Estratto dell’articolo di Danilo Ceccarelli per “La Stampa”
Gerard Biard - charlie hebdo
La mattina di quel 7 gennaio del 2015, Gérard Biard non era in redazione. Il caporedattore di Charlie Hebdo era in viaggio a Londra mentre i fratelli Kouachi entravano negli uffici del settimanale satirico francese con i fucili spianati. Ben 12 persone persero la vita durante quei giorni, in una strage che diede inizio ad una stagione di attentati islamisti in un Paese rimasto profondamente segnato da quel periodo.
Un incubo che resta e continua a farsi sentire, soprattutto dopo il recente attentato di Arras, dove un ventenne originario del Caucauso ha ucciso un insegnante a coltellate. «Ci si abitua a tutto, ma ogni volta che avviene un fatto simile tornano in mente certi brutti momenti», spiega Biard parlando dell'atmosfera che regna nel giornale quando arriva una notizia simile. […]
hamas
Signor Biard, in Francia e nel resto d'Europa sembra essere tornata la minaccia terroristica, con un conseguente innalzamento dei livelli di sicurezza. Come incide questa situazione sulla libertà di espressione?
«Ogni volta che in Francia avviene un attentato si ha il riflesso di abbandonare alcuni dei nostri valori credendo che questo porti a più protezione. Lo stesso vale per la sicurezza: se ne aumenta il livello fino a minacciare le libertà individuali. Questo è molto pericoloso. È vero che lo Stato deve proteggere i cittadini ma è necessario mantenere un equilibrio».
E sull'attività di Charlie Hebdo?
«Per noi non cambia nulla. Dopo gli attentati del 2015 abbiamo deciso di continuare ad essere quello che siamo sempre stati e a difendere i valori che abbiamo sempre difeso: la libertà di espressione, la laicità e il diritto alla blasfemia. Facciamo sempre molta attenzione a questi valori per evitare che vengano attaccati».
E in Francia che aria si respira?
Gerard Biard - charlie hebdo
«Qualche giorno fa a Parigi c'è stata una manifestazione a sostegno della Palestina, durante la quale è stato urlato "Allah Akbar!". È una novità, che non ha nulla a che fare con il diritto dei palestinesi nel vivere in pace e ad avere uno Stato. Vediamo quindi come la religione oggi sia diventata un discorso politico».
Come si è arrivati a questo?
«Bisogna distinguere la fede, che rappresenta una convinzione intima, dal culto, che è l'espressione di questa credenza. Il modo in cui questo si esprime e si manifesta deve essere regolato perché riguarda la società. La religione è quindi l'organizzazione politica e sociale della fede e del culto. E questa è politica».
Un fattore che riguarda esclusivamente l'Islam?
«Non solo. Neanche la Chiesa cattolica e le religioni cristiane non hanno abbandonato questo aspetto. Lo vediamo negli Stati Uniti o in Polonia ad esempio. Le religioni non rinunciano mai all'esercizio politico: è la loro ragione di essere».
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charlie hebdo melenchon
E Charlie Hebdo come fa a raccontare con ironia un contesto internazionale come quello di oggi?
«Siamo un giornale satirico ma anche politico. Lavoriamo cercando di fare un'analisi politica degli eventi che sia la più onesta possibile, ma soprattutto vicina ai nostri valori e a quello che pensiamo. Un disegno satirico pone l'attenzione su un aspetto preciso, mette in luce qualcosa che non è evidente. Questo vale per un personaggio e per una situazione».
Qual è il suo sguardo sulla crisi in corso tra Israele e Hamas?
«Sono settant'anni che va avanti questa situazione. Ma stavolta il governo di Benjamin Netanyahu si è gravemente sbagliato, considerando inizialmente Hamas come una forza politica classica. Si tratta invece di un movimento terroristico, che oggi adotta un modo di agire simile a quello dello Stato islamico».
CORAGGIO, FATTI HAMASSARE - MEME BY EMILIANO CARLI CHARLIE HEBDO VIGNETTA GAZA hamas Gerard Biard - charlie hebdo