Antonio D'Orrico per “il Corriere della Sera”
GIORGIO FALETTI - L ULTIMO GIORNO DI SOLE
Era chiusa in un cassetto a doppia mandata. Dovrebbe essere l'ultima cosa compiuta scritta da Giorgio Faletti, lo scrittore morto tre anni fa. L'ha trovata la vedova. Bisogna sempre diffidare delle vedove degli autori (sia che siano mosse da motivi di odio, sia che siano mosse da motivi di amore), ma per Roberta Faletti sono disposto a fare un'eccezione.
L'ultima storia di Giorgio (consentitemi la confidenza) sembra all' inizio una fiaba di genere catastrofico intitolata L'ultimo giorno di sole (Baldini&Castoldi). Un astronomo tedesco, Oskar Waldheimer, scopre, dopo svariati e complicati calcoli, che il sole sta per avere un'eruzione. La vittima principale dell'apocalisse annunciata sarà la Terra destinata a diventare un'enorme fornace come l' antica Pompei.
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I colleghi di Waldheimer non lo prendono sul serio e gli danno del pazzo, «del nazista, del comunista, del nichilista, dell'anticristo, del fondamentalista, dell' omofobo e del sessista».
La moglie lo abbandona. L'equivalente tedesco della guardia di finanza lo sottopone a verifica fiscale e su Facebook vi lascio immaginare.
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Ma la profezia dell' astronomo è vera. I topi di tutto il mondo si riuniscono e si mettono in marcia verso i luoghi dove sperano di scampare all'apocalisse. Gli altri animali li seguono. Waldheimer viene prontamente riabilitato. Gli assegnano un premio Nobel last minute e riceve «140.000 proposte di matrimonio da tutte le parti del mondo». Le autorità decretano lo stato di emergenza planetaria e invitano le popolazioni a non lasciarsi prendere dal panico. Ottengono l'effetto contrario, sul pianeta è un fuggi fuggi sulle orme delle bestiole che si sono mosse per tempo.
Scappano tutti meno una. A mancare all'appello è Linda Pizzini, 35 anni, Leone con ascendente Vergine, laurea breve in Scienze della comunicazione dopo un diploma in ragioneria, orfana, ex moglie (e, in genere, sfortunata in amore), ex direttrice di un'agenzia di viaggi.
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Linda decide di non abbandonare la città in cui è nata e vissuta. Una città che sorge proprio nel raggio dell' epicentro del disastro e la cui sorte è quindi segnata. È a questo punto che le cose si sono complicate e mi è venuto il sospetto che L'ultimo giorno di sole non fosse una fiaba apocalittica, ma qualcos' altro. Sono state alcune frasi pronunciate da Linda («Non sapevo se davvero sarebbe stata la fine del mondo... La sola cosa che mi interessava era assistere alla fine del mio mondo»), a suggerirmi che la città che Linda non vuole abbandonare è Asti, la patria amatissima di Faletti.
Da quel momento in poi non sono riuscito a leggere il racconto se non immaginando lo scrittore al posto dell'ex tour operator e a leggere la fiaba come un' autobiografia mascherata (e, forse, un requiem). Ho ritrovato il gusto splatter di Faletti nella scena in cui Linda, nella sua probabile ultima passeggiata per le vie della città, entra in chiesa: «Di solito le chiese mi hanno fatto sempre paura... Ero bambina e mia madre mi portava in chiesa e come entravo trac! La figura di San Sebastiano trafitto dalle frecce, la testa di San Giovanni Battista su un piatto, quello sulla graticola, quell' altro spellato vivo...».
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E qui ho pensato alla statua di San Sebastiano che campeggia nella goticissima cattedrale di Santa Maria Assunta e San Gottardo ad Asti. Faletti aveva nelle corde, dopo i thriller di ambientazione internazionale, metropolitana che gli avevano dato la fama, un romanzo sulla provincia, un mondo che prediligeva. Me ne aveva parlato dopo che era uscito Tre atti e due tempi , il romanzo ambientato, appunto, in una città di provincia che non era ancora Asti.
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In L'ultimo giorno di sole sembra fare una prova generale. Abbozza i personaggi tipici di un romanzo del genere. Come la signora e la signorina Simonelli: Giuseppina, vedova di Alberto, e la cognata Agata, sorella del defunto. Le Simonelli «erano il terrore delle assemblee di condominio, partecipavano a tutte, anche a quelle dei palazzi in cui non avevano un appuntamento».
