Paolo Mastrolilli per la Stampa
«Il rap e l' hip-hop sono più dannosi di una statua del generale sudista Robert Lee».
WYNTON MARSALIS
Se a dire una roba del genere fosse il capo del Ku Klux Klan, pazienza. Ma siccome a sostenerla è l' afro-americano Wynton Marsalis, forse il più importante musicista jazz vivente, diventa necessario rifletterci.
Marsalis, primo jazzista a vincere il Premio Pulitzer nel 1997 con Blood on the Fields , è tra le altre cose direttore del programma del Lincoln Center di New York dedicato alla sua musica prediletta. Il 7 giugno debutterà con la sua nuova composizione The Ever-Funky Lowdown , che esplora le relazioni razziali in America, e quindi ha fatto alcuni commenti sui danni della mitologia riguardo gli afro-americani: «I neri commettono reati. I neri si chiamano negro a vicenda. Le nere si chiamano cagne (che nello slang vuol dire prostitute, ndr).
WYNTON MARSALIS
Ognuno vive in comunità infestate dalla droga, tutti si sparano, nessuno ha rispetto, nessun nero ha integrità. Ecco, questo è l'"Ever-Funky Lowdown", cioè il sempre divertente vizio di autodistruggersi. Ciò accade un po' ovunque nella cultura americana, dal cinema alla tv, ma è un fenomeno particolarmente radicato nel rap e l' hip-hop: «Io non credo che dovremmo avere una musica che parla di negri, puttane e criminali. È più dannoso di una statua di Robert Lee. L' ho detto, l' ho ripetuto, lo ripeto ancora. Ma le mie parole non sono così potenti».
donald trump kanye west
Infatti Kanye West, altrimenti noto come marito di Kim Kardashian, è arrivato a sostenere che la schiavitù sia stata scelta dai neri: «Io - ha replicato Marsalis - non presterei alcuna seria attenzione alle sue dichiarazioni. West fa prodotti, ne sta lanciando uno sul mercato, e vuole venderlo. Se lui dice roba, e la gente ne parla, poi comprerà il suo prodotto».
Nel clima delle tensioni razziali rilanciate durante l' amministrazione Trump, le critiche di Wynton hanno provocato una tempesta, a cui lui ha risposto così: «Non ho criticato nessuno in particolare, ma un genere. Ci sono eccezioni, e ognuno ha il diritto di dire ciò che pensa. Incluso io, che resto della mia opinione». E questo pone anche il problema degli imitatori bianchi di rap e hip hop, negli Usa e fuori. Perché se è vero quanto dice Marsalis, le ipotesi possibili diventano solo due: o gli imitatori a distanza non hanno capito nulla di cosa significhino rap e hip-hop, oppure sono complici volontari di una campagna razzista per denigrare i neri.
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