Gian Luca Bauzano per corriere.it
riccardo chailly
Nel mondo è tra i 10 titoli operistici più amati. Ma questa non è la ragione della scelta di aprire il prossimo 7 dicembre la stagione del Teatro alla Scala con Boris Godunov di Musorgskij. «Capolavoro assoluto, pietra miliare nell’arte e non solo lirica. Patrimonio dell’umanità. Impensabile non portare a compimento un progetto come questo pensato anni fa. Oggi questa proposta viene fatta dialogare dai media con la situazione politica internazionale, il conflitto russo-ucraino. Ma non è così».
Riccardo Chailly non esita nel rispondere. Il direttore musicale scaligero, sul podio della serata di Sant’Ambrogio, alla quale è stata annunciata la presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ci tiene a sottolineare l’importanza di questa scelta per la Scala e per la nostra cultura. «Un capitolo legato al mio percorso artistico, condiviso con il sovrintendente scaligero Dominique Meyer. L’idea del progetto è in parte scaturita parlando anni fa con Ildar Abdrazakov durante le prove di Attila di Verdi, titolo con cui nel 2018 ho aperto la stagione».
BORIS GODUNOV
All’epoca Abdrazakov era Attila, ora è Boris nell’edizione firmata dal regista danese Kasper Holten: «Siamo entrati in sintonia sin dall’inizio. Anche se non avevamo mai lavorato assieme. Nelle sue idee registiche mi ritrovo», dice Chailly. Allestimento giocato sulla narrazione della secolare storia russa, scritta su un gigantesco rotolo di pergamena che dall’alto attraversa la scena e si appoggia su una macro carta del “continente” russo che è cornice all’azione, divisa in sette quadri autonomi tratti dall’omonimo testo di Puskin.
Boris una scena del nuovo spettacolo
riccardo chailly e sergio mattarella 3
Vicenda cupa: narra dell’ascesa al trono, nella Russia di fine ‘500, di Boris Godunov. Diviene zar grazie all’assassinio del giovane e vero erede, lo zarevic Dimitri. Anni di regno violento e l’arrivo del monaco Grigorij, impostore pretendente al trono di Boris, portano quest’ultimo alla follia e alla morte.
Abdrazakov, da Attila a Boris...
«Un interprete eccezionale. Lavoro con lui da almeno 20 anni. Anche su progetti sinfonico-corali. La sua autorevolezza vocale corrisponde al peso dell’interpretazione di questo ruolo.
Boris Godunov
Durante le prove di Attila iniziammo a parlare della potenza della partitura, della drammaticità della vicenda, del valore profondamente simbolico della narrazione. In particolare della versione che dirigo il 7 dicembre, quella del 1869, la prima scritta da Musorgskij, poi soggetta a riadattamenti richiesti dalla censura dell’epoca».
In scena il cosiddetto l’Ur-Boris, quasi un inedito per la Scala.
«Definirei scabroso per la sua modernità questo testo musicale. Con i professori d’orchestra, durante le prove abbiamo commentato l’originalità delle soluzioni. Versione già diretta nel 2002 da Valery Gergiev ma al Teatro degli Arcimboldi. Ora approda alla Scala. Idealmente riallacciandosi a uno storico 7 dicembre, quello del 1979: Claudio Abbado esegue questa partitura ma, rispetto ai sette quadri originari della prima stesura, ne aggiunge altri due scritti successivamente da Musorgskij».
riccardo chailly 1
Nel 1979 il gesto di Abbado venne letto come audace. La Scala il tempio del melodramma italiano nel mondo, inaugurava la sua stagione con un titolo “straniero”. Era capitato solo un’altra volta, nel 1974 con Fidelio di Beethoven e lo dirigeva un tedesco, mitico, Karl Böhm. La scelta abbadiana risultò essere una pagina indimenticabile negli annali scaligeri: a firma di Jurij Ljubimov la regia, a dir poco ieratica. Non solo. Si tratta del primo 7 dicembre presidenziale per Sandro Pertini, insediatosi al Quirinale nel 1978; al palco centrale preferisce la poltrona in platea, una scelta, questa, che lo contraddistingue ogni volta che andrà alla Scala. Dove Boris, opera amata da Arturo Toscanini, nel 1909 aveva avuto la prima rappresentazione italiana.
boris godunov
Ma Abbado, del quale lei è stato assistente, dica la verità, non c’entra proprio nulla con questa scelta?
