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    VIA COL “IUVENTA” - IL RACCONTO DI PAOLO NARCISI DI “RAINBOW FOR AFRICA” CHE HA PRESTATO SERVIZIO SULLA NAVE SEQUESTRATA: “A VOLTE SI VIAGGIAVA CON 400 PERSONE SUL PONTE E 1.500 ATTACCATE ALLE MURATE, IN ACQUA, SU BARCHINI O GOMMONI. ERA PERICOLOSO PER L'EQUIPAGGIO E ANCHE PER CHI VENIVA SOCCORSO”


     
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    Riccardo Torrescura per “la Verità”

     

    I SOCCORSI DELLA IUVENTA INTERCETTANO LA NAVE DEI MIGRANTI I SOCCORSI DELLA IUVENTA INTERCETTANO LA NAVE DEI MIGRANTI

    All' inizio erano sospetti, voci, illazioni. Le prove, quelle vere - foto, filmati, testimonianze - sono arrivate tutte insieme, a valanga, distruggendo in una manciata di giorni il mito delle Ong umanitarie. Il caso di Jugend Rettet e della sua spregiudicata quanto malandata nave Iuventa diventa più grave di ora in ora, man mano che escono nuovi particolari.

     

    Merito della procura di Trapani e dell' anonimo poliziotto del servizio centrale operativo, che si è imbarcato sulla Vos hestia di Save the children mascherato da addetto alla sicurezza. Che qualcosa non andasse su quell' imbarcazione lo aveva notato anche Paolo Narcisi, rappresentante legale di Rainbow for Africa, gruppo di medici volontari che, da ottobre 2016 a maggio 2017, ha prestato la sua opera all' equipaggio della Iuventa.

    Beninteso, non c' è alcuna notitia criminis, nelle parole del dottore, solo la testimonianza dell' atteggiamento fanatizzato, ideologico e spregiudicato da parte dei ragazzini militanti di Jugend Rettet.

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    LA TESTIMONIANZA

    «In certi momenti», racconta Narcisi a La Verità, «la Iuventa viaggiava con 400 persone sul ponte e 1.500 attaccate alle murate, in acqua, su barchini o gommoni che stavano più o meno a galla. Questa situazione era pericolosa, per l' equipaggio e anche per chi veniva soccorso. Così abbiamo fatto presente a Jugend Rettet che l' asset non era più sufficiente. Bisognava prendere una nave più grande oppure lavorare in stretta collaborazione con altri soggetti. Proseguire con le operazioni in quel modo era decisamente troppo pericoloso. Ma non abbiamo trovato un accordo.  Ai tedeschi andava bene così, per cui abbiamo smesso di collaborare».

     

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    E anche durante la collaborazione, non sono mancati momenti di tensione. Continua l' esponente di Rainbow for Africa: «Abbiamo avuto alcune discussioni. Per esempio quando, da Roma, ci chiedevano di portare le persone recuperate a Lampedusa. Il comandante della Iuventa aveva perplessità, per via dei tempi e delle distanze, e non voleva andare. Ogni volta che sono avvenute cose di questo genere l' abbiamo comunicato, ci siamo dissociati, e devo dire che alla fine - poiché insistevamo noi e insisteva Roma - gli ordini sono sempre stati rispettati».

     

    I membri di Jugend Rettet, spiega Narcisi, «sono tutti molto giovani, entusiasti, spesso abbiamo dovuto frenarli. Abbiamo avuto la sensazione che qualcuno di loro volesse salvare il mondo tutto da solo». È alla luce di questo atteggiamento che si spiegano cose come il cartello «Fuck Imrcc» comparso sulla prua della nave, ovvero «Fanculo al coordinamento italiano dei soccorsi».

     

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    Una protervia e un' allergia alle regole che non è piaciuta ai dottori: «L' episodio del cartello ci ha fatto infuriare moltissimo. Sono cose che non si fanno. Per motivi di etica, di forma e di opportunità. Noi abbiamo sempre collaborato con l' Imrcc».

     

    DENARO SOSPETTO

    Altro punto da chiarire: i soldi. «Al momento non pare abbiano percepito compensi», ha detto il procuratore di Trapani Ambrogio Cartosio. Occorre tuttavia far luce su ciò che sembrerebbe emergere dalle intercettazioni dei due operatori di Save the children.

     

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    «Eh sì, cioè uno che fa il volontario che si piglia 10.000 euro...», dice uno di loro. Chi è che prende 10.000 euro, da chi, per fare cosa, con quale scadenza? Lo accerteranno i magistrati. Narcisi, dal canto suo, spiega che «è cosa nota che alcune Ong si servano di personale che non è volontario, ma riceve uno stipendio. Non credo che si arrivi a cifre di 10.000 euro al mese. Sia Emergency che Medici senza frontiere hanno personale a contratto, ma, appunto, è una cosa risaputa».

     

    Ma i misteri non sono finiti. È spuntata anche una nave fantasma, la Shada, un tempo battente bandiera boliviana e ora priva di bandiera, dopo essere stata radiata da quello Stato. Gli equipaggi di Iuventa e Shada si sarebbero incontrati nelle vicinanze di Lampedusa. In quella circostanza, Shada venne controllata dalla Marina militare.

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    Furono identificati i cinque membri dell' equipaggio, tutti provenienti da Paesi di lingua araba. Brandelli di storia insignificante, forse. O forse no. «Da quello che ne sappiamo», spiega dal canto suo Narcisi, «la Iuventa è passata vicino a questa nave Shada. Ma non c' è mai stato nessun incontro. Durante la nostra permanenza a bordo non abbiamo mai visto personaggi strani». Come detto, l' esponente di Rainbow for Africa dichiara di aver assistito personalmente a comportamenti discutibili e pericolosi, ma mai contrari alla legge. Di prove che sembrerebbero mostrare reati compiuti alla luce del sole, però, sembra ce ne siano a bizzeffe.

     

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    Sono state diffuse delle fotografie che provano incontri tra un gommone della Iuventa e un' imbarcazione proveniente dalla Libia poco prima che dalle coste libiche arrivassero delle navi cariche di immigrati. Un altro episodio riguarda alcuni barconi di legno utilizzati che l' equipaggio della Iuventa avrebbe riportato verso le acque libiche, lasciandoli poi alla deriva, per permettere ai trafficanti di recuperarli. la chat della trattaAgli atti risulta anche che la leader del team della Iuventa, Katrin, e un ragazzo, ignari di essere intercettati in mezzo al mare, parlavano «del previsto inizio missione per la mezzanotte del giorno successivo».

     

    Sapevano, cioè, con 24 ore di anticipo dell' arrivo di un barcone. In che modo? È quello che si stanno chiedendo gli inquirenti, che hanno anche sequestrato i cellulari ad alcuni membri dell' equipaggio, per capire se vi fosse un vero coordinamento con i negrieri.

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    Si parla insistentemente di una chat riservata su Whatsapp a cui sarebbero iscritti tutti i capi delle Ong. Una chat che potrebbe contenere innocui scambi per coordinare aiuti del tutto legittimi, oppure qualcosa di più, contatti con persone a terra. Collusioni che, se confermate, complicherebbero ulteriormente la posizione dei piccoli soldati politici dell' invasione.

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