Aldo Grasso per il "Corriere della Sera" - Estratti
carlo conti
Alla notizia che Carlo Conti avrebbe condotto il prossimo Festival di Sanremo le prime espressioni affiorate nella mente sono state queste: «usato sicuro», «l’eterno ritorno dell’identico», «il futuro della Rai guarda sempre al passato».
Del resto, è difficile scrivere qualcosa di nuovo su Carlo Conti: non solo perché è uno stakanovista del video, non solo perché è la perfetta incarnazione della tv del rimpianto (specchio riflesso di un senso di stagnazione che si contagia dal «paese reale» alla tv), ma perché, altro luogo comune, è l’uomo per tutte le stagioni.
L’intrattenimento di Rai1 è ormai votato a uno sguardo sempre rivolto al passato. Come se avere di fronte un pubblico di una certa età significasse automaticamente abdicare al tentativo di inventarsi qualcosa di nuovo, di ragionare su contenuti più attuali, di dimostrare di conoscere la tv.
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carlo conti tali e quali
Carlo Conti è l’ultima certezza rimasta a Viale Mazzini, prima di rassegnarsi a Pino Insegno. È la perfetta raffigurazione del ritratto dei nostri limiti e, paradossalmente, proprio per questi limiti, lo spettatore avverte la sincera possibilità di essere al suo posto.
Alcuni considerano Carlo Conti il classico conduttore senza qualità, un format dentro un format, un perfetto e simpatico automa incaricato di animare quel presepe meccanico che è la nostra televisione. Per me, l’ho già scritto, è il presentatore ideale della tv del rimpianto, della tv della nostalgia, della tv fossile, di una tv che da tempo ha deciso di non fare più i conti (i Conti?) con il suo avvenire: come se i Jalisse vincessero ogni anno il Festival di Sanremo.
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