«Resta indelebile il ricordo di quella serata del 1979. Come potrei dire il contrario. Pur non essendo più il suo assistente, Claudio mi aveva dato il permesso di seguire tutte le prove. All’epoca, però, grazie a lui, stavo scoprendo Mahler e Berg, Shönberg e il sinfonismo di Brahms. Ed è stata una sua scelta a farmi iniziare l’esplorazione del repertorio russo alla Scala. Questo Boris rappresenta il terzo capitolo di quel percorso»: Abbado nel 1981 invita Chailly a dirigere La fiera di Sorocincy, titolo sempre di Musorgskij; poi nel 1994, oltre un decennio dopo, è la volta di Prokofiev: un indimenticabile Angelo di fuoco. Adesso Boris.
Anche lei, come aveva fatto all’epoca Abbado, fa una scelta non italiana per il 7 dicembre. Una virata dal suo percorso scaligero iniziato con Verdi giovane, Puccini...
chailly
«Fondamentale per un direttore musicale imprimere a un teatro scelte culturali significative. Boris in realtà è la naturale “continuazione”, potremmo dire, del mondo verdiano di Macbeth, opera con cui abbiamo inaugurato il te atro nel 2021. Ci sono soluzioni musicali nelle due partiture che collegano le due opere. E noti una cosa, le date: l’ Ur-Boris è del 1869 e solo quattro anni prima Verdi siglava la seconda versione di Macbeth. Come scriveva un grande del podio come Tullio Serafin, la grandezza di quest’opera ha un debito profondo nei confronti di Verdi e di quel cupo realismo con il quale dipinge Macbeth. La sua vertigine del potere».
Uno zar russo e un monarca scozzese, assassini per conquistare il trono e infanticidi. Se non c’è politica e attualità in questo...
«La vertigine del potere, come scriveva appunto Serafin, purtroppo rappresenta un comune denominatore di tante realtà, in tanti momenti storici. Se intende che dirigere Boris alla Scala sia una scelta politica nel senso di legarla all’attualità di questi mesi, assolutamente no. Al contrario è politica, nel senso di difesa della cultura. Far comprendere che l’arte non può avere etichette di qualsiasi tipo.
boris godunov con Ildar Abdrazakov
Oltre 25 anni fa con Decca lanciammo un progetto pluriennale di denuncia nei confronti della discriminazione e del razzismo artistico. Iniziammo a incidere la cosiddetta Entartete Musik, la “musica degenerata”. Così il nazismo aveva etichettato la produzione di geni come Mahler, Zemlinsky, Berg o Schönberg, tutti artisti ebrei condannati dal regime solo per la loro origine. Fu un gesto politico. Certo. Ma nel senso di difendere il valore assoluto dell’arte. La scelta di dirigere Boris oggi e in occasione di una serata come l’inaugurazione della Scala, con i riflettori dei media di tutto il mondo puntati, si lega a considerazioni come questa».
claudio abbado 4
Despoti, assassini, infanticidi. Eroi negativi. Una luce di speranza?
«La troviamo alla fine di questa prima versione. Boris poco prima di morire ha una delle sue allucinazioni. Lo ritengo il climax dell’opera. Musicalmente potentissimo. Le sue ultime parole sono: “Perdonate”. Su un rullo di timpano rarefatto, la tragedia si chiude. L’anima è redenta».
riccardo chailly