La fiaba apocalittica diventa una specie di commedia all' italiana. Le Simonelli ne sono degne esponenti. Sono due pettegole che sanno tutto di tutti: «Ieri i Caccialepori lo hanno fatto sopra la lavatrice». E ancora: «Il ragionier Pistillo ha di nuovo ricevuto una... una di quelle».
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Poi il progetto dell'Ultimo giorno di sole aveva virato verso il teatro. Faletti voleva farne uno spettacolo con musiche e canzoni ed esserne il regista. Il racconto ritrovato è intervallato, infatti, dai testi delle canzoni. Ecco l'attacco della canzone della signora e della signorina Simonelli: «Cose turche Vostro Onore/ lei non vide ma noi sì/ l' uomo entrare in quella casa/ e la donna lo seguì/ e nascosti nell' androne/ li vedemmo salir su».
È fatta di anime diverse questa storia. Quella più vera e profonda è il congedo dalla città di Asti. Ci sono spunti da piccola Spoon River in riva al Tanaro come il ritratto del signor Pezzotta, l' umorista ufficiale del palazzo dove abita Linda. E poi c' è la lunga passeggiata lungo via Roma ( nom de plume di corso Vittorio Alfieri): «la via dello struscio, delle vetrine, dello sfoggio, della messa di mezzogiorno alla domenica e dell' aperitivo alle sette. In quella via ho trovata riassunta buona parte della nostra civiltà o inciviltà... In poco meno di un chilometro c' era rappresentato in qualche modo tutto quello che poteva avere significato e importanza nella vita di un essere umano».
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Su via Roma c' è il negozio di gastronomia e c' è la gioielleria (e il negozio di gastronomia è più caro della gioielleria, tanto che una volta un rapinatore è entrato, pistola in pugno, nel primo e non nella seconda). Ma in via Roma c' è soprattutto il cinema Splendor, un cinema che ha fatto in pieno il suo dovere proiettando nei decenni «una serie interminabile di film sulla fine del mondo: meteoriti... guerre nucleari, virus che trasformavano gli uomini in zombie, attacchi di alieni». Un cinema per la generazione di Faletti non è mai stato soltanto un posto per vedere i film. Come dice Laura: «Io qui, in questo vecchio cinematografo, ci ho visto il mio primo cartone animato della Disney, ci ho dato il mio primo bacio».
E qui l'autobiografia per interposto personaggio femminile si fa ancora più evidente: «Adoravo quelle figure che si muovevano sullo schermo, al punto tale che per un certo periodo ho sognato di farne parte». L'Età del Cinema (così come si diceva l' Età della Pietra o l' Età del Bronzo) è finita: «Adesso c' è un multisala in periferia, regno di hamburger, regno di pizze al taglio, regno di popcorn e bibite nel bicchiere di carta ma soprattutto impero di telefoni cellulari».
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Questa storia è davvero l' ultima di Giorgio Faletti. Ed è un congedo. Non so se l'abbia fatto consapevolmente o inconsapevolmente, ma è di sicuro un addio. E contiene scene della vita vera dell' autore. Racconta Linda: «Pochi giorni prima di morire, mia madre, stesa nel suo letto di ospedale, mi ha preso la mano e mi ha guardata con due occhi in cui la vita era già un prestito. E con un tono che mi confermava che lo avrebbe pagato da lì a poco mi ha fatto una domanda: "Linda, perché la vita è così corta?"».
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Forse la memoria mi inganna, ma giurerei che questa scena Faletti me l' abbia raccontata a proposito delle ultime ore di sua madre. Così come più volte mi confidò, chiacchierando, un suo pensiero che partiva dal presupposto che noi esseri umani siamo diversi dagli altri animali perché sappiamo ridere.
Il resto del ragionamento l' ho ritrovato preciso preciso nell' Ultimo giorno di sole : «Questa forse era la sola cosa che ci differenziava dal resto degli esseri viventi. E quanto poco questa qualità è stata capita, utilizzata, premiata. Quanto poco abbiamo saputo rifugiarci nel riso e nel sorriso, mentre vivevamo con una disperata paura della morte». L' ultima storia di Giorgio Faletti racconta il rimpianto e il rimorso di un' intera specie.