Valeria D'Autilia per “la Stampa”
CARCERI LIBICHE
I loro compagni di viaggio li hanno riconosciuti immediatamente. Imad e Ahmed sono due star del calcio siriano, finiti sul barcone dei disperati. La loro famiglia ha pagato 7 mila dollari con la speranza di metterli in salvo. Affinché non facessero la fine di altri ragazzi, uccisi per non aver dato soldi ai trafficanti libici. Come quel giovane, giustiziato sotto ai loro occhi. «Sono stato ricoperto dal suo sangue» ha raccontato uno dei due fratelli.
migranti morti su un gommone vicino alle coste libiche 3
Imad e Ahmed, nomi di fantasia per rispetto di certe storie dolorose, vivevano nei campi di rifugiati palestinesi in Siria, lì dove sono nati. Famosi per il loro essere talentuosi, discriminati per le loro origini. Sono arrivati in Italia insieme, a bordo della Geo Barents sbarcata ieri al porto di Taranto con il suo carico di umanità: 85 migranti tra cui 9 minori non accompagnati. Sono quasi tutti uomini e giovanissimi.
Alcuni erano su un barchino che si era capovolto il primo giorno del mese, gli altri erano stati soccorsi da un mercantile e, lunedì, trasferiti sulla nave di Medici Senza Frontiere. Tutti in salvo, prima dell'entrata in vigore del nuovo decreto sicurezza. Nei loro sguardi e nelle ferite il segno indelebile delle sevizie subite. «Vengono violentati e torturati dai loro carcerieri, spesso ripresi con dei video che mandano alle famiglie per chiedere in cambio denaro.
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A volte li torturano in diretta con delle videochiamate su WhatsApp o Messenger per costringerli a pagare». Riad è un mediatore ed era sulla Geo Barents. Tutte le volte raccoglie testimonianze diverse, con in comune le torture e la promessa di un futuro migliore. «Un lavoro in Libia o in Europa, poi- appena arrivano in aeroporto da Paesi come Siria, Pakistan, Egitto - ad attenderli c'è l'autista che li vende ai trafficanti o alle milizie libiche». Chi non ha i soldi per il riscatto o per pagare il viaggio va eliminato. Chi sopravvive è costretto a salire sui barconi con la minaccia delle armi.
Nel frattempo, colpisce l'età: sono sempre più giovani. Syed è pakistano, ha perso una ventina di chili. Nelle foto che conserva sul suo cellulare sembra un'altra persona. In quelli che chiamano centri di detenzione spesso si resta a digiuno. Quando va bene, un tozzo di pane e, da bere, acqua salata. Chi non ha lesioni evidenti, è debilitato dalla prigionia. Stavolta, all'arrivo in Puglia, in 4 sono stati trasportati in ospedale, ma le loro condizioni non sono gravi.
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Sulla nave di Medici Senza Frontiere si sono ritrovati anche altri due fratelli che viaggiavano da soli. Eman era disperato, pensava di aver perso sua sorella quando la piccola imbarcazione, soccorsa dalla Ong, si era capovolta. In mare aperto, nel cuore della notte. Invece lei si trovava sull'altro gommone: era stata tratta in salvo dal naufragio. Fulvia Conte ha coordinato i soccorsi. «In casi come questo occorre fare in fretta». Erano in balia del mare da tre giorni, qualcuno era caduto in acqua durante la traversata. Per tappare i buchi hanno usato i loro vestiti.
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La Geo Barents è intervenuta su richiesta del Coordinamento del soccorso marittimo. Durante il salvataggio, il barcone con a bordo 41 persone si è capovolto. «In pochissimi istanti bisogna scegliere chi soccorrere prima, sulla base di chi sta combattendo tra la vita e la morte. In questi momenti, con un'occhiata veloce, si decide di procedere verso una persona per tirarla fuori dall'acqua e, nel frattempo, di lanciare un giubbotto di salvataggio a un'altra. A volte c'è il timore di non farcela. Anche l'altro giorno, pensavamo che qualcuno fosse affogato o disperso». Invece all'appello non mancava nessuno e così Eman ha potuto riabbracciare il suo pezzetto di famiglia.
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La seconda operazione è stata più semplice: un trasbordo di 44 persone da un mercantile, sempre su richiesta delle autorità italiane. All'arrivo a Taranto, si erano ipotizzate sanzioni e il sequestro della nave per il nuovo «decreto Ong» che prevede l'autorizzazione delle autorità competenti e l'immediata richiesta del porto di sbarco da raggiungere in tempi rapidi. Ma il capo missione di Msf, Juan Matias Gil, era tranquillo: «Nessuna violazione».
I migranti, infatti, erano sulla nave prima dell'entrata in vigore del decreto. Approvato lo scorso 28 dicembre, ha efficacia dal 3 gennaio. «Il diritto internazionale non prevede che ci sia qualcuno che può fare il traghetto nel Mediterraneo e fare la spola per trasferire gente da una nazione all'altra» ha detto nelle ultime ore la presidente Meloni.
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Per Gil, che promette di «continuare a salvare vite», questa strategia del Governo ha l'obiettivo di «ostacolare i soccorsi delle Ong e fa aumentare il rischio di morte». Intanto Fulvia e il resto dell'equipaggio sono pronti per un'altra missione umanitaria. La nave è già ripartita, in viaggio verso il Mediterraneo.
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