Pubblichiamo il «j’accuse» completo in tre puntate sul caso Becciu pubblicato da Vittorio Feltri, direttore di «Libero», contro «L’Espresso».
PRIMA PUNTATA
Vittorio Feltri per Libero
Ore 20.12 del 24 settembre scorso. Tg1. Un nome sardo, prima sconosciuto al popolo, fa irruzione sulla scena pubblica. Da quel momento, le due sillabe Bec-ciu sono entrate nelle orecchie e immagazzinate nel cranio di chiunque abbia acceso la tivù o sfogliato un giornale. Becciu, il cardinale Becciu si è dimesso. Più precisamente Angelo ex cardinale Becciu. Anzi, si rettifica con un certo sadismo il 25: è ancora cardinale ma escluso dal futuro conclave e da qualsiasi carica per indegnità. Eminenza sì, ma solo per non costringerlo a rifarsi il guardaroba e l’intestazione sul citofono, magari per facilitare il drìn fatale, quando passerà Lucifero con il suo sacco.
codice sorgente pagina web 25 settembre espresso becciu
Ma certo che Becciu è dannato. Tocca riepilogare per sommi capi come negli ultimi 56 giorni si è cementificata la reputazione di questo che prima di essere cardinale e prete, resta pur sempre un uomo, e come tale infilato, con il sovrappiù di un berretto rosso che fa chic, in un pilastro, secondo il più classico dei copioni di lupara giornalistica bianca, che non è solo giornalismo cattivo, ma servizio ad apparati di cui mi guardo bene dal pretendere la decifrazione. Ci vorrebbe il mio amico Francesco Cossiga, ma bisogna accontentarsi. Nel nostro archivio mentale questo piccolo prete sardo, 72 anni, in questo momento risulta depositato nel cassetto dove stanno gli scandali senza rimedio.
Sin dal primo istante è stato qualificato come «nemico del Papa», identificato con il cancro chirurgicamente estratto dal corpo corrotto del Vaticano. Fin qui, chi non è avvezzo a incenso e candelieri, poteva incasellare la vicenda nel capitolo affari & affaracci di Curia. Ma il pepe che ha pizzicato il naso di tutti e il nostro bisogno perenne di sentirci migliori e di impiccare al primo palo il potente di turno, calzoni o talare non importa, è la motivazione di questo licenziamento pontificio. Una bestemmia di quelle da stracciarsi le veste, da far sprofondare il colpevole con Barabba e Giuda, senza perdono possibile, perché Francesco l’ha cacciato, secondo le definizioni correnti, perché «ladro di elemosine destinate ai poveri». Dopo la prima sorpresa per l’impatto dell’accusa, di solito c’è un piccolo spazio in cui il presunto criminale può far capolino con la sua testa e difendersi con voce forte. Becciu ci ha provato un secondo.
E ha detto una parola sulla certezza che il Papa abbia agito fuorviato. Un istante e poi quell’uomo è stato sigillato da vivo nella sua cassa da morto dello scandalo. Inchiodato con continui, ostinati colpi di martello, tac tac, con precisione, giorno dopo giorno, fino alla noia, fino a stufarci e girar pagina davanti al titolo, senza neppure leggere le interviste incomprensibili a chi non sa nulla di paradisi artificiali, azioni lussemburghesi, petrolio angolano, in un caleidoscopio dove l’unica arci-evidenza è stata di trovarci davanti a un mascalzone per fortuna precipitato nell’abisso grazie all’inchiesta inoppugnabile del settimanale L’Espresso.
Ah L’Espresso, subito ricalcato da Repubblica, dal Corriere della Sera, dalla Stampa con il suo Vatican Insider e dall’intero novero dei quotidiani più autorevoli del mondo, di cui qui mi rifiuto di fornire l’elenco perché lo ritengo un luogo comune del cazzo. La faccenda sin dagli esordi mi era parsa troppo semplice, addirittura lampante, magari grossolana per la tipologia e l’entità quantitativa men che milionaria delle accuse. Queste però mi erano parse costruite in un modo e con una sequenza tali da rendere impossibile qualunque possibilità di difesa, tanto più in presenza di vincoli ecclesiastici che chiudono la bocca a chi, come Becciu, ha fatto i voti, è vincolato al segreto di Stato per le posizioni ricoperte in Vaticano e non intende ferire il diretto superiore, e cioè il Papa. Dentro di me è scattata subito la sindrome del dubbio.
codice sorgente pagina web 24 settembre espresso becciu
In questi casi si è usi nominare Enzo Tortora. Altri lo fanno per sentito dire, invece la sua storia è parte drammatica della mia biografia umana ma anche professionale. Enzo fu soffocato da accuse ignobili (camorra, droga) tanto più credute e godute dai suoi colleghi e dal popolaccio per la molla dell’invidia che ama vedere gli angeli cadere nel fango. Per squartare un uomo meraviglioso e farne a pezzi la reputazione di persona integerrima bastò la parola di assassini malavitosi e di mitomani contro la sua. Fui tra quelli, con l’avvocato Raffaele Della Valle, che scoprirono l’imbroglio. Idem Becciu, la storia è sovrapponibile. Rubare ai poveri, dalla borsa del Papa, è persino peggio degli abusi sessuali, specie in Italia. L’unanimità dei media, l’abbandono in cui è stato lasciato da (quasi) tutti. Ho chiesto alla redazione di studiare la faccenda, di reperire cose non dette. Senza essere né l’arcangelo Michele e neppure lontanamente un cherubino, provo a staccarlo dai ganci dove lo ha appeso il boia giornalistico, consegnandolo alla gogna universale.
E soprattutto ingannando il Papa, senza che ne abbia colpa alcuna, tanto il complotto è stato ben congegnato e avallato da qualcuno che ha avuto accesso alla sua scrivania, riuscendo così a perfezionare un sacro e colossale imbroglio. Una pia frode che di più empio non esiste, perché ha giocato con la buona fede di Francesco, ha sporcato le tovaglie dell’altare di un uomo perbene. Ma - per fortuna - lo ha fatto con pura farina questa sì del diavolo, il quale come recita il proverbio non è bravo a fare i coperchi.
