Alessandro Mondo e Elisa Sola per “la Stampa”
LA VIDEOCHIAMATA DI UN ANZIANO MALATO DI CORONAVIRUS AI PARENTI
«Di notte mi svegliano gli incubi. Sobbalzo e urlo. Sogno che sto soffocando. A volte sono in una grotta, coperta di foglie che mi pressano. Altre su una barella e non riesco a respirare». Claudia Brondolo ha 52 anni, fa l'operatrice socio sanitaria e con lo stesso coraggio con cui ha vinto la battaglia contro il coronavirus, prova a sconfiggere i demoni che la malattia lascia nell'anima. Ancora più numerose le testimonianze di pazienti che scelgono l'anonimato. «Durante la terapia intensiva credevo volessero uccidermi, anziché curarmi, e mi strappavo tutto».
«Avevo la droga che mi usciva dalla bocca e c'erano dei fantocci che mi fissavano». «La caposala era come Caronte e c'era come un manichino bardato che non parlava». «Durante l'intubazione vedevo virus giganti come mostri che mi attaccavano». Allucinazioni: senso di prigionia e di persecuzione. Timori: il ritorno a casa, la paura di essere stigmatizzati o ricontagiati. Incubi. Reminiscenze.
CORONAVIRUS - PAZIENTE IN TERAPIA INTENSIVA CON IL RESPIRATORE
Sono i disturbi maturati dai malati di Covid quando erano in rianimazione, sedati, e poi durante il lungo decorso della malattia: disturbi con cui fanno i conti ancora oggi. È il lascito del virus, che si frappone come un ostacolo al ritorno alla normalità: anche dopo la guarigione clinica.
E' il nuovo fronte sul quale negli ospedali si esercita uno sforzo particolare per rimuovere gli effetti di quello che secondo il professor Vincenzo Villari, primario di Psichiatria ospedaliera alle Molinette, è un disturbo post-traumatico da stress (condiviso dal personale sanitario): angoscia, incubi, insonnia, flash-back, isolamento, deficit di memoria, irritabilità, iper-reattività, stato di allerta.
TRASPORTO DI UN PAZIENTE CON IL CORONAVIRUS
Claudia Brondolo è stata 25 giorni di terapia semi intensiva, due mesi di isolamento. Il ricovero al San Giovanni Bosco risale a metà marzo: «Mi hanno attaccata all'ossigeno. Sotto la maschera ero incosciente, con rari momenti di lucidità. Ricordo due collassi. E che ogni tanto arrivava un'infermiera perché urlavo. Come faccio oggi la notte».
La grande paura «è di non tornare più quella di prima». «E di non riuscire a respirare», precisa, dopo che il medico le ha detto che i suoi polmoni sono ancora compromessi: «Mi segue uno psicologo, prendo antidepressivi». Qualche numero: 430 persone seguite dal Servizio di psicologia clinica delle Molinette tra marzo e maggio: di questi, un terzo per problemi legati al Covid.
medico fa parlare un paziente con i parenti via skype
In un altro ospedale - il San Luigi di Orbassano, presso il reparto di Medicina Fisica e Neuro Riabilitazione diretto dalla dottoressa Federica Gamna - si lavora sulla riabilitazione non solo fisica ma psicologica di circa 40 persone colpite dal virus: a maggio è iniziato un progetto di storytelling per approfondire i ricordi e l'immaginario dei pazienti curati presso le terapie intensive.
«Racconti, video, musiche e disegni per elaborare disturbi che se non trattati possono diventare cronici», spiega la dottoressa Gamna. C'è chi non vuole ricordare - «Ho un vuoto di un mese e mezzo ma non so se voglio recuperarlo», confessa una paziente - , e anche questo è indice di un trauma.
terapia intensiva
«Parliamo delle forme più gravi - conferma Villari -. E' un vissuto che riemerge, incubi rivissuti ad occhi aperti». Da cosa derivano? «Probabilmente da uno stato di angoscia non elaborato durante la sedazione, durata settimane. Poi il trattamento farmacologico, certo. Ma a fare la differenza può essere anche il neutrofismo del Covid, che può avere conseguenze neurologiche». Da qui la necessità, frequente, di ricorrere a terapie psicologiche e farmacologiche dopo le dimissioni. Nel migliore dei casi, i tempi sono lunghi: alcuni mesi per guarire, una seconda volta.