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    IGOR IEZZI, IL LEGHISTA DA FIGHT CLUB! DAL LANCIO DI UOVA CONTRO D'ALEMA ALLA VOLTA CHE MISE IL NIQAB FINO AL CAZZOTTONE AL GRILLINO DONNO IN AULA – IL RITRATTONE AL VELENO DEL DEPUTATO DEL CARROCCIO, DI STRETTA OSSERVANZA SALVINIANA, E FAN SFEGATATO DI VANNACCI - QUELLA VOLTA CHE I COMMESSI DOVETTERO SEPARARLO DAL DEPUTATO PD UBALDO PAGANO E L’INUSITATA VIOLENZA, IN PIENO COVID, CONTRO LIA QUARTAPELLE: “NON MI PERMETTEREI MAI DI TOCCARE UNA DONNA”


     
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    Tommaso Labate per corriere.it - Estratti

     

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    Della volta che, in piena notte, i commessi dovettero separarlo dal deputato pd Ubaldo Pagano: «Colpa della stanchezza. Siamo stati seduti dalle nove del mattino alle quattro di notte». Di quella in cui, in pieno Covid, inveì con inusitata violenza verbale nei confronti di Lia Quartapelle, sempre del Pd, che stava intervenendo in Aula.

     

    «Che cosa c’entra? Lì eravamo a diversi metri di distanza. E poi, non mi permetterei mai di toccare una donna». Di ieri, quando ha sferrato un cazzottone nella direzione del volto del cinquestelle Leonardo Donno: «Non l’ho colpito» e, comunque sia, «non mi scuso».

     

    Circoscritta alle volte in cui le cronache nazionali sono arrivate a occuparsi di lui, la parabola dell’onorevole leghista Igor Iezzi sembrerebbe una sorta di fight club allo zafferano, che un milanese come lui non può non amare. Peccato che al contrario dell’omonimo film, che raccontava del fight club fondato sulla regola secondo cui «quello che succede nel fight club rimane nel fight club», il più ortodosso dei salviniani – che col Capitano è amico da quasi trent’anni – ami mostrare i muscoli nel proscenio.

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    Nato nel quartiere Quarto Oggiaro, venuto politicamente su a volantini e riunioni del consiglio di Zona 8, e prima ancora allevato al liceo Bottoni di via MacMahon, si fa notare per il legame che lo salda alle case popolari e per quella ritrosia, nonostante la scalata alla considerazione interna nelle stanze buone del Carroccio, per la Milano che mangiucchia tartine e sbevazza spritz nei locali di Brera.

     

     

    Leghista duro e puro, insomma, di quella seconda generazione celodurista che non vive del mito Bossi ma punta a prenderne il posto, prima o poi. Raccontano che sia lui, che a un certo punto inizia a scrivere con una certa assiduità sull’house organ La Padania (che poi lo manderà a Roma a seguire i lavori di Montecitorio), uno dei primi ad aver scommesso sul sicuro avvenire di un certo Matteo Salvini.

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    Alla fine del secolo scorso due si muovono in coppia; dove c’è uno c’è spesso anche l’altro. E ci sono entrambi, nel 1999, durante un lancio di uova che un gruppo di militanti della Lega indirizza verso l’allora presidente del Consiglio Massimo D’Alema e la ministra Rosy Bindi.

     

    Se la cava con una condanna di trenta giorni per oltraggio a pubblico ufficiale. Un’inezia, però, se si considera che la “bravata” (le virgolette non sono casuali) gli vale l’uscita dall’anonimato e l’avvio del cursus honorum vero e proprio.

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    Gli altri scalini Iezzi li sale col progredire della battaglia ingaggiata dalla Lega del nuovo millennio contro gli immigrati. Quando parte il progetto del campo rom in via della Chiesa Rossa, a Milano, insieme a un gruppo di amici (c’è anche il suo attuale collega alla Camera Alessandro Morelli) dorme per cinque giorni in tenda presidiando il terreno e se ne va solo quando arrivano i carabinieri.

     

    Dieci anni dopo è fermo allo stesso punto ma con una certa esperienza in fatto di provocazioni: durante la discussione del consiglio comunale sui luoghi di culto, si palesa a Palazzo Marino coperto col niqab, il velo dei musulmani che lascia scoperti solo gli occhi.

     

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    Con Salvini l’amicizia è rimasta solidissima. E la riprova sta nel fatto che entrambi, forse più Iezzi del segretario, sono ultras sfegatati del generale Vannacci. Certo, quella discreta capacità di mettersi nei guai nei momenti meno attesi, a Iezzi, è rimasta. Il verde Angelo Bonelli ha scoperto che l’emendamento al decreto Sicurezza che punta ad alzare a vent’anni la pena per «chi protesta in maniera minacciosa o violenta contro le grandi opere infrastrutturali» porta la firma sua. Qualcuno potrebbe prenderlo in giro, sostenendo che si fa le leggi contra personam da solo. Lui si difenderebbe senz’altro, argomentando che un conto è un cazzotto a un avversario; un altro è uno schiaffo al pilone di un Ponte.

     

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