Aldo Grasso per il “Corriere della Sera”
il collegio
«Cosa significa l' espressione "sbarcare il lunario"?». Era una delle domande per essere ammessi al Collegio e la risposta di un ragazzo ha del geniale: «Atterrare sulla luna». È iniziata così la quarta stagione del docu-reality (tratto dal format «You' ll Teach Them») divenuto un fenomeno di costume tra i giovanissimi e gli adolescenti, dopo l' exploit di ascolti delle prime tre stagioni ambientate nel 1960, 1961 e 1968.
L' anno del «ritorno al passato» è il 1982, quello dei Mondiali di Spagna: i venti nuovi collegiali sono costretti a vivere fra le vetuste pareti del Convitto di Celana di Caprino Bergamasco. Il preside è sempre Paolo Bosisio, già professore di discipline teatrali alla Statale di Milano.
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Il salto è sempre lo stesso: passare dal mondo dei social a un mondo disconnesso. Al primo impatto, si è assaliti da una sorta di sconforto antropologico: i ragazzi e le ragazze sembrano solo ignoranti, credono che Gabriele D' Annunzio sia un famoso estetista (però, non male come definizione), egoisti, mammoni, ossessionati dai vestiti e dalle mode (tutti viaggiano con il deodorante, perché?), ribelli, isterici di fronte al taglio dei capelli. Poi, però, col procedere della storia e del montaggio (il lavoro alla moviola è fondamentale), i collegiali mostrano tutte le loro fragilità, si confessano e attraverso il tema in classe denudano i loro sentimenti: dovevano spiegare cosa rappresentino per loro le parole benessere e malessere.
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Il collegio è davvero un format molto riuscito e anche se i ragazzi cominciano ad avere una qualche coscienza linguistica in più rispetto alle prime edizioni (lo affrontano come se fosse L' Isola dei famosi ), la costruzione narrativa riserva sempre piacevoli sorprese. Ancora una volta, la figura peggiore tocca ai genitori, felici delle stramberie dei figli, completamente piegati al loro servizio. A loro farebbe bene il collegio!
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