Ubaldo Pantani imita Dago a ''Quelli che...dopo il TG''
Fulvio Abbate per “il Dubbio”
FULVIO ABBATE
Ecce Ubaldo, il nostro Diabolik televisivo. Sì, Ubaldo Pantani, attore, imitatore, fantasista, faccia (all’occorrenza) di gomma multipla, batiscafo vivente delle movenze dei pubblici casi umani, sempre lì pronto a sondare, con i suoi trucchi somatici essenziali (mai che, insomma, diventino mascherone) le miserie, le diarree interiori e i tic altrui, Ubaldo che, come ogni vero implacabile Diabolik, andrebbe liberato dalla gabbia nel quale le modeste regole del bon-ton e del cin-cin post-democristiano televisivo lo blindano, dove in luogo di “coglione o cojone” costringono a dire “schiocchino”.
ubaldo pantani massimo cacciari
Spiego meglio: un talento come il suo dovrebbe essere fornito di speciale salvacondotto. In che senso e modo? Semplice: qualcuno, magari direttamente il capo della Polizia (o piuttosto, dai, il suo corrispettivo presso la benemerita squadra del buoncostume) dovrebbero magari insieme prenderlo da parte, e intanto dirgli così: Pantani, faccia lei, faccia come meglio crede, sì, li smerdi davvero tutti, già duro, li ha visti in faccia, diventi lo sfollagente che tutti auspichiamo, non sarebbe un invito al fascismo, semmai alla liberazione dalla protervia…
DAGO BY UBALDO PANTANI
D’altronde, una società fondata sulla pubblica supponenza delle classi dirigenti e dei suoi raccattapalle non merita altro se non l’avvento di un imitatore che inchiodi al legno del ludibrio uno a uno proprio i personaggi che contano, la “gente che piace”, povere facce di cavolo, presto piantati tutti sulla croce della propria miseria, ma per far questo occorre appunto un salvacondotto, cioè che Pantani possa liberamente usare gli implacabili acidi del turpiloquio liberatorio.
DAGO BY UBALDO PANTANI
Tra i suoi personaggi, primo fra tutti, ora che ci penso, c’è una maschera che andrebbe portata alle estreme conseguenze comiche, di più, affidato all’assoluto scenico dell’anarchico Antonin Artaud e del suo “teatro della crudeltà”, ed è di sicuro la maschera di Roberto D’Agostino; peccato invece che diversamente dalla fluorescenza del Dago reale, Pantani, lì nel piccolo chalet gaio come te di Raidue, “Quelli che il calcio”, non possa sgranare da subito il rosario del “cazzo fica culo pompino ecc…”, cioè l’occorrente completo della satira stessa, come si addice agli spiriti liberi, pronti a fare il verso a chi a sua volta, come Dago, fa professione di disinvoltura, di mannaia liberatoria.
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In compenso, Ubaldo nostro, nonostante la mordacchia posta dall’orrendo freno a disco nazionalpopolare domenicale, è riuscito comunque a crocifiggere, anzi, a garrotare il perbenismo un po’ untuoso da “commesso di antica libreria”, così il compianto Gianfranco Funari definiva Augias, aggiungendo ancora che quell’uomo in tweed “parla dei libri come se gli avesse scritti tutti lui”.
Già soltanto per quest’opera di igiene essenziale d’ogni prosopopea Ubaldo Pantani dovrebbe essere acclamato, a meno che tu abbia la perversione di apprezzare Augias al mattino nella sua pensione gozzaniana di Raitre, dai, basterebbe il modo in cui Augias si rivolge agli studenti in gita-premio nel suo programma da anime belle PD per acclamare l’acido muriatico, sia pure diluito, attraverso cui Ubaldo lo stigmatizza.
ubaldo pantani massimo giletti
Peccato soltanto che Augias sia già parodia di se stesso, se è così non rimane allora che andare a vedere gli altri personaggi del circo Pantani, non prima di avere consultato le “Satire” di Termofono, citate proprio dal doppio di Augias, si spera esistano davvero sugli scaffali.
Ma dicevamo che Pantani andrebbe pienamente liberato da ogni vincolo di presunto buon gusto. E in questo senso mi viene incontro un ricordo del suo antenato professionale Noschese, decano per grazia di Dio e volontà della nazione catodica DC degli imitatori italiani.