E nel pentolone carico di questa broda menzognera ci finiscono gli accusatori a testa in giù. Abbiamo trovato le pistole fumanti. Esse sono state depositate, prima che su queste pagine, al Tribunale di Sassari dall’avvocato Natale Callipari con la richiesta di risarcimento di 10 milioni di euro nei riguardi dell’Espresso. Perché? Su che basi? Ci sto arrivando piano, scusate ma sono forse un po’ arrugginito dovendo adattarmi all’iPad invece che far correre le dita sulla Olivetti Lettera 22, o forse è per gustare meglio la merenda. Divido in capitoli.
CAPITOLO UNO
Il cardinale Angelo Becciu si sta recando giovedì 24 settembre dal Papa a Santa Marta. Manca una decina di minuti alle 18. È un’udienza di quelle consuete, fissata tre giorni prima. Becciu, dopo essere stato sostituto alla segreteria di Stato, è dal 2018 cardine e prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, e va a esporre a Francesco a quale punto siano i processi di beatificazione e a ricevere indicazioni. Mentre è quasi sull’uscio riceve una telefonata. Un suo antico collaboratore gli riferisce che circola un articolo dell’Espresso che conterebbe accuse contro di lui. Non ha niente sulla coscienza, gli dice di tranquillizzarsi, e ripassa da eccellente uomo d’ordine quanto ha da riferire al «Superiore» senza fargli perdere tempo.
giovanni angelo becciu
L’udienza con il Santo Padre inizia alle 18.02 e si conclude alle 18.25. Al porporato è crollato il mondo addosso. Verso le ore 20, rientrato a casa, riceve un sms da un amico, dal quale apprende che il Bollettino Vaticano aveva pubblicato, alle ore 19, la notizia delle sue dimissioni da prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi con la revoca dei diritti di cardinale. Ma davvero tutto è cominciato alle 6 della sera, un’ora dopo quella classica degli avvenimenti tragici secondo Garcia Lorca?
CAPITOLO DUE
Il Papa dalle 18.02 per 23 minuti lava la testa a Becciu, con dolore ma lo fa, avendo sulla sua scrivania un articolo fotocopiato dell’Espresso non ancora in distribuzione. Qualcuno gliel’ha posto sul tavolo e ha garantito della veridicità delle accuse. Il titolo è: «La spada di Francesco sui corrotti». Come è finito questo articolo in Vaticano a quell’ora? È la copia perfetta di quello che uscirà domenica 27 (tre giorni dopo, senza alcun accenno alle dimissioni), e contiene le carte e le tesi che la sera di giovedì, poco dopo le dimissioni, Repubblica (figlia dello stesso editore Gedi) pubblica sul suo sito web. Come è arrivato quell’articolo al Papa giusto in tempo per l’udienza fissata da tre giorni? Mistero.
Un sacro ladro? Maurizio Molinari, direttore di Repubblica intervenuto la mattina di venerdì a Omnibus, su La7, narra che «ieri sera c’è stata un po’ di concitazione in redazione, perché sapevamo ovviamente dai colleghi dell’Espresso, della notizia che avevano (i presunti favori ai parenti sardi prelevati dall’obolo di San Pietro, ndr), e quando ci siamo accorti che le dimissioni di Becciu in realtà coincidevano col fatto che alcune delle prime copie stampate dall’Espresso in tipografia erano scomparse e quindi erano in qualche maniera arrivate a lui e lui (il Papa) a quel punto ha preso la decisione per gli elementi schiaccianti che i colleghi dell’Espresso hanno trovato, e poi c’è stata l’udienza drammatica». Accidenti. L’Espresso viene stampato nella notte tra mercoledì e giovedì a Oricola, provincia dell’Aquila.
Qualcuno deve averlo rubato o fatto spostare con una bilocazione dalle parti del Vaticano. Il tempo di riunirsi tra alti papaveri. Di decidere di sottoporlo al Papa affinché si prepari al volo all’udienza fissata tre giorni prima con Becciu. E oplà! Fin qui tutto è gloria per i giornalisti. Riescono con le loro (loro?) notizie (notizie?) a causare uno sconquasso mondiale. Bravi. Inspiegabile questa traslocazione dell’Espresso come la Santa casa di Loreto portata in volo da Nazareth dagli angeli, ma i miracoli esistono, non è vero?
giovanni angelo becciu papa francesco bergoglio
CAPITOLO TRE
Ecco però che accade qualcosa di strabiliante. E siamo davanti a un fenomeno stranissimo di premonizione. O forse di profezia biblica. A un gioco delle tre carte presumibilmente diabolico ma dove il trucco è così pacchiano che i magistrati vaticani, se mai volessero far bene il loro mestiere, potrebbero verificare da sé. È bastato lavorare un po’ su internet, roba facile mi spiegano quelli che qui a Libero smanettano sul web, ma il demone era troppo goloso e avido di trionfo ed è inciampato nella sua forca.
I magistrati civili di Sassari possono leggere e appurare quanto segue: «In data 24.09.2020, alle ore 10 e 12 minuti, veniva creato sul sito web dell’Espresso (https://espresso.repubblica.it) un articolo dal titolo «Ecco perché il cardinale Becciu si è dimesso. Soldi dei poveri al fratello e offshore: le carte dello scandalo. E il Papa chiede pulizia», a firma di tale Massimiliano Coccia, successivamente pubblicata online in data 25.09.2020, sempre alle ore 10 e 12 minuti. L’esatto orario di creazione della pagina web è confermato dal codice sorgente della stessa. Poche ore più tardi, più precisamente alle ore 15 e 44 minuti, veniva creato e pubblicato online sul sito web https://espresso.repubblica.it un secondo giornale dal titolo «Ecco perché il cardinale Becciu si è dimesso: L’Espresso di domenica 27 settembre», a firma della giornalista Angiola Codacci Pisanelli. L’esatto orario di creazione della pagina web è confermato dal codice sorgente della stessa.
CAPITOLO QUATTRO
becciu celebra al golfo degli aranci
Se non ci si crede, basti compulsare le immagini che pubblichiamo. Si vede che L’Espresso non solo sapeva ma gli è pure scappata la frizione ed è andato a sbattere su uno scoop persino esagerato: era in grado di annunciare le dimissioni di Becciu, prima ancora che il Papa fosse informato delle accuse e le avesse ottenute dal costernato cardinale! Lo ha fatto per ben due volte, sempre usando la formula assertiva «si è dimesso»: predisponendo una pagina con 7 ore e 50 minuti di anticipo sugli avvenimenti e poi pubblicandone un’altra 2 ore e 18 minuti prima che iniziasse l’udienza concessa dal Santo Padre al cardinale per tutt’ altri motivi, inerenti al suo ufficio. Riteniamo che abbiano messo quel colpo in canna ma non abbiano tirato il grilletto per non svelare i loro santini.
