DAGOREPORT - TONY EFFE VIA DAL CONCERTO DI CAPODANNO A ROMA PER I TESTI “VIOLENTI E MISOGINI”? MA…
Estratto dell’articolo di Dario Del Porto per "la Repubblica"
«Con il nuovo capo la situazione non è cambiata, anzi, lui perseguita tutto ciò che non rientra nel suo bigottismo. Per lui donne e omosessuali sono esseri inferiori, mi sento prigioniero in questa vita». Scriveva così, il 38enne Gennaro Giordano, dipendente di una importante azienda della grande distribuzione, in una delle lettere- testamento lasciate ai familiari prima di lanciarsi nel vuoto dal balcone dell’appartamento dove abitava, nella zona occidentale di Napoli.
La tragedia si è consumata esattamente un anno fa, il 2 dicembre 2023 e da quel giorno i familiari di Gennaro chiedono che venga fatta piena luce sulle circostanze che hanno spinto l’uomo a togliersi la vita. «Mio figlio si è ucciso a causa del mobbing, per le pressioni che subiva sul lavoro perché era gay», dice il padre, Armando. Sul caso indaga la Procura di Torre Annunziata, la città dove Gennaro lavorava.
La pm Andreana Ambrosino, coordinata dal procuratore aggiunto Nunzio Fragliasso, ha aperto un fascicolo, al momento senza indagati, con l’ipotesi di istigazione al suicidio. Nei suoi manoscritti, Giordano fa i nomi di coloro i quali considerava come gli autori delle persecuzioni nei suoi confronti.
gennaro giordano con la famiglia
Diplomato come geometra, dopo di quindici anni già trascorsi nella stessa azienda, anche nella sede di Milano, l’uomo si era ritrovato in un contesto lavorativo divenuto via via sempre più tossico. Gli venivano assegnate, scrive, mansioni non previste dal contratto senza riconoscimenti di alcun genere e quando si rifiutava di eseguire quei compiti subiva contestazioni e ritorsioni.
Era stato addirittura costretto a rientrare in servizio, sotto la minaccia di licenziamento, mentre era convalescente a causa di una flebite. E veniva discriminato, accusa, anche per la sua omosessualità.
[…] «Sono entrato in un loop depressivo da cui non so uscire. Fategliela pagare », si legge in un altro biglietto.
«Mio figlio — racconta papà Armando a Repubblica — era un ragazzone benvoluto da tutti. In famiglia aveva fatto coming out già da quando aveva vent’anni e lo avevamo accettato tranquillamente. […]”. Ma non potevamo immaginare fino a che punto. Poi abbiamo trovato quelle righe scritte di suo pugno, nelle quali si scusava per il gesto. Adesso chiediamo giustizia […]». […]
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