mullah abdul ghani baradar
1 - IL MULLAH BARADAR È RIENTRATO IN AFGHANISTAN
(ANSA) La delegazione guidata dal mullah Abdul Ghani Baradar è arrivata a Kandahar: lo ha reso noto il portavoce dell'ufficio politico dei talebani, Muhammad Naeem.
Baradar, capo politico dei negoziatori talebani a Doha e co-fondatore del movimento con il mullah Omar, è rientrato in Afghanistan con una delegazione per discutere con gli altri leader del nuovo governo.
2 - LA TRANSIZIONE A BARADAR, IL VICE DEL MULLAH OMAR CHE TRUMP FECE LIBERARE
Lorenzo Cremonesi per il “Corriere della Sera”
Abdul Ghani Baradar
Nazionalisti religiosi fortemente conservatori, oppure fanatici pan-islamici pronti a dare asilo ai jihadisti più pericolosi? Il dilemma, che divideva il movimento talebano alla vigilia degli attentati del 11 settembre 2001, oggi resta più irrisolto che mai.
Allora vinse la corrente che vedeva in Osama bin Laden e i suoi terroristi arabi di Al Qaeda come «fratelli», cui dare rifugio in Afghanistan. E per i talebani fu il disastro.
Abdul Ghani Baradar
Meno di due mesi dopo gli attentati contro l'America, il loro movimento era in rotta, sconfitto dall'invasione voluta dal presidente Bush. Il loro leader storico, Mullah Omar, fuggiva sulla motocicletta guidata dal suo numero due, Mullah Abdul Ghani Baradar, verso le montagne e il rifugio di Quetta in Pakistan. Mullah Omar e Baradar lentamente riuscirono a ricostruire il loro movimento.
Ma nel 2010 la Cia individuò Baradar a Karachi e convinse i servizi segreti pakistani ad arrestarlo. Tre anni dopo, il Mullah Omar moriva, sembra per ragioni di salute, nel suo nascondiglio pakistano.
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La sua esistenza era talmente segreta (e per buoni motivi, specie dopo il blitz Usa che aveva portato all'uccisione di Bin Laden nel 2011 ad Abbottabad), che la notizia del suo decesso divenne pubblica solo nel 2015. Tre anni dopo, però, furono ancora gli americani a chiedere ai pakistani di liberare Baradar.
Avevano bisogno di negoziare il loro ritiro dall'Afghanistan con i talebani. Ma ci voleva una controparte credibile, che avesse ancora carisma e potere sul popolo pashtun. E il prigioniero «eccellente» era perfetto.
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In carcere era già stato contattato dalla Cia, con lui avrebbero preparato gli accordi di Doha, che Donald Trump esigeva a tutti i costi prima delle elezioni americane nella speranza che, con la certezza del ritiro in tasca, avrebbe vinto il suo secondo mandato da presidente.
«Accadde tutto di fretta. Trump forzò i tempi. Ma fu lui a dettare le regole. E i talebani furono ben contenti di assecondarlo. Cessarono i loro attacchi contro il contingente internazionale. Erano del tutto inutili e persino controproducenti. Preferirono concentrarsi contro esercito e polizia afghani. Una strategia vincente», sottolineano negli ambienti diplomatici europei.
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Così, la figura di Baradar ben aiuta a comprendere le ambiguità e le incognite che caratterizzano il ritorno dei talebani al potere. Nato nel 1968 tra le montagne dell'Uruzgan, è figlio dei Popalzai, uno dei più importanti clan pashtun. Poco più che ragazzo si è fatto le ossa nella jihad contro i sovietici.
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Dopo la vittoria fondò a Kandahar una madrassa, la scuola religiosa islamica, assieme al Mullah Omar. Rabbiosi contro il caos in cui stava precipitando il Paese, furono loro due ad appellare i loro «talib», gli studenti, a imbracciare il Kalashnikov e lanciare la guerra per unificare l'Afghanistan sotto la loro bandiera. Dopo la vittoria del 1996, Baradar divenne governatore di Herat, ma anche viceministro della Difesa. Uomo di guerra e di governo, non si oppose all'alleanza con Al Qaeda.
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Nell'esilio di Quetta ebbe poi modo di stringere i legami con le generazioni più giovani sopravvissute alla guerra del 2001. Divenne amico di Mohammad Yaqoob, il figlio del Mullah Omar e con le nuove leve del clan Haqqani, che dai loro territori rigorosamente pashtun sul confine col Pakistan sono sempre stati preziosi alleati. Ma non mancavano uomini della vecchia generazione, come il sessantenne Mullah Akhunzada, che nel 2015 era alla guida del movimento perseguitato dagli omicidi mirati dai droni americani.
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Chi è oggi Baradar? A detta di Zalmay Khalizad, l'inviato americano per l'Afghanistan, cui prima Trump e poi Biden hanno affidato l'incarico di negoziare il ritiro, lui è in grado di passare ordini precisi ai suoi seguaci.
Ma restano enormi dubbi sulla sua volontà e capacità di mantenere la promessa, per cui il Paese non tornerà ad essere quartiere generale di Al Qaeda e ora anche di Isis.
Per il momento la leadership talebana vorrebbe dimostrare alla popolazione e ai Paesi limitrofi di essere in grado di gestire il ritorno alla normalità. Nelle province sotto il loro controllo stanno obbligando i dipendenti pubblici a rientrare al lavoro. Si stima che rappresentino ben oltre il 30 per cento del Paese. Non sappiamo nulla però su cosa potrebbe avvenire nel fu turo un poco più distante.
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