jovanotti
Gino Castaldo per “la Repubblica”
Quando lo stadio si accende succede il finimondo. Trentamila persone saltano in piedi e rimangono ammutolite da un film di sette minuti che, in chiave post-Bladerunner, proietta un presunto Jovanotti, umile pizzaiolo del futuro (il 2184 per l’esattezza) nel presente che è lì, su quel palco dove l’astronave di suoni e luci si materializza ed esplode. A chiedergli di tornare nel passato è un’Ornella Muti/principessa Leila.
Jovanotti è un supereroe in missione per conto di un futuristico bisogno di recupero di divertimento, emozioni, fantasticherie, un abbacinante luna park che spezza la notte in due in una fantasmagoria di luci e suoni, concepita, a detta del protagonista, “per bambini dai 4 ai 99 anni”. Ma non c’è solo divertimento, sfrenato; lì sopra c’è l’Italia che ci piacerebbe vedere: operosa, creativa, moderna, un luminoso esempio di eccellenza dove centinaia di persone hanno lavorato dando il meglio delle loro capacità per arrivare a uno spettacolo che non sfigurerebbe su nessun palcoscenico del mondo.
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Sarà un caso ma Jovanotti ha scelto di iniziare il suo nuovo tour “Lorenzo negli stadi” nella notte del giorno astronomicamente più lungo dell’anno. Luce, luminosità, ispirata dall’incipit di Penso positivo e Tutto acceso, sangue misto, tribalità elettronica, fredda e sinistra luce tecno riscaldata da percussioni travolgenti, mentre gli effetti visivi marciano imperiosi a illustrare ogni singolo pezzo:
nell’Alba sono i gorilla nel loro habitat naturale, su Stella cometa sono laser che tagliano lo spazio con geometrie di luce, e poi pezzi di film, animazioni, gelati e sdraio (al posto dei minacciosi martelli dei Pink Floyd), scritte vorticose, cieli stellati, ogni pezzo una sorpresa gonfia di citazioni che compongono un caleidoscopio di segni del nostro tempo.
Appare Fiorello con i capelli cotonati alla Don King che presenta un pezzo come un imbonitore impazzito, in un altro punto appare Carlo Conti che ospita il concorrente Saturnino sul set diLa ghigliottina per un quiz la cui soluzione è: Serenata rap.
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Quando verso la fine canta Ragazzo fortunato (“un pezzo vecchio che continuo ad amare, mi è sempre piaciuto”) ci si ricorda da dove è arrivato l’astronauta Jovanotti, quando iniziò nel più scemetto dei modi, divertente sì, ma chi gli avrebbe dato un soldo di considerazione? E invece si è rivelato uno di quelli che ha imparato a crescere. E anche per questo dovrebbe essere studiato come esempio straordinario: uno che continua a crescere, ben consapevole di limiti e potenzialità.
Non è mai stato un grande cantante, ma questo limite lo ha trasformato in una virtù, ponendosi come ideatore, assemblatore, come Dj (dice lui con vezzo minimalista) che manipola, reinventa, crea mondi nuovi facendo ballare. “La notizia più bella di questa notte” racconta dopo il concerto, “è vedere facce nuove. Non sono un artista generazionale e il pubblico si rinnova. Ci sono quelli che sono cresciuti con me ma anche ragazzi, giovani, nuovi, e questa per me è la cosa più importante”.
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Nuovi o vecchi che siano gli spettatori, Jovanotti è oggi un magico pifferaio, un pupazzo pop che veste diversi costumi, che si trasforma in supereroe con tanto di mantello, in esploratore, in uomo stellato, in indigeno, in tecnonauta, e guida il suo circo Barnum come se stesse sempre per offrire viaggi horror, donne barbute, tunnel dell’amore, gelati sintetici e pop corn psichedelici...
Macina pezzi come Sabato, L’ombelico del mondo, Le tasche piene di sassi, A te, Mezzogiorno, Gli immortali, come se ogni volta fosse in gioco la nostra identità di uomini e donne del presente. Difficile persino definire a che razza di artista appartiene Jovanotti, abituati come siamo a retoriche interpretative, schemi narcisistici, paludi d’autore.
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Qui, com’è giusto che sia, è tutto in movimento, non vi è certezza, l’innovazione è una dolce condanna a cui non ci si può sottrarre, e l’asticella va sempre spinta più in alto. “Io questa volta sono partito dai cartoni animati”, dice Lorenzo, “ un anno fa andai da mia moglie e dissi: so come voglio fare il tour, tutto di cartoni animati, mi interessava la ‘bambinizzazione’ del mondo, nel senso che noi siamo la prima generazione che condivide contenuti con i propri figli. Io e mia figlia andiamo insieme a vedere un film della Pixar. Imparo da lei, le chiedo consiglio. È un fatto nuovo, antropologicamente”.
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Sarà anche vero che alla fine Jovanotti rimane sostanzialmente un Dj, anche perché per la prima volta in un concerto live il suono della band passa attraverso un filtro che permette all’ingegnere del suono ‘Pinaxa’ Pischetola e allo stesso Jovanotti di manipolare dal palco in diretta i suoni, ma se è vero allora i Dj oggi possono arrivare dove vogliono, perfino ad allestire “il più grande spettacolo dopo il big bang”.