hamas
Estratto dell’articolo di Lorenzo Cremonesi per il “Corriere della Sera”
[…] Jihad o Hudna: guerra santa ad oltranza, oppure compromesso politico? Sin dalla sua nascita nel dicembre 1987, durante il periodo iniziale della prima Intifada (la grande rivolta palestinese in Cisgiordania e Gaza), i leader fondamentalisti di Hamas hanno ambiguamente ondeggiato tra gli appelli alla militanza più estremista e la possibilità di negoziare un accordo con lo Stato di Israele. […] Hamas prendeva le distanze dai «concorrenti» nazionalisti laici dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, mischiando Islam e militanza nel puro stile dei Fratelli Musulmani.
soldati israeliani
Ma quando poi dai suoi quadri dirigenti emerse la possibilità di una «Hudna», che nel vocabolario fondamentalista sta per «tregua», […] fu anche evidente che stava maturando un ragionamento sull’eventualità di una formula di coesistenza tra Stato palestinese e Israele. La spinta si rafforzò brevemente dopo la vittoria elettorale di Hamas a Gaza nel 2006. Il 21 aprile 2008 l’allora leader più importante del movimento, Khaled Mashaal, incontrando l’ex presidente americano Jimmy Carter a Damasco tornò pubblicamente ad offrire «una Hudna di 10 anni», lasciando capire che avrebbe potuto preparare qualche cosa di più stabile.
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Ma fu il nulla di fatto […] Oltre la «Hudna» Alla luce di questi precedenti storici ormai trentennali vanno lette le recenti dichiarazioni di alcuni tra i massimi quadri politici di Hamas nel Qatar. Due giorni fa è stato il 72enne Moussa Abu Marzouk, vicepresidente dell’ufficio politico, ad andare addirittura oltre le aperture del passato giungendo a parlare non di Hudna, bensì di pieno riconoscimento dell’esistenza dello Stato di Israele in cambio del ritiro integrale di quest’ultimo dai territori occupati nella guerra del 1967.
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[…] Subito dopo si è aggiunto Ismail Haniyeh, suo capo all’ufficio politico, a ribadire che pensare di governare Gaza senza tenere conto di Hamas resta una «mera illusione» e che comunque la guerra potrebbe finire domani se Israele aprisse al negoziato. Sono dichiarazioni che vanno contestualizzate in relazione ai rapidi sviluppi sul campo seguiti al terrificante eccidio commesso da Hamas il 7 ottobre.
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DOPPIOPETTO IN QATAR
[…] Gli ultimi sondaggi inoltre parrebbero testimoniare la tenuta della popolarità del movimento islamico tra la gente di Gaza e la sua crescita in Cisgiordania a scapito dell’Autorità palestinese governata da Mahmoud Abbas.
C’è infine da non sottovalutare lo scontro interno tra l’anima militare del movimento, diretta col pugno di ferro nei tunnel di Gaza da Yahya Sinwar, e i politici in doppiopetto nei grandi alberghi del Qatar. Non sappiamo quanto le due parti davvero comunichino tra loro, ma nel recente passato sono emerse incongruenze e divisioni: c’è chi sostiene tra l’altro che Haniyeh neppure fosse al corrente dei preparativi per l’attacco del 7 ottobre e oggi si veda costretto a cercare di gestirne le conseguenze.
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Va anche aggiunto che in Israele nessuno oggi prende in considerazione le offerte di dialogo che arrivano dai jihadisti a Doha. Il Jerusalem Post titola sulla non credibilità dei «ciarlatani» di Hamas. Abu Marzouk è accusato di fare un «gioco delle parti fintamente moderato» volto a confondere le acque per guadagnare tempo e cercare credibilità internazionale. […]
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