Salvatore Riggio per corriere.it
RYAN JONES
A Ryan Jones, ex capitano del Galles di appena 41 anni, è stata diagnosticata una demenza a esordio precoce. Il mondo del rugby (e non solo) è in apprensione per lui. In patria è un’istituzione, ha vinto il Grande Slam nel Sei Nazioni (nessuna sconfitta) nel 2005 e poi come capitano nel 2008 e nel 2012. Nel mondo della palla ovale è un campione riconosciuto e rispettato. Adesso ha rivelato il suo dramma in un’intervista rilasciata al Times:
«Sento che il mio mondo sta andando in pezzi. E ho davvero paura. Perché ho tre figli e tre figliastri e voglio essere un papà fantastico. Ho vissuto 15 anni della mia vita come un supereroe e non lo sono. Non so cosa mi riserverà il futuro», le sue parole dense di paura. E ancora: «Vorrei solo condurre una vita felice, sana e normale, ma sento che mi è stata portata via e non c’è niente che io possa fare. Non posso più allenarmi, non posso fare l’arbitro, non so più quali siano le regole del gioco».
Diagnosi atroce
RYAN JONES
Jones ha ricevuto la diagnosi di probabile encefalopatia traumatica cronica (Cte) a dicembre, quando gli è stato detto che era uno dei casi peggiori che gli specialisti avessero visto: «Le persone a me vicine notavano dei cambiamenti in me. Mi è stata diagnosticata la depressione e ho iniziato a rendermi conto che alcune delle mie funzioni cognitive non erano eccezionali. Ho cominciato a vedere che la mia memoria a breve termine non era buona. Stavo dimenticando le cose».
L’ex capitano del Galles (75 le presenze totali in Nazionali, 33 quelle con la fascia sul braccio) qualche mese fa ha rassegnato le dimissioni dal suo incarico di Performance Director nella Federazione di rugby gallese, ha raccontato tutta la sua angoscia: «Mi terrorizza perché non so se tra due anni saremo seduti qui e se questi episodi durano una settimana, due settimane o se sono permanenti.
Questa è la paura, questo è quello che non riesco a scrollarmi di dosso. Non so come rallentarlo, farlo smettere, cosa fare». Il rugby sta «camminando a capofitto con gli occhi chiusi in una situazione catastrofica» . Infatti, sono molti i casi tra gli ex giocatori di rugby: «Ero un bambino che sognava di giocare per il Galles. Sono riuscito a vivere quel sogno. Ho capitanato il Galles più volte di chiunque altro fino a quando non è arrivato Sam Warburton e per nulla lo avrei cambiato. In quel momento è stato fantastico, ma oggi lo cambierei in base alla mia esperienza attuale».
Michael Lipman e la perdita di memoria
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Un altro caso è stato quello di Michael Lipman, che ha giocato nella Nazionale inglese. «La perdita di memoria a breve termine è la cosa più difficile da affrontare. I miei figli lo trovano piuttosto imbarazzante», ha raccontato al Daily Mail. La vita non è più quella di una volta. A 42 anni è appesantito dal peso di una probabile encefalopatia traumatica cronica e di una demenza a esordio precoce: «Il modo in cui sta influenzando la mia famiglia e cosa riserva il futuro è la cosa più spaventosa. Mi spaventa a morte. Mio figlio ha appena compiuto quattro anni e mia figlia ha quasi 11 anni. Non capiscono nemmeno la parola demenza. Spiegarglielo più avanti nella vita sarà difficile, ma ora l’ho accettato. Sono passato da giocatore di rugby internazionale a praticamente niente.
Quella transizione è durata 10 anni e la sto ancora attraversando. Grazie a Dio mi è stato diagnosticato presto perché puoi gestire i sintomi con i farmaci. Prendo circa 15 compresse al mattino, due a mezzogiorno e 10 la sera.
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Con mal di schiena e declino cognitivo, è una lotta per guadagnarsi da vivere. Mia moglie deve sostenere il doppio del carico di lavoro perché non posso guadagnare molti soldi». Infine: «Se l’orologio tornasse indietro a quando avevo 21 anni e mio padre dicesse “Puoi praticare sport professionistico, ma ti verrà diagnosticata una demenza a esordio precoce e CTE all’età di 40 anni”, cosa direi? Rifarei tutto di nuovo? No. Preferirei una vita lunga e sana con la mia famiglia piuttosto che una malattia neurodegenerativa».
Il caso Bobbie Goulding
bobbie goulding
Ma la lista è davvero lunga. Nel settembre 2021 la stessa tragica notizia è stata data a Bobbie Goulding. Un vero e proprio choc per il 49enne ex mediano di mischia della Gran Bretagna, che ha deciso di denunciare la Rugby Football League (RFL) per negligenza, con l’accusa di non aver adeguatamente protetto i giocatori dalle lesioni cerebrali causate da una commozione cerebrale. «Come giocatori professionisti meritavamo di meglio — aveva spiegato al Daily Mail —. Quello che è successo nella Rugby League quando giocavo non sarebbe successo in nessun altro sport professionistico, eravamo a livello amatoriale. Quando giochi, accetti i colpi, le botte, le gambe rotte, i denti saltati. Te lo aspetti. Quello che invece non ti aspetti sono le ripercussioni fisiche dieci anni dopo che hai smesso di giocare. In tutta onestà mi sento un po’ tradito e sono molto deluso».
Il problema nel mondo del calcio
bobbie goulding
Cambiando sport e passando al calcio, nel gennaio 2020 la Scozia ha preso una decisione importante a riguardo. I bambini che hanno meno di 12 anni non possono più colpire il pallone di testa. È stato il primo paese in Europa ad attuare questa misura, dopo che gli Stati Uniti l’hanno lanciata nel 2015, a seguito di clamorosi scandali di ex sportivi professionisti colpiti dalla demenza, in particolare nel football americano. Nell’ottobre 2019, uno studio dell’Università di Glasgow su ex calciatori scozzesi ha scoperto che avevano una probabilità 3,5 volte maggiore di morire di malattie neurodegenerative rispetto alla media. Da qui la scelta epocale.
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