Riccardo Staglianò per “il Venerdì di Repubblica”
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Tre minuti senz’aria, tre giorni senz’acqua, tre settimane senza cibo. Sottinteso: quanto si sopravvive. La cabala del tre, a quanto pare, è un mantra per ogni finlandese adulto.
La ripete, a vantaggio dell’imbelle circo mediatico straniero, Petri Parviainen, capo del dipartimento cittadino di Difesa civica, durante una visita guidata del rifugio sotterraneo di Merihaka, nel centro della capitale.
Da sopra non sospetti niente: una piccola struttura di vetro e acciaio che annuncia un parcheggio e un centro sportivo. Ma scendendo cinque piani di scale, a una ventina di metri sotto terra, capisci che quegli stessi spazi collegati da lunghi corridoi hanno una doppia vita.
In tempo di pace, calcetto, floorball, un hockey su pista senza pattini né protezioni, e ricovero per auto. In tempo di guerra, rifugio per seimila cittadini, con imponenti doppie porte in acciaio da quindici centimetri pronte a chiudersi e sigillare fuori anche un eventuale attacco chimico.
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Evenienza che, dalla Guerra d’inverno del ‘39 contro i sovietici (quando cominciarono a costruire cinquemilacinquecento shelter cittadini, i rifugi), non si è mai presentata. Ma ciò non impedisce che gli helsingiensi da ottant’anni li tengano lindi e pinti come se potesse accadere domani.
Un’apparente ossessione che l’invasione dell’Ucraina ha promosso a inveterata saggezza. «Il sistema è pensato affinché entro tre giorni», continua in un inglese sassoso Parviainen, «tutta la città possa traslocare sotto».
In verità l’Helsinki underground, quanto a capienza emergenziale, è grande una volta e mezzo quella sopra il livello della strada, dal momento che gli abitanti sono 650 mila e i posti totali 900 mila. Hanno pensato anche a visitatori e turisti.
SIAMO PRONTI DA OTTANT’ANNI
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Il Kokonaisturvallisuus, “sicurezza onnicomprensiva”, è come qui intendono la preparedness inglese, un concetto così anti-italiano che da noi ha bisogno di due parole: essere preparati.
Per i finlandesi è una seconda pelle. Che milletrecentoquaranta chilometri di confine con la Russia ha ispessito. «Come piccola nazione abbiamo imparato dalla Seconda guerra mondiale la lezione di difenderci da soli. È la nostra assicurazione sulla vita» riassume il capo del Comitato di sicurezza nazionale Petri Toivonen, nel seminterrato di un palazzo governativo sulla bella Esplanadi da poche settimane liberata dalla neve.
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Capelli a spazzola, eloquio efficientista, il colonnello illustra le funzioni vitali della società (leadership, attività internazionali, difesa, sicurezza interna, economia, capacità funzionale della popolazione, resilienza psicologica) come altrettanti lati di un diamante che va protetto tutto insieme, tutti insieme.
In altre parole il suo ufficio deve garantire che, in caso di crisi, il Paese continui a funzionare. Quattro volte all’anno un campione selezionato della società partecipa ai Corsi di difesa nazionali e regionali: «Militari, manager di grandi imprese, amministratori pubblici, insegnanti e così via che, per quasi quattro settimane (una sola per i regionali), invece di andare al lavoro partecipano a lezioni, simulazioni, esercitazioni su cosa fare se qualcosa andasse gravemente storto».
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Una quarantina di persone per classe che diventano poi una specie di famiglia allargata con cui si resta in contatto per tutta la vita. Un po’ come il servizio militare, se la naja prevedesse “richiami” tutti gli anni, magari anche di un solo giorno, per fare il punto della situazione. Non versante rimpatriata, piuttosto coté ripasso.
DUE MILIARDI EXTRA PER L’ESERCITO
D’altronde, pur famosi sin qui per la loro necessitata neutralità, i finlandesi hanno uno degli eserciti più ampi rispetto alla popolazione (280 mila soldati su 5 milioni e mezzo di abitanti: diventano 900 mila considerando i riservisti) e sicuramente uno dei più tecnologicamente attrezzati.
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«La nostra è l’artiglieria da campo più grande d’Europa e siamo gli unici nei Paesi nordici ad avere missili di precisione di lunga gittata in tutte le divisioni» rivendica davanti a un caffè il generale Jarmo Lindberg, a lungo Capo di stato maggiore.
Fiero, per il passato, che il suo governo non abbia cancellato la leva obbligatoria ai tempi della dissoluzione dell’Urss e che, per i prossimi tre anni, abbia stanziato due miliardi extra per la Difesa. La minaccia russa qui non è un’astrazione geopolitica, ma una pagina dell’album dei ricordi.
Nel caso di Lindberg, un nonno morto sul fronte orientale e un padre orfano dodicenne evacuato prima in Danimarca e poi in Svezia, «proprio come i rifugiati ucraini di oggi». Non gli viene difficile empatizzare. E trasformare il titolo dell’auto-biografia del fondatore di Intel Andrew Grove, Only the Paranoid Survive, in un catechismo laico.
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SCORTE D’EMERGENZA
Che trova nell’Agenzia nazionale per le forniture d’emergenza (Nesa) una delle principali fonti di dottrina. «La legge prevede di tenere scorte, energetiche, di cibo o di altre necessità essenziali, per almeno sei mesi. Ma spesso ne abbiamo per un anno» spiega via Zoom, azzoppato da un sospetto Covid, il suo direttore della pianificazione Axel Hagelstam.
