IL FIGLIO DI SAUL
Marco Giusti per Dagospia
Di fronte a certi film non ci sono mezze misure. O li adori o li detesti. Già a Cannes, dove aveva vinto il Gran Premio della Giuria, il pubblico si era diviso aspramente di fronte a questo incredibile, forse virtuosistico, ma certo eccezionale per tecnica e per intensità Il figlio di Saul, opera prima in dell'ungherese László Nemes, già assistente di Bela Tarr. Da allora il film ha fatto un lungo percorso che lo ha portato a vincere il Golden Globe per il miglior film straniero e la nomination agli Oscar per la stessa categoria. E con tutta probabilità vincerà anche l’Oscar.
IL FIGLIO DI SAUL
Perché, al di là delle polemiche sul virtuosismo un po’ acchiappone del film, sulle sue ambizioni di cinema, è indubbio che questo Il figlio di Saul sia un film importante e di una forza straordinaria. Per due ore tesissime ci inchioda con gli occhi allo schermo, seguendo di spalle e in primo piano un certo Saul, interpretato da Géza Röhrig, ebreo ungherese membro del sonderkommando che ha il compito di ripulire le camere della morte di un campo di concentramento negli ultimi mesi di guerra.
IL FIGLIO DI SAUL
Sì, perché siamo a Auschwitz nell’ottobre del 1944 e quel che vediamo è in qualche modo come se lo vivessimo attraverso i suoi occhi. L'idea geniale del regista è quella di seguire solo lui, mentre un po' sfocati, ripresi quasi distrattamente e con totale realismo, scorrono gli orrori quotidiani della macchina della morte nazista.
Saul, per tutto il tempo del film, mentre attorno a lui muoiono decine e decine di uomini nelle camere a gas e nelle fosse comuni, ha un solo interesse: dare sepoltura religiosa, con tanto di preghiera del rabbino a un ragazzo ucciso dai nazisti e che lui riconosce come figlio. Anche se sentiamo dire più volte che lui non ha figli. Ma il tentativo, in un così vasto scempio di vite e corpi umani, è quello di ricomporre nella cerimonia l'identità ebraica-ungherese del protagonista e della sua gente.
IL FIGLIO DI SAUL
Proprio mentre tutto crollo. Questa missione di Saul, per quanto folle al'interno di un delirio criminale di proporzioni bibliche, è quello che lo muove, e quindi ci muove, all'interno del campo. Per Saul non c'è più senso di paura, orrore, di vita e di morte al di fuori della sua missione. Grande film di messa in scena, visto che è tutto raccontato con grandi e complessi piani sequenza che seguono Saul, è anche un grande film di lavoro sulla memoria dell'Olocausto, documentatissimo e totalmente credibile. Sarà impossibile rimanere indifferenti. In sala da giovedì 21 gennaio.
IL FIGLIO DI SAUL