celentano
Peppe Aquaro per Corriere.it
Milanesissimo. Al massimo un po’ pugliese (i suoi genitori erano di Foggia). Ma che il Molleggiato, alias Adriano Celentano, fosse anche un po’ «romano», questo sì che potrebbe essere uno scoop. Scherziamo? Certo. E con la complicità del faccione (e non solo) ironico di un altro artista (lui sì, romanissimo e romanista, nato tra Viale della Regina e piazza Quadrata), Pippo Franco, partner artistico del Celentano romano. Era il 1973, quando il regista Pasquale Festa Campanile pensò di affidare la celebre maschera di Rugantino (»Er bullo de Trastevere, svelto con le parole e col coltello») all’autore e attore del momento. E che diventerà celebre (anche) per le sue pause.
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Quel romanesco «zoppicante»
«In un cast tutto di romanacci doc, dove c’erano Paolo Stoppa, Riccardo Garrone, Toni Ucci, la stessa moglie di Celentano, Claudia Mori, all’inizio poteva sembrare strano che la parte del protagonista la dovesse fare proprio Adriano», ricorda Pippo Franco, il quale aggiunge: «Ma lo sconcerto, se così possiamo definirlo, è svanito al primo ciak: Adriano era troppo forte, tanto da camuffare il suo romanesco un po’ zoppicante con una espressività da grande attore».
Sì, proprio quel «romanesco un po’ zoppicante» ripreso recentemente dalla satira pungente di un altro comico, Max Tortora, la cui celebre gag su Paolo Stoppa (Mastro Titta, il boia in Rugantino) e Celentano, ha fatto scuola: «Me devi ammazzà te, Mastro Titta: perché, se mi ammazzi te, vinci il premio pontificio perché tagli la centesima capoccia». La parodia di Tortora spinge molto sull’incedere tutto milanese della frase recitata da Adriano. Esilarante.
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In vacanza al Circeo
A dire il vero, la romanità di Celentano si era già fatta conoscere due anni prima di Rugantino, nel ’71, nel film «Er più. Storia d’amore e di coltello», diretto da Bruno Corbucci. Ma il grande passo in Rugantino fu tutta un’altra cosa. «Celentano è Rugantino: spavaldo, coraggioso e dalla battuta pronta: per la verità, anche gli schiaffi viaggiavano velocemente in scena, e ricordo di averne presi tanti da lui», dice Franco, al quale però ritorna in mente la generosità di Adriano: «Eravamo i vacanza al Circeo, in albergo, e c’era sua moglie, Claudia Mori, la romana delle famiglia: io ero molto preoccupato di lasciare da soli i miei figli, piccolissimi, a bordo piscina, allora chiesi alla coppia più bella del mondo se potessero dar loro un’occhiata mentre ero via».
Dai Pinguini alla Dolce Vita
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Tra le altre cose in comune con Celentano, Pippo Franco ricorda la passione per la musica. Sviluppatasi negli stessi anni. «Ero il chitarrista di un gruppo, i Pinguini, e in un film del 1960, Appuntamento ad Ischia, siamo la band che accompagna Mina mentre canta Una zebra a pois e il Cielo in una stanza. Nello stesso anno, Celentano interpreterà se stesso in un cameo de La Dolce Vita di Federico Fellini. Ah, certo, ci sarebbe Mina, partner televisiva e discografica (fino ai nostri giorni) del Molleggiato: Una coppia perfetta, e l’ultimo pezzo, Se mi ami davvero, è straordinario».
Un augurio «tutto azzurro»
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Provando a stuzzicare Pippo Franco: davvero niente da invidiare all’Adriano nazionale, magari mettendola sulla rivalità campanilistica. Roma contro Milano? «Che devo invidiare della sua città? Erano diverse ieri e lo sono oggi. Per la verità, preferivo la Milano di qualche anno fa: ogni volta che ci vado mi pare difficile accettare una città che a volte sembra Dubai, con tutti quei grattacieli…».
E anche qui, ritorna la somiglianza con il Ragazzo della via Gluck, che già nel 1972 cantava e parlava di Un albero di trenta piani. Se ci mettiamo pure l’affinità religiosa («La nostra spiritualità? Siamo tutti e due per l’Altro Mondo: ci crediamo davvero», dice sorridendo Pippo), tanto vale chiudere con la canzone preferita ed i classici auguri. «Azzurro è quella che amo di più. Gli auguri? Gli direi: caro Adriano, ma davvero compi 80 anni? Auguroni per i tuoi primi cinquant’anni, più Iva, e speriamo di vederci presto. Magari tra altri ottant’anni. E prenditi pure tutto il tempo e le pause che vuoi».
max tortora
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