Elisabetta Reguitti da Il Fatto Quotidiano
Qualcuno si è salvato. Erano isolati dal 10 febbraio. Ben prima che l’epidemia fosse ufficiale con la scoperta del Paziente 1 a Codogno. Nell’occhio del ciclone Covid-19 c’è una struttura per anziani che a oggi non ha registrato nessun infetto, né decessi. Erano 40 ospiti a febbraio e sono 40 oggi, dieci settimane dopo.
cremona casa di riposo
I sopravvissuti della Residenza Guerreschi di Capralba (Cremona). Dove è stato somministrato l’unico vaccino disponibile: l’isolamento.
Lo raccontano la responsabile amministrativa Daniela Dolci e il medico Carlo Del Boca, che vive a Lodi e fino all’autunno scorso, prima della pensione, ha lavorato nell’ospedale di Cremona. Entrambe le città sono state epicentri iniziali della pandemia, che però ufficialmente non c’era ancora il giorno della serrata. Solo una coincidenza? Del Boca risponde: “È possibile che sia stata una coincidenza basata su segnali di allarme considerati potenzialmente letali per pazienti fragili. Poi interviene il fattore fortuna”.
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Quali segnali? “Un aumento considerevole di polmoniti rispetto agli anni precedenti. In un contesto di timore internazionale per ciò che stava accadendo in Cina”.
Daniela Dolci spiega: “Abbiamo deciso di attuare delle restrizioni degli accessi all’inizio settimana del 10 febbraio ben prima di ogni disposizione. I nostri medici erano spaventati da ciò che già sentivano accadere negli ospedali. Abbiamo protetto tutto il personale con acquisti di tasca nostra. Siamo una struttura in regime di solvenza, non prendiamo soldi da nessuno, ci manteniamo con le rette degli ospiti. Se avessimo atteso le mascherine dell’Ats Cremona a Asst Valpadana, staremmo freschi”.
La decisione di chiudere agli esterni non è stata immediatamente compresa da tutte le famiglie degli ospiti. La scelta è pesata dal punto di vista umano sugli assistiti che da un giorno all’altro non hanno più potuto avere il conforto dei loro cari, ma alla luce di ciò che sta accadendo quella scelta per il medico è stata “l’unica terapia validante”.
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Non è mai stato possibile effettuare tamponi in struttura. “È infatti solo di questi ultimi giorni – aggiunge Del Boca – la delibera regionale della Lombardia che le rende possibili su pazienti con sintomi. Portare i nostri pazienti in ospedale per sottoporli al tampone avrebbe significato farli rischiare di contrarre il virus”. Solo un’ospite è morta ai primi di marzo in ospedale, ma per un arresto cardiaco slegato dal coronavirus.
“In dieci settimane – spiega Del Boca – alla Guerreschi ci sono stati eventi polmonari acuti perché stiamo parlando di persone fragili, ma tutte sono progressivamente guarite. Se fossero stati Covid avremmo avuto risposte diverse”. E hanno usufruito di un servizio radiologico a domicilio di controllo per escludere la presenza di polmoniti interstiziali. “Abbiamo isolato dagli altri ospiti i pazienti con problemi anche solo influenzali”.
La responsabile amministrativa fornisce i conti: “È domenica non sono in struttura vado a memoria rispetto alla spesa complessiva sostenuta finora per l’acquisto di sistemi protettivi per infermieri, operatori socio sanitari e 5 medici a turno è stata di circa 8 mila euro. Abbiamo speso altri 4 mila euro per kit di autocontrollo per tutti che arriveranno entro Pasqua. Siamo riusciti a mantenere i nostri ospiti sotto una campana di vetro”. Solo questione di risorse visto che siete una residenza privata? “La nostra retta giornaliera per ogni ospite oscilla dai 120 ai 130 euro”.
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Si potevano chiudere prima anche le altre Rsa? Del Boca risponde: “Tutto il sistema sanitario è stato travolto. Si è chiuso quando da un punto di vista statistico si è visto come stavano andando le cose. Chiudere subito isolando le persone fragili dall’esterno e mettere in sicurezza tutto il personale sarebbero stati suggerimenti intelligenti”.
e.reguitti@ilfattoquotidiano.it