giorgio arlorio
Marco Giusti per Dagospia
Se ne va Giorgio Arlorio, 90 anni, ultimo rimasto dei grandi sceneggiatori italiani degli anni ’60. Scrisse un capolavoro comico come Crimen di Mario Camerini, i maggiori film di Gillo Pontecorvo, Queimada e Ogro, e di Nanni Loy, Il padre di famiglia, ma collaborò un po’ con tutta la sinistra cinematografica del tempo.
Non solo. Sotto contratto per Goffredo Lombardo alla Titanus lavorò, spesso anonimamente, sia per il cinema alto che per quello basso e bassissimo. Al punto che fu lui a risollevare la Titanus dal disastro de Il Gattopardo ideando I figli del Leopardo con Franco e Ciccio e poi il film corale Il giorno più corto, sempre con Franco e Ciccio, Totò, e tutte le stelle della produzione. Ma lavorò molto anche nel cinema d’avventure, scrisse L’arciere delle mille e una notte per Antonio Margheriti e Zorro per Duccio Tessari nella versione con Alain Delon.
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Seppe anche mischiare i generi e unire ad esempio comicità a giallo, come nel suo capolavoro, Crimen, che dette vita a un genere a parte tanto che ne venne fatto anche un remake in America, o usare la commedia per discorsi molto seri sulla nostra società e le differenze di genere. Come dimostra La patata bollente diretto da Steno e interpretato da Renato Pozzetto e Massimo Ranieri, in realtà finissimo film italiano sull’omosessualità e la classe operaia, addirittura la classe operaia comunista, presentato come commedia sexy.
il padre di famiglia
Lì Pozzetto, operaio milanese di sana fede PCI, è appena tornato da Mosca, si ritrova in casa un libraio omosessuale, Massimo Ranieri, e deve affrontare il problema. Non solo con i suoi compagni, ma anche con la bonissima fidanzata Edwige Fenech, che si ritrova a un certo punto tradita per un maschio. Lo stesso principio di costruzione di racconto lo ritroviamo nel grande film di Nanni Loy Il padre di famiglia, con Nino Manfredi, Leslie Caron e Ugo Tognazzi, che prese il posto di Totò, morto praticamente dopo aver girato poche scene.
Anche lì, a dispetto del titolo, il padre di famiglia si rivela ben presto la donna, Leslie Caron, moglie e madre che si ritrova mandare avanti da sola tutta la casa e la pesante famiglia. Tutto questo in anni dove poco si parlava, anche a sinistra, dei problemi delle donne. Ma Arlorio scrisse anche con Franco Solinas il bellissimo soggetto di uno spaghetti western rivoluzionario come Il mercenario, pensato per Gillo Pontecorvo e poi diretto da Sergio Corbucci, un film adorato da Quentin Tarantino e da tutti i fan del genere, vero manifesto del tortilla western.
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Torinese, nato nel 1929, Arlorio era entrato nel cinema molto presto come assistente per film come Puccini, Totò e Marcellino, I due compari, per poi stabilirsi a Roma alla Titanus. Sembra che abbia collaborato, con revisioni di sceneggiature a decine e decine di film. Simpatico, intelligente, ha dato consigli a mezzo cinema italiano e ha pure recitato in film come I sovversivi dei Taviani, dove è uno dei protagonisti assieme a Lucio Dalla, La bambolona di Franco Giraldi con Ugo Tognazzi e Il rapporto di Lionello Massobrio. Nella pubblicità ha lavorato per anni ai soggetti dei caroselli della birra con Ugo Tognazzi prodotti dalla Recta Film, cioè Vittorio Carpignano, e diretti da tanti registi diversi.
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