Che abbiamo posato con rispetto sulla scrivania del Papa la pistola fumante dello strano intreccio giornalistico-clericale rispetto a cui Vatileaks 1 e 2 sono bazzecole, pinzillacchere, piume per provocare il solletico. Di certo c’è qualcuno - e se esistono spiegazioni più logiche le recepirò - che ha manovrato sopra la testa del Santo Padre in condivisione d’intenti con una cordata giornalistica abbonata alla denigrazione della Chiesa e all’indebolimento del Pontefice con l’alibi di difenderlo. Certo devono essere personaggi di rango dei palazzi apostolici.
vittorio feltri
E l’ipotesi di scuola è che, mentre era in corso tra le sacre mura il lavoro degli ispettori di Moneyval, si sia voluto offrire loro su un piatto d’argento la testa di una persona di altissimo profilo per dimostrare che si fa pulizia. Per chi ne ignorasse l’esistenza, Moneyval è il comitato di esperti nel Consiglio d’Europa che valuta Stato per Stato le misure antiriciclaggio. La parola complotto mette in cattiva luce chi la pronuncia. Ne rise peraltro anche Giulio Cesare il giorno prima delle Idi di marzo: «La congiura di Bruto? Figuriamoci». Per dire che qualche volta volano coltelli partiti da mani insospettabili. Si è voluto eliminare un possibile futuro papabile o comunque un grande elettore sgradito? Mah.
CAPITOLO CINQUE
Resta un dato di fatto. Il Papa non ha finora approvato né tanto meno ha spinto per un avviso di garanzia. Che senta qualche odore di bruciato? Il cardinale è stato peraltro invitato a comparire dai due pm come «persona informata sui fatti». Ma «il superiore» (indovinate chi) gli ha ordinato di non presentarsi. Certi versamenti si riferirebbero infatti a pagamenti autorizzati dall’alto e versati su conti nella disponibilità dei rapitori in svariate parti del mondo, altro che sputtanare il cardinale Pell pagando i suoi falsi accusatori, come qualcuno ha lasciato credere: si trattava di liberare una suora colombiana, purtroppo ancora detenuta da fondamentalisti islamici. Una missione umanitaria in accordo con certi personaggi dei servizi segreti italiani.
CECILIA MAROGNA
E non è forse bene ed è persino pericoloso che si sappiano certe cose. Si indagherà? C’è sfiducia al riguardo tra chi frequenta i Tribunali vaticani. I promotori di giustizia (cioè i pm) Gian Piero Milano e Alessandro Diddi non sembrano particolarmente attrezzati specie in diritto canonico, soprattutto il secondo. Il quale, contrariamente agli avvocati che devono essere laureati in questa complicata materia per esercitare vicino al Cupolone, non ha alcun titolo nella disciplina che è la colonna giurisprudenziale su cui si reggono i tribunali del suo datore di lavoro vestito di bianco.
CAPITOLO SEI
L’avvocato difensore di Becciu osserva nella sua citazione tribunalizia come editore, direttore e giornalisti dell’Espresso «abbiano portato a compimento il “disegno” o il “piano”, iniziato con la pubblicazione dell’articolo del 24 settembre 2020 e poi proseguito con gli ulteriori contributi, finalizzato ad infangare, definitamente e con effetti irreversibili, l’immagine, l’onore ed il decoro» del cardinale Becciu. In pratica, costoro avevano dimissionato il cardinale prima ancora che il Santo Padre gli avesse chiesto di rassegnare le dimissioni. Ora si tratta di capire chi siano le gole profonde e gli utilizzatori finali dell’articolo dell’Espresso situati dall’altra parte delle mura.
Non sono piccoli maggiordomi come Paolo Gabriele, o ragazze caricate di pesi insopportabili tipo Francesca Chaouqui, ma qualcuno con alti pennacchi. Mi rendo conto. Qualcuno può rimproverare Libero. Hai mostrato che il dito è sporco, ma dovresti guardare la luna. L’ho osservata con il telescopio. Quella costruita dall’Espresso è una montatura ridicola se non fosse tossica.
CECILIA MAROGNA
Le accuse a Becciu sono smontate punto per punto nelle 74 pagine della citazione: dall’immobile di Londra ai fondi riservati consegnati a Lady Marogna «per finalità umanitarie» (leggi: liberazione di religiosi rapiti, ma non si può dire). E poi una presunta elargizione ai fratelli di Becciu che invece fu fatta alla Caritas diocesana di Ozieri; il sostegno di un amico del cardinale a un birrificio - dove inserire ragazzi autistici - per 1.200 litri di birra (milleduecento!), porte di legno commissionate al fratello di Becciu per un totale di 700 euro (settecento!). Roba da tenersi la pancia. Ma questo è ancora niente. Domani ne scopriremo delle belle. Quelle che nessuno ha finora scritto.
SECONDA PUNTATA
Vittorio Feltri per Libero
Prima di mettere mano a un’altra storia di magia, dove una donna misteriosa precedette addirittura L’Espresso nel «dimettere» per conto del Papa il cardinale Angelo Becciu, c’è una notizia che proviene da dentro le mura leonine. Avviciniamoci ad essa con il rispetto del punto interrogativo. Segnali di fumata bianca? Chi è uso a camminare per quei corridoi, vigilati dalle guardie svizzere con l’alabarda, assicura di sì. Tutto secondo i modi determinati di Bergoglio. E così, dopo che una fuliggine catramosa ha sporcato la porpora e la faccia di Angelo Becciu dal 24 settembre per 57 giorni, ieri mattina si è alzato un vento che somiglia a quello di purificazione. Lo stesso che l’ateo sudamericano e pertanto un po’ cattolico Gabriel García Márquez chiamava Spirito Santo ed è spirato in coincidenza con l’uscita delle nostre rivelazioni sul caso Becciu.
la marogna al golfo aranci
Esagerava senz’ altro, il Nobel colombiano. Né io ho alcuna intenzione di montarmi la testa. Di certo qualcosa si muove nelle stanze di Casa Santa Marta dove risiede, prega e lavora il Papa. Con velocità fulminea e bergogliana, una mutazione di costumi radicale rispetto ai tempi abituali della Curia romana, usa a «soprassedere» prima di spostare anche solo un vaso da fiori nei Giardini vaticani, ieri l’arcivescovo Nunzio Galantino, prefetto dell’Apsa (Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica), ha preso posizione sul caso Becciu in un’intervista del vaticanista Enzo Romeo, andata in onda durante il Tg2 delle 13.
