Marco Giusti per Dagospia
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Quando lo vedemmo come Henry Miller a Venezia accanto a Uma Thurman e a Maria De Medeiros nel sofisticato “Henry and June” di Philip Kaufman, fummo tutti pazzo di Fred Ward, grande attore americano, scomparso a 80 anni, che portava sul volto le tracce delle tante vite che aveva vissuto. Naso rotto più volte da pugile perché era stato pugile. E ne aveva prese e date parecchio. Fisico da marinaio perché era stato davvero imbarcato in un cargo mercantile svedese, dove lo avevano preso senza documenti.
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Ma anche cuoco in chissà quale bettola, operai in una segheria, il lavoro peggiore e più pericoloso che aveva fatto era come abbattitore di alberi giganteschi su al Nord. Ma aveva anche viaggiato in lungo e in largo in America e in Europa. Aveva vissuto con gli indiani in Alaska, aveva vissuto in Yugoslavia, a Tangeri, a Parigi, prima di arrivare a neanche trent’anni a Roma e capire che avrebbe fatto l’attore. Sia come doppiatore, in inglese, di tanti spaghetti western (accidenti, che intervista avrei fatto con lui…), sia come attore, pronto a esordire con un maestro come Roberto Rossellini in ben due film, “L’età di Cosimo”, dove era il Niccolò de’ Conti, e “Cartesius”.
Con l’Europa nel cuore e gli spaghetti western come passionaccia, torna in America e lo troviamo in piccoli ruoli in film anche divertenti degli anni’70, come “Pazzo, pazzo west” di Howard Zieff con Jim Bridges. Sarà lo sguardo attento di Don Siegel a farcelo scoprire nel suo primo ruolo significativo americano accanto a Clint Eastwood in “Fuga da Alcatraz” nel 1979. Lo troveremo poi in “Carny” di Robert Kaylor con Jodie Foster, Gary Busey e Robbie Robertson, il leader di The Band, anche soggettista.
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Ma con quella faccia da uomo vissuto e quel corpo da pugile darà il suo meglio nel cinema violento di Walter Hill, “I guerrieri della palude silenziosa” con Keith Carradine e Powers Boothe, o di Ted Kotcheff, “Fratelli nella notte” con Gene Hackman. Molto dovrà a Philip Kaufman che lo vorrà accanto a Sam Shepard, Scott Glenn e Ed Harris, la crema di Hollywood e di un certo cinema, come Gus Grissom nel fenomenale “Uomini veri” nel 1983, e lo richiamerà, tagliandoli i capelli, come protagonista di “Henry and June” nel 1990. Non sarà facile farne un protagonista del cinema hollywoodiano, troppo vero, troppo strano.
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Purtroppo non è un successo “Il mio nome è remo Williams” di Guy Hamilton, che avrebbe potuto dargli un bel lancio nel ruolo di The Destroyer, l’eroe dei romanzi di Warren Murphy e Richard Sapir. Già meglio sarà “Tremors”, dove divide la scena con il giovane Kevin Bacon. Anche se il suo film di culto, purtroppo molto piccolo, sarà “Miami Blues” di George Armitage, dove ha un ruolo di duro appena uscito dal carcere che cerca di reinserirsi nella società. Dopo “Henry and June”, film considerato da Hollywood troppo spinto e troppo artistico, tornerà in America a girare buoni film, anche ottimi film, come “Cuore di tuono” di Michael Apted, “I protagonisti” e “Short Cuts” di Robert Altman, “Bob Roberts” di Tim Robbins, ma in ruoli di secondo piano.
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Negli ultimi vent’anni farà qualche raro film, un po’ di televisione, chiuderà i giochi con una ospitata eccellente nella seconda stagione di “True Detectives”, ma non troverà, ahimé, un Tarantino che ne potesse esaltare le doti migliori. Ma ricercatevi “Uomini veri”, “Henry and June” e, soprattutto, il rarissimo “Miami Blues” e rendetevi conto di che tipo di attore era Fred Ward e di come Hollywood non lo abbia saputo valorizzare.
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