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Il Granaio d'Europa quest'anno rimarrà mezzo vuoto perché il frumento non arriva al ginocchio di Volodymyr Varbanet. Di solito, ai primi di maggio si inoltra nello sconfinato mare verde ucraino e le piante sono già a metà della gamba, vengono su rigogliose e non ne trova una secca. Quando però sono appena sopra la caviglia, come adesso, è un segnale di sventura.
«Vuol dire che stanno crescendo poco, le spighe saranno piccole e avranno chicchi meno pieni... perderemo il 40 per cento del raccolto e dovremo darne una parte ai maiali e ai polli perché non sarà adatto per la farina. Maledetta sia la guerra di Putin, che ci ha portato via i braccianti, i fertilizzanti e il diesel per i trattori». Il metodo di valutazione di Varbanet, purtroppo, pare essere piuttosto preciso. Affinato in 72 anni vissuti a lavorare la terra.
LA GUERRA COLPISCE ANCHE IL GRANO 4
Il Granaio rimarrà mezzo vuoto ed è una notizia brutta l'Ucraina, pessima per l'Europa, disastrosa per Indonesia, Egitto, Pakistan, Bangladesh e Marocco che per fare il pane dipendono dall'import e a fine estate si aspettano un milione di tonnellate di frumento. «Neanche se dichiarassero oggi il cessate il fuoco potremmo recuperare», sostiene Varbanet, che pure non è un uomo che si scoraggia davanti alla fatica.
È nato qui quando la campagna di Odessa era divisa in 400 kolchoz (le fattorie collettive dell'Unione Sovietica) e i confini erano delimitati da muri di pietra verniciati di bianco. Insieme alle statue giallognole raffiguranti un operaio con la falce e una massaia che guarda un latifondo di colza, sono vestigia di un tempo che non c'è più ancora visibili a Rozkvit, il borgo rurale dove Varbanet ci ha portato per mostrarci la crisi del grano.
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«Non è solo colpa della guerra», premette lui, che è contemporaneamente contadino, ingegnere e rappresentante della Associazione degli agricoltori del distretto di Odessa, il cuore cerealicolo dell'Ucraina con 5.200 aziende e una produzione annuale che, solo di grano, supera i 4,5 milioni di tonnellate. In nessun altra regione se ne raccoglie tanto. «Lo abbiamo seminato a settembre con l'orzo, ma in autunno e inverno ha piovuto troppo poco. Il confitto, poi, ha aggravato la situazione. Questo è il momento in cui avremmo dovuto piantare il mais, ma le banche non danno i mutui per comprare semi e fertilizzanti. Oltrettutto non si trova più il carburante».
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In effetti i trattori, le motozappe, le sarchiatrici e gli aratri meccanici della fattoria di Volodymyr Bondarets, un 63enne gentile con lo sguardo triste, sono parcheggiati mestamente nell'aia, fermi e a secco. Ai pochi distributori aperti gli automobilisti aspettano due ore per dieci litri di benzina a 32 grivne (1 euro) al litro. L'alternativa è il mercato nero, dove un litro costa 45 grivne ma perlomeno non è contingentato.
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«A fine inverno mi era rimasta solo una tonnellata di diesel, l'ho consumata in quattro giorni. Non posso più seminare il granturco, 100 ettari di terreno rimarranno incolti». Grano e orzo occupano 370 ettari e Bondarets per luglio si aspetta un raccolto inferiore del 50 cento rispetto al 2021. «Dopo l'invasione il governo aveva promesso di sostenere il settore agricolo, colpito a ovest dalla siccità, a est e a sud dai bombardamenti che costringono gli operai a zappare col giubbotto antiproiettili. Nelle zone occupate, inoltre, i militari russi rubano le scorte. Il denaro del nostro governo è arrivato solo due settimane fa, troppo tardi per comprare il concime».
grano trebbiato
Se possibile, Bondarets abbassa ancora di più gli occhi. «Il pensiero mi toglie il sonno. Gestisco una fattoria di mille ettari con venti contadini che si sono arruolati nelle forze di Difesa territoriale, e quando staccano posano il fucile e impugnano la vanga. La terra non è mia e non so più come pagare l'affitto...».
Camminare tra sterminate distese di piante cresciute meno del dovuto, ascoltando i discorsi preoccupati dei due Volodymir, è una passeggiata nel secolo scorso. La fattoria di Bondarets è una delle cinque nate nel 1991 dalla dissoluzione del kolchoz Posmitnoy. Prendeva il nome dal capo, famigerato per i metodi draconiani e proprio per questo insignito per due volte, negli anni Sessanta, del premio di "grande lavoratore socialista". Era parente alla lontana di Nikita Krusciov.
colza
Posmitnoy obbligava sua moglie a stare nei campi per 15 ore al giorno e aumentava i turni agli altri. «Ripeteva: se la moglie del capo fa 15 ore perché non dovrebbero farlo tutte?», ricorda Varbanet, che lo ha conosciuto. «Odiava chi beveva, se ti beccava ubriaco al villaggio ti metteva su un camion e ti scaricava a 60 chilometri. Organizzava delle partite con il kolchoz rivale di Znamhyanka e pur di vincere faceva venire nascosto i calciatori professionisti di Odessa. Era una vita di disciplina ferrea, a parità di ettari un kolchoz produceva il 30 per cento di più rispetto a oggi». L'altro Volodymir, Bondarets, ne parla con meno enfasi. «Eravamo in una dittatura, eravamo schiavi».
olio di colza
L'analista ed esperta di agricoltura Anna Kovalchuk stima che il terreno non seminato a causa dei missili e delle mine russe ammonta al 20 per cento del totale. «Per il mercato interno abbiamo scorte per due anni, il problema è l'export: se per un europeo significherà avere meno olio di semi di girasole, alcuni paesi africani affronteranno un periodo di fame senza pane».
E anche senza olio vegetale. In mezzo a un campo di fiori gialli di colza, il contadino Volodymir Varbanet applica il suo metodo. E sentenzia: «Dovrebbero sfiorarmi il mento, invece mi arrivano al petto. Pure la colza sta crescendo poco».