In essa ha letteralmente demolito la titolazione dell’articolo dell’Espresso che fu depositato con largo anticipo sul tavolo del Papa, e che secondo il direttore di Repubblica, Maurizio Molinari, sarebbe stato il proiettile alla nuca usato da qualcuno per operare quella «character assasination», omicidio morale, che ha determinato le dimissioni di Becciu. Romeo ha chiesto a Galantino, a proposito del convegno internazionale sulla «Economia di Francesco» per un approccio etico della finanza: «Chi legge degli scandali potrebbe dire: da che pulpito... Se si è giocato con i soldi dei poveri certo sarebbe gravissimo».
Isoliamo qui la frase centrale nella risposta di Galantino: «I poveri non sono stati depredati, come qualcuno ha detto. Sicuramente non sono stati utilizzati bene alcuni soldi, e qui è il promotore di giustizia che sta capendo». Il sommario dell’articolo di cui ieri abbiamo ricostruito la storia di fughe notturne dalla tipografia aquilana a uso di un’intesa maligna per far fuori lo scomodo Becciu diceva: «Soldi dei poveri al fratello e offshore: le carte dello scandalo». Nessun obolo destinato ai poveri è stato depistato rispetto alla destinazione prevista dal Vangelo e dalle intenzioni di Francesco.
CECILIA MAROGNA
D’un colpo l’accusa infame di aver finanziato aziende di famiglia sottraendo soldi ai bisognosi, come un Robin Hood al contrario, è stata cancellata. Ci possono essere state spese incongrue, inavvedute. Su questo la Procura vaticana lavora per capire. Ciò spiega perché non ci sia stato alcun avviso di garanzia nei confronti del cardinale. E tutto induce a credere che quanto riferito dal prelato sia stato espresso secondo la precisa volontà del Papa. Galantino, 72 anni, pugliese di Cerignola, ex segretario dei vescovi italiani, è infatti la personalità di assoluta fiducia cui il Pontefice ha affidato alcune settimane fa le chiavi della cassaforte vaticana.
Se altri hanno spiegazioni diverse, siamo qui per imparare. Del resto conviene a chiunque in Vaticano ami la «Santa Chiesa» - come si dice da quelle parti - evitare di lordarne le vesti con accuse ingiuste che fanno male a un innocente ma compromettono anche la fiducia dei fedeli verso l’istituzione che ha retto sì per duemila anni, ma potrebbe essere atterrata da certi colpi. Il Papa di recente ha ricordato, citando sant’ Ambrogio, che essa è pure «Casta meretrix», casta nell’intimo ma prostituta nella sua veste sporcata dai suoi membri. Non è il caso di buttar via il bambino insieme all’acqua sporca, anche se il bambino è un cardinale sardo di 72 anni.
CHERCHEZ LA FEMME
Eccoci alla donna misteriosa. La quale è insieme la stravagante protettrice di uno dei più stretti collaboratori di Becciu al tempo del suo incarico di sostituto della Segreteria di Stato (numero 3 della Chiesa). Parliamo della strana coppia formata dalla signora Geneviève Putignani e da monsignor Alberto Perlasca. Non mi permetto alcuna allusione sul tipo di sodalizio che stringe i due. So che la Putignani è entrata di prepotenza in questa vicenda, e attendendo la sua versione ci riferiamo all’esposto-denuncia presentato ieri dai legali della famiglia Becciu, con l’assistenza dell’avvocato penalista Fabio Viglione.
In realtà la figura urlante di questa donna, usa a qualificarsi come agente dei servizi segreti (una costante che ci sforziamo di considerare una casualità), si era già palesata in un articolo sulla Verità, scritto da Giacomo Amadori, che rivelava un «aneddoto misterioso» riferitogli da un’altra donna, questa sì raccomandata per davvero a Becciu dai servizi segreti italiani, Cecilia Marogna. Di quest’ ultima - arrestata a Milano per conto dei pm vaticani e poi liberata per manifesta incongruità della richiesta - ci siamo già occupati senza citarla riferendoci ai bonifici effettuati, con l’avallo in Altissimis, su certi conti esteri e destinati a riscattare una suora colombiana ostaggio di Al Qaeda in Mali.
ALBERTO PERLASCA
Ha detto la Marogna: «Nel giugno 2020 (in realtà era il 10 luglio, ndr) una donna ha chiesto di incontrare privatamente Becciu e lui le ha dato udienza. Ha detto di chiamarsi Geneviève Ciferri Putignani e ha iniziato a urlare: “La pagherai perché non hai difeso Alberto Perlasca”». Dalla denuncia traiamo la conferma che non di misterioso aneddoto si tratta ma dell’episodio iniziale di una persecuzione sistematica, giunta alle minacce vere e proprie nei confronti non solo del cardinale ma anche dei suoi fratelli.
Una escalation progredita guarda caso in parallelo con il ruolo di accusatore a mano a mano assunto da monsignor Perlasca. Il quale da difensore accanito del suo superiore si sarebbe trasformato in una sorta di vendicatore in tandem con Geneviève, anche se tutto questo sembra essere smentito da comunicazioni affettuose verso il suo capo di un tempo. Misteri di donne e preti. Vedremo come la magistratura italiana e quella vaticana si muoveranno. Certo che qui gli intrighi non finiscono mai.
Una volta svelato l’agguato meschino e tenebroso a mezzo stampa ieri sbugiardato da Galantino (ma con L’Espresso non abbiamo ancora finito), ecco che mostra la sua faccia stregonesca un altro mistero o pseudo tale. Dopo di che resterebbe da individuare chi nel piccolo Stato «di lavandaie» (copyright di monsignor Marcinkus, buonanima) ha supportato questa operazione e a quale scopo. Chi ha tradito la fiducia del Pontefice?
MONSIGNOR GALANTINO E PAPA BERGOGLIO
L’AMICA DI PERLASCA
Ma rieccoci alla Putignani, ai contenuti specifici della denuncia, e al contesto in cui si inserisce. Geneviève compare nella vita di Becciu nel maggio del 2020, con una telefonata. Si presenta come una signora che conosce molto bene monsignor Alberto Perlasca e manifesta tutta la sua preoccupazione per quanto gli sta succedendo, soprattutto per il licenziamento del prelato deciso dalla Santa Sede.
