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    IL CINEMA DEI GIUSTI - SONO PAZZI QUESTI AMERICANI A STILARE PARAMETRI DI INCLUSIONE E DIVERSITÀ PER POTER CANDIDARE UN FILM ALLA VITTORIA COME BEST MOVIE ALL’OSCAR? SONO TROPPO POLITICAMENTE CORRETTI? E’ UN MALE? UN BENE? CREDO CHE SIA ANCHE UNA MODA. CERTO CHE LE REGISTE DONNE, IN GENERALE, HANNO PIÙ STORIE DA RACCONTARE. PECCATO CHE POI L’81% DEI GIURATI SIA COMPOSTO DA BIANCHI E IL 67% DA MASCHI…


     
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    Marco Giusti per Dagospia

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    Sono pazzi questi americani a stilare parametri di inclusione e diversità per poter candidare un film alla vittoria come best movie all’Oscar? Sono troppo politicamente corretti? E’ il nuovo Codice Hays visto, diciamo, da sinistra? Da #OscarsSoWhite a #OscarsSoBlack o SoLGBT? “Avete perso la testa”, tuona Kirstie Alley, “sarebbe come chiedere a Picasso di dirgli cosa dipingere”.

     

    Ma con uno sguardo più attento e la testa più lucida vi accorgerete subito che questa non è proprio una rivoluzione, perché, e lo dimostrano le 22 nomination agli Emmy per la serie “Watchmen” e la OscarRace iniziata proprio in questi giorni a Venezia con due film, “Nomadland” di Chloe Zhao e “One Night in Miami” di Regina King, diretti appunto da due donne, una asiatica e una nera, il cambiamento è iniziato già da parecchio nel cinema americano.

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    “E’ come la celebre frase del “Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa”, mi dice Luca Guadagnino, forte di una candidatura come best movie con “Chiamami col tuo nome” e una pagina incredibile sul New York Times per la sua nuova serie sulla diversità “We Are Who We Are” che sta uscendo in America e tra un mese arriverà su Sky, “Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi”. E’ già così, svegliatevi. “Non mi sembra niente di rivoluzionario, è la fotografia dell’esistente”.

     

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    Basta scorrere i grandi successi pre-Covid-19, “Black Panther”, “Wonder Woman”, film con incassi mostruosi diretti da neri e da donne. O il “Mulan” della Disney, appena uscito in Cina. Ancora meglio se sono diretti da donne nere, come “The Old Guard” firmato da Gina Prince-Bythewood, un film modestissimo, ma che tutti i critici hanno trattato anche con troppo rispetto per paura di non sembrare maschi reazionari.

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    In questo contesto, vedrete domani sera alla serata della premiazione a Venezia, una giuria senza giurati neri, ma capitanata da Cate Blanchett, come tratterà la storia romantica fra due donne “The World To Come” di Mona Fastvold con la coppia esplosiva Katherine Waterston e Vanessa Kirby o “Nomadland” di Chloe Zhao, che ha già diretto un superkolossal Marvel, con il John Wayne di tutte le spettatrici Frances McDormand.

     

    Ma anche i due film italiani diretti da donne “Le sorelle Macaluso” di Emma Dante con un cast tutto al femminile e “Miss Marx” di Susanna Nicchiarelli. Ciao, maschi!

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    Servono a poco, quindi, le indicazione, più che assurde ovvie, dell’Academy, che dispone che dal 2022 almeno due delle quattro nuove regole per la candidatura a Best Movie. Peccato che poi l’81% dei giurati sia composto da bianchi e il 67% da maschi.

     

    Ma il cinema americano, sia per quanto riguarda i film da Oscar che per le grandi serie e produzioni ha già da tempo dato il via a questo tipo di cinema politicamente corretto. E’ un male? Un bene? Credo che sia anche una moda.

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    Certo che le registe donne, in generale, hanno più storie da raccontare, dopo anni di oppressione maschile e di scarsa o nulla visibilità, e hanno, proprio per questo, una maggior carica rispetto ai registi maschi.

     

    Almeno a vedere i film da festival di questi ultimi anni. Già l’anno scorso a Cannes, dove pur vinse “Dolor y gloria” di Pedro Almodovar, un film per vecchi cinefili maschi malaticci, dominarono la scena critica coi premi maggiori “Atlantique”, opera prima di Mati Diop, che quest’anno ha presentato a Venezia un bellissimo corto di 20 minuti prodotto da Miu Miu, il film sulla rivoluzione nera nelle banlieu parigine “Les Miserables”, opera prima di Lady Ly, maschio e nero, “ Ritratto di donna tra le fiamme” di Celine Sciamma, e il film brasiliano anti-americano “Bacurau” di Kleber Mendonça Filho.

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    Venezia, dopo le dure critiche dei giornali americani di un anno fa riguardo al poco spazio dato alle registe donne, ha dovuto (o voluto?) riparare alla cosa chiamando in concorso ben otto film diretti da donne, oltre al premio a Tilda Swinton e a Cate Blanchett presidente della giuria.

     

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    Quindi, di cosa stiamo parlando? Sperando, però, che questo nuovo corso non significhi, anche in Italia, dare soldi alle registe donne solo perché donne anche quando non hanno nulla da dire. Meglio non fare nomi e cognomi, per carità. In un paese, il nostro, dove il mercato è però dominato da film di maschi con solo protagonisti maschi. Maschi amici, moschettieri, fancazzisti, poliziotti, banditi, ma sempre maschi. “Quanto alle regole sul set sulla stessa paga e gli stessi diritti per tutti”, mi dice ancora Luca, “io sui set dei miei film le ho sempre rispettate, da anni.” Cosa che non credo sia così rispettate sui set dei film italiani dominati da registi e produttori maschi. 

     

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