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    “I VELISTI ALL’INIZIO MI STAVANO SULLE PALLE. IO SONO NATO A RIMINI, LE BARCHE LE HO CONOSCIUTE CON I PESCATORI” - I 90 ANNI DI CINO RICCI, LO SKIPPER CHE NEL 1983 CON AZZURRA PORTÒ PER LA PRIMA VOLTA UN TEAM ITALIANO ALL’AMERICA’S CUP: "L’AVVOCATO AGNELLI MI DISSE DOPO UN’ORA DI COLLOQUIO: ‘RICCI, SIA SINCERO. 'NON ANDREMO MICA A FARE LA FIGURA DEI CIOCCOLATAI?’. NON LA FACEMMO E L’AVVOCATO NE FU ENTUSIASTA. ANDAVAMO IN GIRO INSIEME, IN AEREO, IN BARCA, ALLE PARTITE - IN BARCA NON VADO PIÙ, MA SEGUO LUNA ROSSA”


     
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    Enea Conti per corrieredibologna.corriere.it - Estratti

    cino ricci cino ricci

     

    Ha passato la vigilia dei suoi 90 anni godendosi le regate di Luna Rossa. «Ma in barca non ci vado più», racconta Cino Ricci, lupo di mare, lo skipper “eroe” della prima storica partecipazione di un team italiano all’America’s Cup con il team Azzurra di Gianni Angelli nel 1983.

     

    Il richiamo del mare, però, lo sente ancora, anche dopo gli ultimi anni passati a fare il contadino nell’entroterra di Forlì, lui che è originario di Rimini. «Dopo la gara di Luna Rossa possiamo parlare senza problemi», dice al telefono nel giorno del suo compleanno.

     

    Ricorda la scintilla che scoccò tra lei e il mare? 

    cino ricci avvocato gianni agnelli cino ricci avvocato gianni agnelli

    «E' dura ricordare la prima volta che uscii in mare. Ricordo che c’era la guerra, ero un bambino, la Romagna era bombardata, i ricordi si confondono per ovvi motivi. Ma, in compenso, ricollego la mia passione per il mare a mia madre. Mi parlava sempre di un pesce gigantesco, che si era arenato sulle spiagge di Rimini, nell’anno in cui nacqui, il 1934. Si inventò una storia anni dopo, quando ero un bimbo: mi raccontò che io fui portato sulla terra da una balena e non da una cicogna, come si usava raccontava ai bambini in passato. Mia mamma non aveva conoscenza del mondo dei pesci.

     

    Scoprii dalle cronache che quel pesce non era una balena ma era un pesce luna.

     

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    Nella sua autobiografia scrisse: "I velisti all’inizio mi stavano sulle palle, con le loro scuole di vela di élite. Io sono nato a Rimini, le barche le ho conosciute con i pescatori". Oggi cosa pensa?

    «Non mi piaceva chi faceva vela per moda. Persone che escono in barca così, per darsi un tono. Non c’entra niente con il vero richiamo del mare, non sanno neppure cos’è. Anzi, molti neppure vanno in barca, pur frequentando le scuole. E magari vanno in giro tronfi pieni di orgoglio non si sa per che cosa. Ecco a pensarci ora, io ho iniziato ad uscire in barca da pescatore, quando ero giovanissimo. È tutto cominciato con la pesca. Era d’estate, passavo le vacanze a casa dei pescatori e uscire in mare era la regola».

     

    Cosa ricorda della celebre prima partecipazione all’America’s Cup con l’Azzurra?

    «Fu un’impresa perché nessun italiano aveva mai sfidato il defender della Coppa America. Ma il nostro equipaggio era formato da velisti normali. Io ero il loro skipper e noi ma eravamo tutti dei novizi al cospetto di una competizione così importante. Non conta che all’epoca avevo già 50 anni».

     

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    Gianni Agnelli fu uno dei due armatori di Azzurra, quale ruolo ebbe nella sua carriera?

    «L’avvocato Agnelli era uno sportivo, generoso con lo sport con i suoi capitali, fu armatore di Azzurra. Ricordo gli incontri preliminari alla costruzione del team. Ci parlammo per un’ora buona. Mi disse dopo un’ora di colloquio, quando già mi ero alzato dalla sedia: ‘Ricci, mi dica una cosa e sia sincero: non andremo mica a fare la figura dei cioccolatai?’.

     

    Non la facemmo e l’avvocato ne fu entusiasta. Passai con lui molti anni, andavamo in giro insieme, in aereo, in barca, alle partite. Aveva convinto un sacco di sponsor a finanziare questa avventura e io ero diventato uno dei ‘suoi’. Nel 1987, anni dopo, ero ancora nel team. Ma rassegnai le dimissioni poco prima della Coppa America.

     

    Non mi piacque la condotta dello Yacht Club Costa Smeralda, che aveva tentato di appropriarsi del Consorzio Azzurra e diventare così il factotum delle operazioni. Ma sentii che Agnelli era dalla mia parte. Un’altra persona importante per me fu Raoul Gardini (l’armatore di un’altra storica imbarcazione italiana, Il Moro Di Venezia, ndr). Lui fu un amico, e ricordo ancora le telecronache che feci delle regate come la Louis Vuitton Cup, che il team vinse nel 1992».

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    Lei è stato un grande campione di vela, ma nella vita faceva anche altro?

    «Sono stato contitolare di una ditta edile, quindi in un certo senso ero un imprenditore, nella ditta lavorava anche mio fratello, anche se io ad un certo punto lasciai l’azienda per dedicarmi solo alle regate. La vela è uno sport? Io dico che non lo è, la vela è la decima musa: ha permesso all’uomo di esplorare il mondo, non solo la scoperta della musica, ma nei tempi antiche l’esplorazione degli altri mari, dei corsi d’acqua, dei fiumi. Da qualche tempo però io in barca non ci vado più e sto bene così».

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