(E qui conviene spiegare. Insieme ad altri sacerdoti e laici facenti capo alla segreteria di Stato, Perlasca era stato fatto oggetto di avviso di garanzia; presentatosi ai promotori di giustizia vaticani, apprende del suo licenziamento in tronco). L’avvocato Natale Callipari di Verona, che tutela l’intera famiglia Becciu, ha raccolto la testimonianza del cardinale. «La donna ha chiesto con toni insistenti che faccia qualcosa per Perlasca, che parli con il Papa per convincerlo a riconoscere la sua innocenza. Becciu, che vuol bene al monsignore, mostra benevolenza e persino condivisione. Le assicura che avrebbe fatto di tutto per difenderlo».
Becciu riteneva che non l’avrebbe «più sentita e tanto meno vista». Aveva congedato al telefono una gentildonna, si ritrova pochi giorni dopo una iena in casa. La riceve il 10 luglio verso le ore 19 nel suo appartamento in Vaticano. Ricevuta da suor Sara, una delle due religiose di casa, viene fatta accomodare in salotto. «Sua Eminenza andò tutto contento pensando di incontrare una signora premurosa e riconoscente per quanto stava facendo per il suo amico». Adesso val la pena citare il racconto in prima persona raccolto dal legale.
Si capisce tutto dell’uomo: «Quale fu la mia delusione sin dalle sue prime battute! Trovai una donna fredda, spietata e insolente. Iniziò anzitutto con il beatificarmi il monsignore Perlasca che definiva uomo intelligente, dedito al bene altrui e anima sensibilissima. Poi iniziò a rimproverarmi che non avevo fatto niente per lui, che non è vero che ero andato dal Papa come le avevo assicurato nella precedente telefonata o, se vi ero stato, non avevo assolutamente preso le difese del suo protetto e che, anzi, volevo fare di tutto per disfarmi di lui».
TENTATO SUICIDIO
stabile di sloane avenue londra
E dire che Becciu era intervenuto per aiutare e proteggere Perlasca nelle difficoltà, anche da un tentativo di suicidio. Alla signora non interessa niente, accusa il Cardinale di aver voluto eliminare il monsignore chiamando un medico per dargli una dose massiccia di narcotico onde eliminarlo. «Alla mia reazione piuttosto forte di fronte a tutte queste insolenze, rispose con una minaccia: “Si ricordi, se lei non farà di tutto per restituire onore e impiego a monsignor Perlasca perderà la sua berretta cardinalizia e il suo cappello sarà un bel ricordo ignominioso per Lei!”.
In toni più miti aggiunse però che, se accettavo, poteva inviarmi in una di quelle sere il suo autista per portarmi a casa sua, nella sua villa, ove poter discutere meglio sulla vicenda. Tra l’altro si era presentata come un ex agente segreto». Un’ora «di amara conversazione». Becciu la ritenne a questo punto una mitomane. L’indomani la signora cominciò a inviargli messaggi minacciosi su Whatsapp.
Poi bloccò il contatto sul telefono e non la vide e non la sentì più. Finché verso il 10 settembre la Putignani non si fece viva con il fratello del cardinale, Mario, professore universitario, il quale ricevette una telefonata i cui contenuti ripropongono la profezia, ma in termini ancora più precisi. Indagheranno i magistrati, ma ecco quanto riferisce la denuncia sottoscritta dal congiunto del cardinale in merito a due comunicazioni della dottoressa Geneviève Putignani.
Geneviève: «Lei è il signor Becciu, psicologo? Ex religioso (in realtà ex seminarista, ndr) Suo fratello è Tonino Mi presento io ero operativa ai Servizi Segreti nella sezione Studi strategici (non ricordo l’elenco lungo della denominazione)!». Mario: «Vedo che ci conosce proprio bene! Ma allora qual è lo scopo di questa sua telefonata?». Putignani: «Forse non mi sono spiegata bene, suo fratello è finito e con lui anche lei col suo birrificio È un uomo morto!». Mario: «Questo l’ho capito. Come mai continua a ripetermelo?».
Putignani: «Per dirle che non avrà scampo: il suo potere con la stampa, i giornalisti, è finito! Lui è pieno di sé: gliel’ho detto quando mi ha ricevuto nel suo appartamento, ma lui ha la protervia di voi sardi. Si crede superiore a tutto. Finirà in carcere. Anzi tenga bene a sentire quello che le sto per dire: fra non molto, dopo il 15 settembre, sicuramente prima del 30, suo fratello perderà la berretta cardinalizia!».
MINACCE RIPETUTE
Seconda telefonata a Mario Becciu. Putignani: «Buongiorno signor Becciu sono ancora io, la dottoressa G.P. Volevo ribadirle quanto già riferito. Tutto ormai è finito. Non c’è alcuna via di scampo!». Mario: «Ma se non ci sono novità possiamo chiuderla qua, come mai mi richiama?». Putignani: «Lei forse non ha capito o non vuole capire: suo fratello ha finito e con lui lei, il birrificio e suo fratello Tonino!». Mario: «Quindi insiste nel ripetermi quanto già ampiamente detto! Lei minaccia tutte queste cose, ma non capisco il come mai. Sento tanta sofferenza, lei è una donna che sta soffrendo tanto: mi dispiace. Come mai?».
stabile di sloane avenue londra
Putignani: «Sì, è tanta sofferenza. Suo fratello ha fatto tanto male, ma ora ha finito. La sua supponenza gli impedisce di capire che non è più un uomo potente! È così pieno di sé! Sono pronte le manette per lui!». Mario: «Pazienza! Eserciterò una delle sette opere di misericordia corporale e andrò a trovarlo in carcere!». Putignani: «Ha la stessa supponenza di suo fratello! Lui che ha ribaltato la sua bassa origine con un ruolo di vertice». Mario: «Bassa nel senso della statura?».
Putignani: «No, bassa come dire figlio di poveri». Mario: «Bassi? Mi pare che abbia detto fin troppo. Ora le chiudo la telefonata». Putignani: «Sì, chiuda pure Dopo il 15, sicuramente prima del 30, le sarà tutto più chiaro!». Per capire il clima in cui si è ritrovato il cardinale Becciu in questi mesi, bastino questi altri stralci.
