando di far vedere le carte a Kkr che così accantona l'Opa - riprovano la via del memorandum of understanding con Open Fiber e i suoi azionisti Cdp (60%) e Macquarie (40%). L'idea è sempre la rete unica, ma fuori dal controllo di Tim. Cdp è pronta a offrire 17-19 miliardi, Vivendi ne chiede 31.
Si rischia lo stallo ma prima ancora che parta il confronto ecco il nuovo governo Meloni ferma tutto. Al sottosegretario Alessio Butti, al ministro delle Imprese Adolfo Urso e al ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti tocca trovare una nuova soluzione, mentre i fondi - Kkr in testa - tornano ad affacciarsi.
open fiber 3
Nel frattempo dentro Tim nessuno ha voglia di scherzare con 30 miliardi di debito lordo (25 netti), ebitda in caduta e 900 milioni di cassa bruciati ogni anno, come ha scritto il Sole 24 Ore. Le agenzie di rating hanno già declassato il debito di Tim. Cosa accadrà quando si tratterà, a metà 2024, di rifinanziare il debito, quando il mercato, in fase ribassista, chiede tassi sempre crescenti per sottoscrivere un bond? Anche per questo si può dire, come spiega un analista, che «i due punti non si possono più disunire: il salvataggio di Tim, e di un settore che non può più reggere livelli di investimento troppo gravosi, passa dalla soluzione della rete». Entro fine anno il governo ha promesso una soluzione, scopriremo se saremo all'ennesima penultima puntata.
ANGELO ROVATI henry kravis FRANCO BERNABE' ARNAUD DE PUYFONTAINE open fiber 5 PIETRO LABRIOLA franco bernabe AMOS GENISH PIETRO LABRIOLA