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    HO UCCISO MIO MARITO PERCHÉ MI PICCHIAVA” LA CONFESSIONE DI NADIRE KURTI, LA 68ENNE CHE HA UCCISO A COLPI DASCIA IL MARITO E HA FATTO A PEZZI IL SUO CADAVERE NELLA LORO CASA A ROVIGO: MI DAVA DEI PUGNI, DICEVA CHE DOVEVO ANDARE VIA DI CASA PERCHÉ VOLEVA VENDERLA. LUI AVEVA UN’ALTRA. L’HO SENTITO PARLARE CON UNA ALBANESE CHE VOLEVA 90MILA EURO. MI HA PUNTATO UN COLTELLO ALLO STOMACO E…”


     
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    Andrea Priante per www.corriere.it

     

    SHEFKI KURTI E LA MOGLIE NADIRE SHEFKI KURTI E LA MOGLIE NADIRE

    C’è un momento, durante l’interrogatorio di Nadire Kurti, in cui perfino il magistrato sembra incredulo di fronte alle parole di quella donna così fragile, di 68 anni, che ha appena confessato d’aver fatto tutto da sola, riducendo a pezzi il cadavere del marito con un’accetta e dei coltelli da cucina. «Dove ha imparato a tagliare così?» le chiede. E lei risponde con un esempio semplice, quasi banale, che per un attimo restituisce l’immagine di una casalinga che ha passato la vita a preparare i pranzi all’uomo che avrebbe poi ammazzato: «Quando tagli… la gallina».

     

    Il virus spia nel telefonino del figlio

    È il 18 agosto, e Nadire sta svelando la sua versione dell’omicidio. Al suo fianco c’è l’avvocato Franco Capuzzo, che già la settimana precedente aveva chiesto che la procura di Rovigo sentisse ciò che aveva da dire la sua cliente. I carabinieri sapevano tutto: avevano inserito un virus-spia nel telefonino del figlio della coppia, grazie al quale proprio l’11 agosto avevano potuto ascoltare le ammissioni che l’assassina faceva ai parenti nella sala d’attesa dello studio legale.

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    Ma la confessione vera e propria arriva quel pomeriggio di dodici giorni fa, quando Nadire permette agli investigatori di entrare nel suo mondo di follia, dove è difficile distinguere la vita vera da quella creata dalla sua mente, affetta da gravi disturbi psichici. Dice che Shefki la maltrattava, ma per ora i carabinieri non hanno trovato alcuna prova.

     

    «Mio marito mi picchiava da anni»

    shefki kurti con moglie e i due figli shefki kurti con moglie e i due figli

    «Ho ucciso mio marito perché mi picchiava, ogni giorno da diversi anni. Mi dava dei pugni, diceva che dovevo andare via di casa perché voleva venderla». Si è convinta che lui la tradisse con una donna che, in qualche modo, lo teneva sotto scacco. «Lui aveva un’altra. L’ho sentito parlare con una albanese che voleva 90mila euro». Sostiene che, nei giorni precedenti al delitto, i litigi si erano fatti più frequenti. «Mi ha messo un coltello qua» dice indicando lo stomaco.

     

    «E mi ha detto che mi faceva a pezzi. Poi è andato via, a dormire all’interno della discoteca che gestiva una volta». Gli inquirenti collocano il delitto tra il 21 e il 22 luglio. «Quel giorno che io l’ho ammazzato (...) gli avevo detto di andarsene con l’altra donna, ma lui mi ha dato una sberla e io ho preso lo spaccalegna». Si tratta di un’ascia che Shefki «teneva dietro la porta» della camera da letto per proteggersi nell’eventualità che dei ladri fossero entrati in casa. «Gli ho dato un colpo, e poi gliene ho dati altri, finché non è morto».

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    «L’ho fatto a pezzi»

    Ripete che il delitto è avvenuto al culmine di un litigio: «O moriva lui o morivo io». E spiega di avergli inferto il primo fendente alle spalle, «quando si è voltato per andarsene a letto». È un racconto fatto di flash e ricordi confusi. La dinamica, però, appare chiara: un primo colpo al collo, «è caduto sul letto e poi a terra a faccia ingiù». In seguito «gli ho dato altri colpi». A quel punto, col cadavere del marito steso nella camera da letto, la donna ha deciso di far sparire ogni traccia. «Con un lenzuolo l’ho trascinato in bagno, dove c’era la doccia».

     

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    Si è subito resa conto che non ce l’avrebbe mai fatta a trasportare il corpo fuori casa. «Siccome era molto pesante, per portarlo via ho fatto tanti pezzi». Ha usato l’accetta «e poi ho preso un tagliacarne, che tagliava meglio» e che il giudice - nell’ordinanza con la quale ordina che la donna rimanga piantonata nel reparto psichiatrico dell’ospedale di Rovigo - descrive come «una mannaietta del tipo usato dai macellai». Utilizza anche due coltelli da cucina «che pochi giorni prima mio marito aveva affilato e che aveva usato per minacciarmi».

     

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    «Ho messo i pezzi nel congelatore»

    È un film dell’orrore che prosegue per l’intero pomeriggio. Spiega di aver inserito le parti del corpo «all’interno di sacchetti di nylon» e in seguito «ho messo i pezzi nel freezer che sta nel corridoio della mia abitazione e ho pulito tutta la casa». Le ore successive le trascorre così: a lavare vie le macchie di sangue dalla camera e dal bagno, mentre il cadavere del marito è nel congelatore. «Ho aspettato la mezzanotte perché non volevo che qualcuno mi vedesse: ho preso i pezzi dal freezer e sono andata a buttarli nel canale». Tutto qui. Probabilmente non c’è neppure lo spazio per un vero pentimento, in una storia di ossessioni e di malattia mentale.

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