MESSAGGI SU WHATSAPP INVIATI DALLA PUTIGNANI AL CARDINALE BECCIU. 11 luglio 2020 - ore 22.06 (la Putignani aveva incontrato il cardinale il giorno prima). «Eminenza Rev.ma, alla luce dell’animato colloquio intercorso ieri sera, 10 luglio h. 20, che mi ha visto contrapposta a Lei, benché unita a Lei, nel reciproco obiettivo di bene per la persona in oggetto; La invito, ancora una volta, a contribuire alla risoluzione del problema, da cui non può esentarsi, detenendone la piena responsabilità morale. Reitero quindi la preghiera di mettere la Sua porpora al servizio della giustizia e della verità, e non della codardia e della simulazione. D’altra parte non Le tornerebbe utile, né gioverebbe al bene della Chiesa, trincerarsi dietro la cortina della supponenza e dell’arroganza. Devoti ossequi. Dott.ssa Geneviève Putignani».
FABRIZIO TIRABASSI
15 luglio 2020 - ore 7.23. «Eminenza Rev.ma, appena rientrata da Londra, e sulla base del nostro colloquio, mi pregio informarla che ho provveduto a chiudere alcuni rubinetti, per riaprirne altri, passati e recenti, di più sostanziale importanza. Con dispiacere, deduco Lei dovrà procurarsi legali, su suolo inglese e italiano, di maggior caratura rispetto a quelli consigliati paternamente al Suo ex collaboratore. Spesso si cade nella suggestione della propria onnipotenza, e di conseguenza nell’ingenuità di credere che persone soggette a noi da anni, possano continuare ad essere manipolabili sempre. Si sottovaluta quindi la possibilità che persone altre possano intervenire a sostegno e difesa di queste ultime, per ristabilire principi di giustizia e verità disattesi per propria opportunità. Ciò quanto accaduto nella fattispecie. Devoti ossequi».
15 luglio 2020 - ore 8.48. Scambio di messaggi fra il cardinale Becciu e monsignor Alberto Perlasca. Becciu: «Buon giorno, Alberto! Veramente non so che dire e che fare dopo questo messaggio che la Signora mi invia e che è sempre sullo stesso tono insultante con cui mi ha aggredito venerdì sera». Perlasca: «Eminenza, buon giorno. Sono desolato. La scongiuro, lasci perdere... e comunque non è assolutamente il mio pensiero. Alberto Perlasca». Becciu: «Ti ringrazio. Sappi che sarò sempre al tuo fianco e quello che posso fare lo farò. Buona domenica!». Perlasca: «Lo so, lo so... ed è l’unico». Dopo qualche settimana, ecco che a soccorrere le minacce della signora, giungerà una copia dell’Espresso trafugata dalla tipografia. A domani.
TERZA PUNTATA
Vittorio Feltri per Libero
fabrizio tirabassi enrico crasso gianluigi torzi
Il killer giornalistico, che L’Espresso e qualcuno in Vaticano hanno usato per freddare il cardinale Angelo Becciu, è ufficialmente un falsario, noto come tale alle forze dell’ordine. Massimiliano Coccia, 35 anni, brilla negli schedari della polizia quale condannato sulla base dell’articolo 476 del Codice penale. «Descrizione del reato: falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici. Nota: il Tribunale di Roma ha concesso la messa alla prova all’imputato in data 27.02.2019. Ha sottoscritto il verbale di messa alla prova. Lo stesso svolgerà lavori di pubblica utilità presso il PID di Roma». Pubblico ufficiale, un giornalista? Mistero.
Sapeva di questa macchia gigantesca il direttore dell’Espresso, Marco Damilano, quando ha deciso di servirsi di Coccia per fare strame di una persona perbene? Perché non ha invitato Coccia a sentire l’accusato? Perché gli ha addirittura affidato una pagina sul sito del settimanale per scrivere - 7 ore e 48 minuti prima che il Papa invitasse Becciu alle dimissioni - che quest’ ultimo era stato dimissionato da Francesco? Di certo non avevano il diritto di ignorare le attività di falsario del Coccia i pm vaticani. Qualcuno tra i solerti collaboratori del Papa ha chiesto il loro avallo prima di depositare sulla scrivania del Santo Padre, quasi fosse oro colato, l’articolo firmato da Coccia?
È presumibile. Chi ha rovesciato la cascata di accuse intitolate «Soldi dei poveri al fratello e offshore» non era una sorgente d’acqua pura, ma di un pozzo inquinato. Si mosse anche un porporato importante, addirittura il ministro della Giustizia del Vaticano, che da quelle parti si chiama Prefetto della Segnatura Apostolica, il cardinale Dominique Mamberti, per segnalare a Bergoglio che circolava un falsario in Vaticano, e usava addirittura fingersi prete e segretario del Papa. Quest’ ultimo, saputo dello sciacallaggio nei confronti di un padre e di una madre che avevano perduto la figlia adolescente, si mostrò addolorato e invitò le vittime dell’infamia a una sua messa privata. Chi era lo «sciacallo»?
la casa di becciu postata dalla marogna
Lui, Coccia. Piazza pulita? Niente da fare. Neanche il cardinale poté far nulla. La denuncia presentata nel febbraio del 2019 presso il Tribunale vaticano è rimasta lettera morta. I promotori di giustizia (pm) Gian Piero Milano e Alessandro Diddi non diedero corso ad alcuna inchiesta, nonostante la «notitia criminis» fosse stata riferita all’orecchio del Papa. E così costui, Coccia, si è ripresentato in questi ultimi mesi nei Sacri Palazzi con la sua bomba, ma nessuno lo ha fermato.
Di sicuro, invece di lavorare alla onlus Pid (Pronto intervento disagio), cooperativa sociale che ha «l’obiettivo di dare risposte ai problemi di quanti vivono situazioni di detenzione», ha impiegato le sue energie per diffamare e distruggere l’immagine e la vita stessa di uno degli uomini più eminenti della Chiesa cattolica. Il primo colpo decisivo Coccia lo ha assestato il 24 settembre. L’«inchiesta» è stata seguita da altri quattro articoli, in altrettanti numeri del settimanale fondato da Arrigo Benedetti e sul quale ancora firma Eugenio Scalfari, dando così autorevolezza alla testata in nome della sua ostentata frequentazione dell’appartamento papale di Casa Santa Marta.