Parla di silos di grano che, se non ne arriva più da Kiev e Mosca, consentono all’industria alimentare di andare avanti come prima («Funzioniamo da cuscinetto: se di colpo manca qualcosa lo comprano da noi. Nell’attesa di trovare fornitori alternativi»). Così, mentre il resto del mondo ha gli incubi sul 2022, «noi cominceremo a preoccuparci dal 2023».
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Anche qui, non si tratta di linee guida o generiche aspirazioni. Ognuno dei settantacinque dipendenti dell’agenzia ha una specialità, e ogni settimana verifica il grado di preparazione dei relativi settori: «L’acido urico per smaltire gli esausti del diesel, per esempio, o i fertilizzanti arrivano dalla Russia. Se vengono a mancare, i ministri competenti devono sapere chi chiamare per rimediare. Ecco, noi sappiamo chi chiamare».
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E hanno anche 2,3 miliardi di euro di soldi da spendere, su decisione individuale del capo dell’agenzia, per ogni emergenza. Una via di mezzo tra Arcuri e Figliuolo, ma senza polemiche né contestazioni, ché qui gli scandali pubblici sono più rari delle giornate di sole.
DIFESA COMUNE EUROPEA? NO, GRAZIE
D’altronde questa è una città che ha i parcheggi per i monopattini e dove se attraversi a piedi col rosso una strada deserta ti guardano con la riprovazione che noi riserveremmo a un molestatore seriale.
Quanto al versante militare, né lui né il generale Lindberg credono che la difesa comune europea possa essere una vera alternativa all’Alleanza atlantica cui, proprio in quei giorni, il Paese ha chiesto di aderire: «I piani di emergenza sono ciò che la Nato fa meglio e non avrebbe senso duplicare quelle funzioni a Bruxelles».
soldati finlandesi
Prima dell’invasione dell’Ucraina, solo un quinto dei finlandesi voleva entrarvi, ora tre quarti. «C’est pire qu’un crime, c’est une faute», è peggio di un crimine, è un errore, il celebre commento su un gratuito omicidio politico in epoca napoleonica, sembra applicarsi perfettamente alla strage putiniana.
LO SHELTER NELLA ROCCIA
Torniamo nel sottosuolo. La circostanza che questo rifugio sia scavato in uno strato roccioso vecchio «un miliardo e 800 milioni di anni» conferisce al tutto un certo gusto cavernoso. L’85 per cento dei rifugi sono privati, ogni palazzina ha il suo.
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Merihaka può ospitare seimila persone, con duemila posti letto, intesi come lettini a castello tripli in alluminio e plastica verde, che bastano per tutti considerando che i rifugiati dovranno alternarsi in tre turni di otto ore l’uno di guardia, assistenza psicologica ai traumatizzati, giochi coi bambini, gestione dei rifiuti (i bisogni si fanno in wc a secco che vanno svuotati).
Ognuno saprà cosa fare, pur non avendolo sin qui mai fatto, perché tantissimi sono i volontari che si addestrano a gestire scenari catastrofici, dal Covid a Putin. Ogni primo lunedì del mese, a mezzogiorno, testano che il segnale d’allarme nazionale funzioni, via sirene, mail e app governative. Niente a che vedere con le nostre fantozziane esercitazioni antincendio.
TONNO E BARRETTE PROTEICHE
«Ma queste rocce resisterebbero anche a un bombardamento? chiede un giornalista inglese. «Sì» risponde Tomi Rask, un imperturbabile istruttore delle difese civiche cittadine, per poi rettificare: «Almeno fino a un certo punto».
vladimir putin
Spiega il sofisticato sistema di filtraggio e aerazione a pressione negativa, come quella nelle sale operatorie, per tenere fuori eventuali gas nervini o altre armi biologiche, «almeno fino a un certo punto».
L’invasione dell’Ucraina ha cambiato i vostri preparativi? «No, non ci sono minacce dirette contro di noi: siamo pronti come lo siamo sempre stati». Se, Dio non voglia, un giorno ci dovesse essere bisogno, le barriere di plastica che delimitano i campetti e le porte con tanto di reti potranno essere stoccate in aree apposite, lasciando tutto lo spazio alle persone.
SANNA MARIN
Ci sono riserve d’acqua per andare avanti per qualche settimana. Manca solo il cibo, però ogni buon cittadino è tenuto ad avere provviste per tre giorni per tutta la famiglia. È tutto spiegato in 72hours.fi, il sito governativo dove potete ripassare la lista della spesa del buon prepper (tonno e legumi in scatola, frutta secca, barrette proteiche) che insegna anche come sigillare le finestre in caso di catastrofe ambientale.
I medici militari hanno la golden hour come lasso di tempo in cui intervenire per salvare i feriti in guerra. I confinanti dei russi 72 ore per acquattarsi, valutare la minaccia e rispondere.
Senza panico, almeno sulla carta. Estote parati, come nel motto scout. Le fortezze Bastiani di Helsinki sono pronte da otto decenni e sperano solo di poter continuare a scrutare l’orizzonte. Come con ogni assicurazione sulla vita, chi la stipula spera che sia riscossa il più tardi possibile. Tendenzialmente mai.