Valeria Arnaldi per il Messaggero
fosse ardeatine
I capelli scuri, la fronte alta, il temperamento «molto severo», come lo ricordavano i figli, ma facile alla commozione proprio quando si trattava dei suoi bambini. Paolo Frascà, nato in Calabria il 18 maggio 1898 e trasferitosi a Roma, è una delle vittime delle Fosse Ardeatine. Non aveva ancora 46 anni quando fu arrestato dalle SS tedesche, torturato per due mesi nel carcere in via Tasso e poi trucidato.
paolo frascà
A settantaquattro anni dall' uccisione, la Germania è stata condannata al risarcimento dei danni in favore dei parenti. Danni per le sofferenze fisiche e psichiche subite dall' uomo. E danni per aver privato il figlio del padre. A stabilirlo è stato il Tribunale civile di Roma, su ricorso del figlio di Paolo Frascà, Bruno, che all' epoca della morte del papà aveva due anni e che, dopo una battaglia portata avanti per oltre un decennio, è venuto a mancare prima di poterne conoscere l' esito.
IL LEGALE COMMOSSO «Alla notizia della sentenza, - racconta l' avvocato Nicolò Paoletti, legale di Bruno Frascà e suo amico di vecchia data - pensando che Bruno non è riuscito a vedere la fine dell' iter, mi sono commosso. Ci siamo conosciuti al liceo, eravamo compagni di scuola, ha sempre sofferto profondamente per la perdita del padre. Ricordo quando, ogni anno, alla commemorazione delle vittime, non veniva a scuola e andava a portare un fiore sulla tomba.
Dopo tanto tempo ci siamo rivisti, gli ho chiesto se avesse mai pensato di chiedere i danni. Non era certo una questione economica, non abbiamo neppure quantificato il risarcimento, sarà eventualmente chiesto in un giudizio separato».
fosse ardeatine
Era una questione di responsabilità e dolore. Ed è proprio a questo che ha guardato la sentenza. Il Tribunale ha stabilito che, nel caso di Paolo Frascà, «tanto la sua detenzione quanto la sua morte sono certamente imputabili allo Stato tedesco» e che questo «deve essere ritenuto obbligato a risarcire» il figlio «delle sofferenze fisiche e psichiche» che il padre ha subito, rigorosamente elencate: l' essere stato prelevato a sua insaputa e con l' inganno di essere destinato in campo di lavoro; l' essere stato tenuto sempre con le mani legate dietro la schiena; l' attesa nel piazzale della cave Ardeatine, la lettura del suo nome e la cancellazione dalla lista delle persone destinate all' eccidio; l' essere stato costretto «a subire la macabra visione dell' insieme dei corpi genuflessi dei compagni già uccisi».
L' ARRESTO Frascà viene arrestato il 27 gennaio 1944 mentre esce dagli uffici della Saib, dove è impiegato.
MATTARELLA fosse ardeatine
Capitano, è membro del Comitato di liberazione. Appartiene alla Banda Neri. A farlo imprigionare, «in assenza di alcun procedimento giudiziario» sottolinea la sentenza, secondo le testimonianze riportate è quello che crede un amico, Tullio Corsetti, infiltratosi nella Banda. Gli uffici, il giorno dopo, in occasione di nuovi arresti, vengono perquisiti: non si trova nulla a carico dei detenuti ma ciò non cambia le loro sorti. Vengono torturati.
Sono le testimonianze di sopravissuti o parenti a ricostruire i pestaggi, l' uso che Erich Priebke faceva del pugno di ferro per colpire al torace, allo stomaco, ai genitali, l' impiego di mezzi chimici, le minacce di morte pure contro familiari, i volti tumefatti, gli abiti intrisi di sangue.
VIA RASELLA Dopo l' attentato in via Rasella, Adolf Hitler pretende la vita di dieci italiani per ogni soldato rimasto ucciso. Sono 32, diventeranno 33, le vittime tedesche. Saranno 330, ai quali Priebke ne aggiungerà cinque, gli italiani. I detenuti, mani legate dietro la schiena, vengono fatti salire sui camion, come se dovessero essere portati in un campo di lavoro.
angela merkel
Poi, l' eccidio. Ora, la giustizia. La sentenza poggia su elementi fattuali, testimonianze, e sulla condanna dei militari tedeschi Karl Hass ed Erich Priebke.
Il Tribunale evidenzia, inoltre, che Frascà fu «arrestato come privato cittadino privo di alcun visibile segno di riconoscimento di appartenenza a un gruppo militare avversario», quindi non «qualificabile alla stregua della Convenzione dell' Aja del 1899 prigioniero di guerra». «L' iter fin qui è stato lungo - conclude l' avvocato Paoletti -e potrebbe esserlo ancora.
Non sappiamo se la Germania vorrà impugnare la sentenza. La situazione è delicata sul piano internazionale. Questa condanna apre la porta a una serie di possibili azioni legali da vari Paesi europei. Tutti i cittadini vittima di crimini contro l' umanità ad opera della Germania in quegli anni o i loro parenti potrebbero fare causa. Parliamo di migliaia di europei».
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