LA TRAGEDIA
Ho sentito ieri Enrico Rufi, giornalista di Radio Radicale, emittente benemerita in cui Coccia si è specializzato in interviste per così dire «di sinistra», diventando il pupillo di Roberto Saviano. Ho tra le mani il suo esposto presentato alla Procura di Roma il 7 febbraio 2019. Identica denuncia inoltrò in quei giorni in Vaticano. La premessa è questa, tragica. Rufi perse la figlia il 1° agosto 2016. Aveva 16 anni. Rufi è ancora commosso, e insieme dilaniato. Una delegazione di Radio Radicale aveva già chiesto di essere ricevuta dal Papa, in nome della comune battaglia per i diritti dei carcerati.
la copertina dell espresso sul caso becciu
C’erano buone possibilità di essere accettati. Come intermediario si propose Coccia. Rufi non avrebbe dovuto far parte della piccola comitiva. Ma stavolta per lui era importante. Voleva ricordare al Pontefice che le ultime immagini che la ragazza aveva negli occhi e nel cuore erano quelle di Francesco. Desiderava esser lì con Rita Bernardini e gli altri «al fine di donare al Papa il libro che ho scritto sulla vita di mia figlia Susanna («L’Alleluja di Susanna»), che, come tristemente noto, perse la vita al ritorno dal viaggio in Polonia in occasione della Giornata mondiale della gioventù, nell’estate del 2016, per una meningite fulminante».
Coccia gli si propose, vantando robusti agganci, per consentire addirittura un’udienza privata a Enrico e alla moglie. Iniziò un’incredibile finzione. Appuntamenti fissati e poi disdetti. Chi scriveva a Rufi era un sedicente sacerdote della Casa pontificia, don Andrea Andreani, che inviava mail dall’indirizzo donandreaniandrea@gmail.com. Una burla? «Uno sciacallaggio». Che venne alla luce quando, sospettando la truffa di Coccia, lo stesso Rufi interrogò la Casa pontificia. Gli rispose Stefano De Santis dalla Gendarmeria vaticana, citando padre Leonardo Sapienza, ancor oggi strettissimo e fidato collaboratore di Francesco. Le righe che seguono spinsero Rufi a presentare immediatamente alla Procura di Roma una denuncia contro Coccia: «Le rispondo su incarico di Mons. Leonardo Sapienza, R.C.I. Reggente della Prefettura della Casa Pontificia. All’uopo sono a comunicarle che non risulta alcun sacerdote rispondente al nome di Andrea Andreani dipendente della Santa Sede ovvero dello Stato della Città del Vaticano. Stefano De Santis».
LA LETTERA
Non accade nulla. Passano i mesi. Finché Rufi vede in televisione un vecchio amico, conosciuto anni prima mentre preparava il dottorato a Parigi. Ha fatto carriera: è Dominique Mamberti, è cardinale, ministro della Giustizia vaticana. Rufi gli scrive una mail il 2 ottobre del 2019: «Carissimo cardinal Mamberti, L’ho riconosciuta con piacere l’altro giorno in televisione alla Messa per Jacques Chirac a Saint-Sulpice (...) Solo in questi giorni ho scoperto che all’origine del dramma della figlia di Chirac, Laurence, c’era stata una meningite quando lei aveva quindici anni.
coccia da bambino vestito da guardia svizzera
Quante volte, per consolarci (!), abbiamo cercato, mia moglie Margherita ed io, di convincerci che Susanna “salvata” avrebbe potuto non essere più lei, che la morte può averle risparmiato una vita che le conseguenze spaventose della meningite avrebbero potuto rendere terribile. A tre anni di distanza da quel 1° agosto 2016, recuperare un po’ di pace è però difficilissimo, tanto più che in questo periodo troppo dolore si è aggiunto al dolore. In particolare, la vicenda del millantatore-sciacallo (Coccia, ndr), di cui Claudio ed io l’abbiamo messa al corrente.
Tuttavia, non oserei probabilmente richiamare nuovamente la Sua attenzione su questa vicenda se si trattasse di una faccenda meramente privata. Nessun risentimento personale nei confronti miei o della mia famiglia ha spinto all’azione il personaggio in questione, ma solo la spregiudicatezza di chi ha obiettivi personali - in termini di carriera - da perseguire ad ogni costo, senza guardare in faccia nessuno, come si suol dire. Infatti la lista delle sue vittime è lunga e varia, e molte, come Le dicevo, sono all’interno della Chiesa, a tutti i livelli.
Credo che l’esposto che io ho fatto al Tribunale vaticano possa essere un’occasione preziosa per cercare di disinnescare questa mina vagante, non solo per evitare che il mitomane faccia nuovi danni e nuove vittime, ma anche per aiutarlo, lui che ha appena trentaquattro anni, a difendersi da se stesso. Mi può confortare, Cardinale, in questo mio convincimento? Posso confidare, secondo Lei, che una denuncia del genere non rischi di essere archiviata? Enrico, con Leila e Margherita».
LA RISPOSTA
coccia stringe la mano a papa francesco
Il cardinale Mamberti, ministro della Giustizia, risponde il 4 novembre: «Caro dott. Rufi, chiedo scusa se non ho risposto subito al Suo messaggio del 2 ottobre. Per quanto riguarda la Sua denuncia presso il Tribunale Vaticano, non ho novità, ma sia sicuro che non l’ho dimenticata. Sono stato ricevuto in udienza da Papa Francesco lunedì scorso e gli ho parlato della vicenda. Egli volentieri vi saluterebbe (Lei e i Suoi) o al termine della Messa quotidiana a Santa Marta, oppure in un altro momento, secondo le disponibilità.
Mi dica quale sarebbe la vostra preferenza e mi metterò in contatto con gli uffici interessati per fissare la data. Con un cordiale abbraccio, Dominique Card. Mamberti». Mamberti deve averla dimenticata. O forse il capo della Giustizia Vaticana non è riuscito a farsi obbedire dai suoi procuratori Milano e Diddi, che hanno ritenuto una contraffazione ai danni del Papa e di due genitori straziati - quella di Coccia - qualcosa cui soprassedere.
