Paolo Manzo per “il Giornale”
pablo escobar e jhon jairo velasquez vasquez
Loquace, criminale reo confesso, affabulatore. Questo era Jhon Jairo Velásquez, morto a 57 anni per un cancro all' esofago l' altroieri ma, soprattutto, il più letale dei sicari di Pablo Escobar o, come continuava a chiamarlo lui, el Patrón, il Padrone. Tutti in Colombia lo conoscevano come Popeye, il soprannome che si era guadagnato grazie a un mento prominente, a tal punto che era ricorso alla chirurgia estetica per un ritocchino.
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Tutti, anche il comandante in capo delle Forze Armate colombiane, il generale Eduardo Zapateiro, che ieri ha fatto arrivare alla famiglia di Popeye «le più sentite condoglianze». La cosa ha suscitato indignazione a Bogotà perché el Pope, come lo chiamavano i suoi amici più intimi, non era solo un pentito che, uscito dopo 23 anni di carcere duro, era diventato una star in Colombia grazie a una telenovela sulla sua vita prodotta da Tv Caracol e diffusa via Netflix.
Eduardo Zapateiro
No, alias J. J. (questo un altro suo alias nonché il titolo della serie TV) era soprattutto un criminale che aveva ammesso di avere materialmente commesso 257 omicidi e di cui era stata dimostrata la partecipazione all' attentato contro un aereo dell' Avianca nel 1989, 107 i morti. Scontate dunque le polemiche dopo le condoglianze del generale anche se, di certo, Popeye aveva fornito all' esercito molte informazioni su chi, con lui, aveva partecipato alle mattanze di Escobar.
Due dunque le vite del Pope. La prima quando, giovanissimo, entrò a far parte del Cartello di Medellin sino a essere promosso sul campo dal Patrón come capo dei suoi sicari. Da killer non sbagliava un colpo, forse perché affascinato dall'«odore del sangue» per sua stessa ammissione. «Freddai personalmente centinaia di nemici del Patrón», disse, contribuendo a pianificare l' uccisione «di almeno altre 3mila vittime, Escobar scriveva i loro nomi su un taccuino e chi doveva uccidere, io c' ero quasi sempre».
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Giudici, giornalisti, politici, traditori, membri di altri cartelli, a cominciare da quello di Cali, Popeye era stato una «macchina per uccidere» tra metà anni 80 e inizio anni 90, «ma quello era il mio lavoro e lo facevo al meglio».
La seconda vita di Popeye è invece quella del personaggio pubblico, con cui chi scrive entrò in contatto nel 2016 in Colombia quando, nel Museo della Memoria di Medellín, lui era stato invitato a tenere una lezione agli studenti per spiegare loro che «fare il criminale può solo portare alla morte». Uscito nel 2014 dal carcere aveva infatti costruito attorno a sé un' aurea di personaggio eroico, di un pentito sopravvissuto a oltre 20 anni di carcere duro e a numerosi tentativi di ucciderlo.
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Scriveva libri Popeye, aveva un milione di fan sul suo canale Youtube, («Popeye Arrepentido», «Popeye Pentito» in italiano) dove raccontava a modo suo le verità più scomode della Colombia. Alcune molto esplosive. A cominciare da quando testimoniò che Raúl Castro era il contatto del Patrón a Cuba e che Escobar finanziò il sequestro del Palazzo di Giustizia da parte della guerriglia dell' M-19, nel 1985, dove morirono quasi un centinaio tra terroristi, giudici e civili. Nel 2017 era finito di nuovo dentro per estorsione ma aveva promesso che, presto sarebbe uscito, per raccontare altre scottanti verità. Il cancro glielo invece ha impedito e Popeye si è portato i suoi segreti nella tomba.