Francesca D'Angelo per “Libero quotidiano”
jerry calà vacanze in america
A 71 anni, di cui 50 di «libidine, doppia libidine» (ovvero di carriera), Jerry Calà è più scatenato che mai: lo scorso giugno ha lanciato il cd di canzoni Professione Entertainer, da mesi sta girando l'Italia con lo show 50 annidi libidine, che ripercorre la carriera dell'artista ma anche la storia della musica italiana, dopodiché a febbraio inizierà le riprese del suo nuovo film.
Dopo tutto questo tempo, non si è ancora stancato del mondo dello spettacolo?
«Uè, lei mi vuole mandare in pensione?».
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Non sia mai.
«È il pubblico che non vuole mollarmi! In questi ultimi mesi ho fatto più concerti io, in giro per l'Italia, che i cantanti "veri". Ma lo sa che ai miei spettacoli arrivano anche un sacco di giovani? All'inizio li guardavo e pensavo: "Boh, ora a questi che gli racconto?"».
Appunto: che gli racconta?
«La verità è che sono preparatissimi: conoscono a memoria tutte le battute dei miei film, che continuano a essere programmati alla grande dai canali tv, sia lineari che digitali. Inoltre le nuove generazioni conoscono a menadito la musica di quei tempi, come Io vagabondo, Ho in mente te...».
Come se lo spiega?
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«Sono canzoni senza tempo, che sono rimaste attaccate alla cultura e alla tradizione italiana. Non so quanti brani di oggi dureranno altrettanto a lungo... Nel mio show ripercorro i successi degli anni 70, 80 e 90: il mio è un "teatro canzonetta". Dico davvero, infatti chiamerò così il mio prossimo spettacolo. Obiettivo: nobilitare la canzonetta».
Invece cos' è rimasto dell'epoca della "libidine", ossia dei film alla Vanzina e della leggerezza disimpegnata delle sue commedie?
«Direi che è rimasto tutto. Basta guardare i palinsesti tv: film come Sapore di mare, Vacanze di Natale o Bomber sono ancora in onda, mietendo nuovi fan tra i bambini. Addirittura sono nati canali che basano la loro intera programmazione sulle nostre pellicole: penso a Cine34 o a CineComico di Mediaset Infinity».
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E dire che all'epoca erano considerati titolidi serie B.
«No, dai! I B-movie erano ben altre commedie: quelle più pecorecce, che andavano di moda prima che arrivassimo noi. Però sicuramente i nostri lavori erano considerati commerciali e si erano inventati anche dei nomi, come il termine cinepanettone, per sminuirli. Alla fine, però, il tempo ci ha dato ragione: siamo ancora qui».
Film così sarebbero ancora possibili?
«No. E qui sta il paradosso: il pubblico continua ad amare il politicamente scorretto dei film Anni 80 che però nessun produttore si sognerebbe più di realizzare. Storie del genere sarebbero subito messe all'indice».
Lei è stato il re degli Anni 70 e 80. Da uno a dieci, quanto se l'è goduta?
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«Mi sono divertito davvero parecchio! Soprattutto nei primi film, quando il successo non era ancora arrivato: sparavo battute a raffica, senza preoccupazioni, perché sapevo di non avere nulla da perdere».
Ha dichiarato che senza Mara Venier si sarebbe montato la testa.
«Lei mi ha decisamente tenuto con i piedi per terra! Quando ero all'apice del successo, i miei film erano primi e secondi al boxoffice: io avevo più o meno 30 anni, quindi sarebbe bastato un attimo per perdermi. Mara all'epoca era la mia compagna e mi ha aiutato molto».
Cosa le diceva esattamente?
«Ora mi chiede troppo: mica mi ricordo le frasi precise! Però lei frequentava l'ambiente dello spettacolo da più anni e soprattutto faceva un cinema diverso dal mio. Quindi conobbi artisti importanti e capii che, sì, io avevo successo ma c'era gente anche molto più brava di me».
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Si dice che lei non fosse esattamente fedelissimo...
«Quella lì è una leggenda che Mara ama raccontare! Però sicuramente non ero uno stinco di santo: qualche marachella l'ho combinata».
Anche per questo il suo secondo matrimonio è arrivato tardi, ossia nel 2002?
«Diciamo che è stato un insieme di cose. Mi ero stancato del mio girovagare sentimentale e mi sentivo predisposto a trovare una compagna stabile. In quel momento ho incontrato Bettina: una donna che non c'entrava nulla con lo spettacolo, il che mi piaceva molto. Ed è stato subito amore».
Negli Anni 90 la sua carriera si è rallentata: cos' è successo?
«Credo che la ragione sia legata alla mia scelta di sganciarmi dal gruppo Boldi&Vacanze di Natale, per capirci. Avevo voglia di sperimentare nuovi mondi, non solo i film delle feste. Mi sono quindi cimentato con il mio primo (e unico purtroppo) ruolo drammatico nel film Diario di un vizio, poi ho lavorato con Pupi Avati, mi sono aperto alla regia... Umanamente è stata quindi una scelta che mi ha regalato molte soddisfazioni, ma forse commercialmente meno. Sono infatti uscito da un carrozzone che macinava miliardi di lire».
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Se potesse tornare indietro, rifarebbe la stessa scelta?
«Non so se prenderei la medesima decisione. Però sono ragionamenti che lasciano il tempo che trovano, anche perché le cose vanno come devono andare. Probabilmente la mia strada doveva essere quella».
La critica aveva apprezzato la sua svolta drammatica. Come mai non ha proseguito su questa scia?
«Io l'avrei fatto volentieri ma non sono mica un produttore cinematografico! Battuta a parte, non ci sono state altre offerte di quel tipo».
Ha pagato il prezzo dei troppi cinepanettoni?
«In parte, forse, ha pesato lo stereotipo. Però bisogna anche ammettere che il film prese molti premi ma incassò poco. Il che era un problema: all'epoca potevi fare il più bel film del mondo ma se cannavi al box office eri finito. Non ti chiamavano più. Oggi è diverso: si perdonano i bassi incassi anche perché ci sono altre fruizioni, come per esempio i passaggi streaming».
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Se le proponessero adesso un ruolo drammatico, accetterebbe?
«Certo! Se la storia merita, accetterei al volo. Però la vedo dura: il cinema è ancora fatto da una compagnia di giro molto chiusa. I registi chiamano sempre i soliti attori: bravissimi, per carità! Però sono sempre gli stessi. All'estero è diverso: non c'è questo provincialismo e prendono anche volti con storie artistiche diverse».
Intravede un erede di Jerry Calà?
«Mio figlio».
Non mi cada nel nepotismo, la prego.
«Scherzo, dai! Onestamente non trovo un mio erede. Se però parliamo di simile idea di comicità, allora mi rivedo un po' in Paolo Ruffini (accento a parte)».
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Quali comici la fanno più ridere?
«Ficarra e Picone. La loro serie tv Incastrati è fantastica! Hanno trovato una propria chiave comica davvero efficace e divertente».
Pensavo mi dicesse Pio e Amedeo.
«Anche loro sono bravi: ho riso molto con Emigratis. Inoltre sono gli unici che vorrebbero essere ancora politicamente scorretti».
A febbraio torna sul set per girare un nuovo film: di cosa si tratta?
«No, la prego! Sono scaramantico! Svelerò il titolo solo al primo giorno di riprese. Posso però dirle che sarà un film molto originale, ambientato a Napoli».
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