IMMONDIZIA
Ed ecco Rufi ritrova il nome del falsario Massimiliano Coccia legato ad accuse gravissime e fatte passare per vere agli occhi del Papa. Mi dice: «Com’ è stato possibile che negli uffici di Francesco nessuno abbia fatto due più due e bruciato questa immondizia proveniente da un simile personaggio?» Alla fine scrive all’amico cardinale il 3 ottobre scorso.
roberto saviano massimiliano coccia
«Bentrovato, cardinal Mamberti. Spero non Le sia sfuggito che il Massimiliano Coccia dell’articolo sull’Espresso contro il cardinal Becciu è lo stesso Massimiliano Coccia - il mitomane-sciacallo - della denuncia che giace da febbraio dell’anno scorso nel Tribunale vaticano. Mi permetto di richiamare la Sua attenzione perché credo che si tratti di un’informazione preziosa per papa Francesco. Alla vigilia della festa di San Francesco Le mando i miei più affettuosi saluti. Enrico». Nel frattempo la morsa si stringe sulla direzione dell’Espresso che si serve di un simile personaggio. Ieri è stato depositato al Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti e all’Ordine del Lazio un esposto a firma dell’avvocato Natale Callipari, legale di Becciu. Non sono cose che mi entusiasmano, sia chiaro.
Ma nell’atto si rileva che Coccia, il quale potrebbe persino essere non iscritto all’Albo dei giornalisti, ha potuto diffondere falsità clamorose senza che l’«autorevole» settimanale abbia sentito il dovere di interpellare il bersaglio della campagna diffamatoria, cioè Becciu. Nello specifico Coccia nel numero dello scorso 1° novembre ha scritto del cardinale: «dal 28 ottobre formalmente indagato dalle autorità vaticane», violando un articolo deontologico preciso che impone la «verifica, prima di pubblicare la notizia di un avviso di garanzia che ne sia a conoscenza l’interessato» e «se non fosse possibile (il giornalista) ne informa il pubblico».
massimiliano coccia.
Non ha verificato nulla L’Espresso perché ciò che non esiste è inverificabile. A questo punto ci domandiamo. A che titolo e da che pulpito un giornale si permette di fare la morale a un cardinale e a Libero dopo che ha mandato un killer mediatico specializzato in falsità a far fuori un uomo di Chiesa che non ha avuto alcuna possibilità di difendersi? A questa domanda (retorica) ne aggiungiamo un’altra: di quali protezioni ha goduto e gode ancora in Vaticano, questo incredibile personaggio, Coccia, cappellano dell’Espresso? Con l’assistenza o quanto meno con l’inerzia di chi, negli apparati della Santa Sede, il finto prete don Andrea Andreani ha potuto violare la sicurezza del Papa?
Da ''Libero Quotidiano''
12 DOMANDE A MARCO DAMILANO, DIRETTORE DELL’«ESPRESSO»
massimiliano coccia
- È vero o non è vero che alle ore 10.12 del 24 settembre, con 7 ore e 50 minuti di anticipo sull’udienza in cui Francesco fece dimettere il cardinale Angelo Becciu, sul sito dell’«Espresso» fu creata una pagina con il titolo «Si è dimesso»?
- Come faceva il settimanale a conoscere ciò che il Papa non aveva ancora comunicato al diretto interessato? Qualcuno lo aveva informato di ciò che sarebbe accaduto? Chi?
- È vero o non è vero che alle ore 15.44 dello stesso 24 settembre fu pubblicata sul sito dell’«Espresso» una pagina con il titolo «Ecco perché il cardinale Becciu si è dimesso”»?
- Come fece «L’Espresso» a divulgare questa notizia ben 2 ore e 18 minuti prima che cominciasse l’udienza del Papa allo stesso cardinale?
- Quando iniziò a pubblicare gli articoli contro Becciu la direzione dell’«Espresso» sapeva che il loro autore Massimiliano Coccia si era macchiato del reato di «falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici»? E sapeva che il Tribunale di Roma, il 27 febbraio 2019, aveva concesso a Coccia «la messa alla prova», assegnandolo a «lavori di pubblica utilità»?
- La stessa direzione era a conoscenza del fatto che l’autore dell’inchiesta fu oggetto di un esposto presentato il 5 febbraio 2019 alla Procura di Roma da Enrico Rufi, giornalista di Radio Radicale che ha perso tragicamente una figlia, al quale Coccia, millantando le sue conoscenze e creando l’identità di un sacerdote inesistente in Vaticano, aveva promesso di procurare un incontro con papa Francesco?
- Era a conoscenza del fatto che Coccia fu oggetto di un secondo esposto presentato da Rufi al Tribunale vaticano e che lo stesso Rufi ottenne dal cardinale Dominique Mamberti, prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, la rassicurazione che della sua denuncia era stato informato papa Francesco?
- Ha verificato che Coccia, nell’espletamento del proprio lavoro, risultasse iscritto in uno degli albi dell’Ordine dei giornalisti (professionisti, pubblicisti, praticanti), onde evitare che «L’Espresso» affidasse una delle inchieste più scottanti della sua storia a una persona che da molti anni esercita abusivamente la professione giornalistica? E, avuta notizia della sua mancata iscrizione, ha chiesto a Coccia di motivarla?
- Sapeva la direzione dell’«Espresso» che Coccia non si è mai preoccupato di interpellare il cardinale Becciu circa le gravissime accuse che gli muoveva nei propri articoli, come sarebbe stato elementare dovere di chi dice di voler perseguire la verità e come è prescritto dall’articolo 9 del Testo Unico dei doveri del giornalista?
- Sapeva la direzione dell’«Espresso» che fin dal mese di maggio 2020, cioè ben prima che Coccia pubblicasse i suoi articoli, tale Geneviève Putignani aveva ripetutamente minacciato il cardinale Becciu – sia personalmente sia attraverso un suo fratello – pronosticandogli che fra il 15 e il 30 settembre avrebbe perso la berretta cardinalizia? Come spiega tale singolare circostanza?
- Sapeva la direzione dell’«Espresso» che quando Coccia scriveva nei suoi articoli che il cardinale Becciu era indagato, ciò non corrispondeva in alcun modo alla verità ma serviva solo a pregiudicare l’immagine dello stesso cardinale presso l’opinione pubblica?
- È consapevole la direzione dell’«Espresso» che l’articolo iniziale di Coccia e poi i successivi hanno costituito il momento essenziale di una manovra sotterranea di vasta portata e di scopi occulti per indurre il Papa a eliminare Becciu dai vertici della Santa Sede?
massimiliano coccia