UBALDO PANTANI GILETTI
Questi, oltre che a “Canzonissima”, si esibiva talvolta perfino alle feste dell’Unità, dove un manifesto ne annunciava lo spettacolo con parole dirimenti: “Noschese senza censura!” Il messaggio in quel caso era semplice, implicito: in casa Bernabei non possiamo dire tutto quello che vorremmo, perché Fanfani o Moro o Rumor o perfino Vittorino Colombo ci rimarrebbero incazzati come bisce, invece tra noi compagni comunisti Alighiero può sfogarsi… Approfitto di questo ricordo sulle piccole miserie censorie del Palazzo per fare ritorno al Renzi trasfigurato da Pantani.
Matteo-Ubaldo parla infatti dall’improbabile treno del PD, che non ha nulla di epico diversamente da quello di Lenin e Trotsky, non per nulla in luogo di uno slogan assoluto come “tutto il potere ai soviet” il locomotore rignanese suggerisce piccoli conteggi orgogliosi da “Carta Italo”, pensieri da piccolo cabotaggio provinciale, dove la forza retorico-espressiva di Renzi viene restituita attraverso una recitazione oserei dire adenoidea, è il canto delle sue tonsille.
UBALDO PANTANI
Già, il Matteo di Ubaldo più che di un consiglio dei ministri necessiterebbe di un consulto dall’otorino, dove le smorfie ne restituiscono l’insignificanza perfino dialettica, e dunque ancora una volta sembra di vedere in dissolvenza incrociata Roberto D’Agostino che gli concede il titolo di “Cazzaro di Rignano”.
In repertorio c’è però perfino un altro Matteo, non meno aderente alla miseria culturale del primo, il Salvini di Pantani è pura faccia da mastice, bostik, da Colla “Artiglio”. Ubaldo, di Salvini, restituisce per intero ogni filamento di silicone ideologico e mentale, così infine il leader della Lega appare come un inenarrabile monoblocco estraneo a ogni possibile ironia.
Perfino Lapo Elkann tra le dita di Pantani, nonostante il limite della caricatura, diventa pongo in confezione hipster, di più, il concessionario con prenotazione obbligatoria, sia ben chiaro, della banalità glamour… Povero Ubaldo costretto ancora a imitare perfino questo o quell’altro allenatore per dovere e concessione al novantunesimo minuto della banalità condivisa.
UBALDO PANTANI
Ma ora facciamo macchina indietro nella storia dell’arte dell’imitazione… Potrò qui dire che lo spettro a forma di pera cotta di Noschese nell’antico nosocomio televisivo democristiano, nonostante lui fosse bravo, suggeriva un gran “però che palle!”? L’arrivo di Pantani libera invece il mestiere specifico dell’Imitatore dalla sua sostanza “servile”, ossia subalterna al soggetto rappresentato, quasi che l’Imitatore si ritrovi a essere una sorta di “usciere” dell’estro comico.
UBALDO PANTANI
Per un attimo, in dolente processione, mi sembra di rivederli tutti, i poveri Imitatori che hanno attraversato il nostro filo dell’orizzonte spettacolare, dal mite Franco Rosi, povero, sempre lì costretto a deformarsi in Franco Franchi o a gigioneggiare, occhiali in mano, per diventare Mike Bongiorno, e poi perfino la Goggi con la sua Patty Pravo o Mina “a gentile richiesta”, e addirittura quel Carlo Frisi ospite dei primi pomeriggi anni Ottanta, per chi lo rammenta, e il compianto Gigi Sabani, anch’egli inchiodato a vivere di rendita sulle smorfie e le rughe d’espressione altrui, e Virginia Raffaele che cerca ora di sfuggire alla morsa facendosi soubrette…
UBALDO PANTANI D'AGOSTINO
Dove voglio arrivare? Vorrei dire che con Ubaldo Pantani la cornice del genere finalmente è pronta a spezzarsi per diventare finalmente, pienamente (o quasi) satira piena, sembra di intuire dietro di lui perfino il riso demolitore del “Male” e di “Cuore”, non ci siamo ancora, ma il punto di frattura è visibile, forse il tempo delle pere cotte cucinate per non addolorare il funzionario di controllo di turno è lì lì per tramontare definitivamente. Ubaldo Pantani, il nostro Diabolik, speriamo davvero che li stermini tutti. Nel frattempo, dimenticavo, ha messo perfino al mondo del ridicolo perfino Massimo Cacciari, il filosofo, il sindaco della Laguna, direbbe sempre Dago, “per mancanza di prove”.
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