Marco Belpoliti per la Repubblica
PEYOTE
Il 10 gennaio 1936 Antonin Artaud parte per il Messico. Segue le tracce di una tribù dedita all' uso e al culto del peyote. Nell' agosto dell' anno seguente esce anonimo sulle pagine della "Nouvelle Revue Frannçaise" il racconto Al paese dei Tarahumara: «Il soggiogamento fisico era sempre presente. Quel cataclisma che era il mio corpo Dopo ventotto giorni d' attesa, non ero ancora rientrato in me; - bisognerebbe dire: uscito in me». L' esperienza che Artaud compie non concerne il divino, bensì se stesso.
Lo spiegherà nel 1945 all' amico Henri Parisot: «Significa che non è Gesù Cristo che sono andato a cercare dai Tarahumaras, ma me stesso, il signor Antonin Artaud, nato il 4 settembre 1896 a Marsiglia ». Il peyotl è un cactus, Lophophora willimasii, che si trova nelle zone aride del Messico settentrionale. La sua comparsa ufficiale data 1886, quando Ludwig Lewin pubblica la prima relazione che lo classifica dal punto di vista botanico descrivendone le qualità allucinogene. Alla fine dell' Ottocento sono diversi gli studiosi, tra cui Havelock Ellis, attratti dalle modificazioni psicologiche che provoca nelle persone che lo ingeriscono.
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Un frate francescano, Bernardino de Sahagún, arrivato quarant' anni dopo la conquista del Messico da parte di Hernán Cortés, aveva steso la prima testimonianza scritta sulla storia del cactus peyote. In Historia General de las Cosas de Nueva España informa sulle cerimonie a base di piante sacre; dopo Artaud ne prova gli effetti nel 1936 soggiornando nel paese dei Tarahumara di lui un naturalista e botanico, Francisco Hernández, mandato nel 1570 da Filippo II a conoscere la botanica del Nuovo Mondo, redige De historia plantarum Novae Hispaniae in 16 volumi. Vi esamina droghe e medicamenti usati dagli indiani, tra cui anche questa pianta. L' Europa apprende così l' esistenza della "radice diabolica". La parola peyotel, o peyote, è di origine Nahuatl e probabilmente significa "splendore" o "illuminazione" attraverso il riferimento al bianco del bozzolo da seta, tocapeyotl.
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Ugo Leonzio la fa derivare invece da piule, nome generico messicano per significare "allucinogeno". Il peyote lo si consuma sotto forma di "bottoni" masticati o ingurgitati dissecati, oppure bevuti in un infuso; di sapore disgustoso, provoca vomito e nausea. Uno degli alcaloidi estratti dalla pianta è la mescalina. Gli effetti di questa droga riguardano la percezione visiva: «Dopo qualche tempo compaiono arabeschi o figure colorate, che s' avvolgono e svolgono in un gioco delicato, incessante, talora attenuate da ombre scure, talaltra di una chiarezza inondante». Così scrive Lewin che ha portato il cactus al museo botanico di Berlino, l' ha classificato e chiamato Anhalonium Lewinii.
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L' effetto che provoca è quello di smaterializzazione e di sdoppiamento della propria personalità: ci si vede da fuori, sia dall' interno sia dall' esterno, con continui cambiamenti di aspetto e colore. L' intossicazione allucinogena è provocata da 27 alcaloidi di isoquinolina; le ricerche farmacologiche iniziate da Lewin consentono d' isolare varie componenti, tra cui appunto la mescalina. Nel 1896 Arthur Heffter ne descrive gli effetti dopo averne ingerito 16,6 grammi in forma di estratto alcoolico. Il suo nome, imposto dai chimici che la scoprirono, deriva dal messicano mezcal, a causa di un errore d' identificazione della pianta da cui proviene.
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La mescalina pura è sotto forma di polvere cristallina; sciolta in un liquido è più gradevole del peyote. Somministrata in dosi opportune, modifica la qualità della coscienza in modo così profondo e con effetti meno tossici di qualsiasi sostanza conosciuta in precedenza (Ugo Leonzio). Per questo attira l' attenzione di ricercatori. Nel 1950 un giovane psichiatra, Humphry Osmond, nota la somiglianza tra la composizione chimica tra mescalina e adrenalina, mentre altri suoi colleghi pensano che possa servire nella cura della schizofrenia.
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Lo scrittore inglese Aldous Huxley compie alcuni esperimenti sulla propria persona con l' aiuto di Osmond; è interessato al rapporto tra realtà oggettiva ed emozione soggettiva, di cui ha trattato nei suoi romanzi. Nel 1954 pubblica Le porte della percezione; due anni dopo Paradiso e Inferno. Vi racconta le esperienze con la mescalina attribuendo alla droga virtù mistiche, "capaci di trasportare agli Antipodi della mente" (Leonzio). I due libri circolano in Europa e in America e hanno innumerevoli lettori. Osmond scrive: «L' azione del peyote non accentua l' io ma lo espande nell' io degli altri, con una sempre più profonda empatia o sentire-dentro. L' io si dissolve e nel dissolversi si arricchisce».
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Se l' alcol causa una trascendenza discendente, il peyote invece una ascendente.
La mescalina produce visioni e apre porte che per la maggior parte delle persone erano chiuse. Tra il 1961 e il 1965, Carlos Castaneda esplora la medesima droga in Messico; ne scrive in A scuola dallo stregone. Lo "stregone" Don Juan aiuta Castaneda a "vedere" la "realtà non ordinaria". Questi libri avranno una notevole influenza su una intera generazione di lettori, indicando nella mescalina lo strumento per ottenere una visione mistico- religiosa, come racconta Oliver Sacks in Allucinazioni. Questa droga permetterebbe a chi non è artista di partecipare alle sensazioni dei grandi creatori, pur non potendo avere le loro doti artistiche (Alberto Castoldi).
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Emerge con il libro di Huxley l' idea dell' artista come "un individuo naturalmente drogato": «Un visionario senza talento può percepire una realtà ulteriore non meno grande, bella e significativa del mondo visto da Blake; ma egli manca completamente delle capacità di esprimere , in simboli letterari o plastici, ciò che ha visto». Mentre Artaud e Castaneda vedono nell' uso del peyote un' iniziazione individuale che li include nella cultura di una comunità, per Huxley l' avventura della droga è un fatto privato, che si compie nel chiuso della propria stanza con l' assistenza di un medico. Negli stessi anni lo scrittore francese Henri Michaux prova varie esperienze con le droghe, dall' hashish alla mescalina. Ne scrive in un libro del 1961, Connaissance par les gouffres.
adouls huxley
Il libro si apre con un' emblematica frase: «Le droghe ci annoiano con il loro paradiso. Ci diano, piuttosto un po' di conoscenza. Noi non siamo un secolo da paradisi». Come scrive Emanuele Trevi, sotto l' urto psicotropo dei principi attivi le droghe diventano in Michaux una specie di stato di emergenza che permette alla mente di conoscere il proprio funzionamento, i limiti, ma anche le possibilità. Saranno questi autori a orientare i movimenti giovanili americani che stanno Per Aldous Huxley la droga è un fatto privato, compiuto al chiuso di una stanza sorgendo all' inizio degli anni Sessanta, gli hippy e la stessa Beat Generation. Il fascino di cui si carica la mescalina e il cactus messicano è quello di cercare «un' individualità non contaminata dal discorso sociale» (Castoldi). La strada verso l' uso gli allucinogeni per allargare la coscienza dell' Io è aperta.
antonin artaud arthur heffter