Ugo Magri per ‘La Stampa’
RENZI JUNCKER
Responsabilmente, Matteo Renzi ha chiarito che la sua proposta di «tornare a Maastricht» è musica dell' avvenire. Riguarderà la prossima legislatura, perciò non andrà a impattare la manovra economica di quest' autunno. E' una precisazione importante perché a qualcuno - perfino ai piani alti delle istituzioni - poteva sorgere il sospetto che l' ex premier parlasse al presente anziché al futuro, e volesse spingere il governo Gentiloni a sfidare da subito l' Europa con una legge di stabilità tarata su un deficit del 3 per cento, in modo da impostare la campagna elettorale su uno scontro drammatico con Bruxelles.
Va dato atto al premier e al titolare dell' Economia di aver mantenuto il sangue freddo, nonostante le temperature torride di questi giorni. Prima ancora che arrivasse nel pomeriggio la puntualizzazione di Renzi, Pier Carlo Padoan ne aveva già anticipato il senso ragionevole, e quasi con le stesse parole.
PADOAN
Il testacoda, dunque, è stato evitato. Si torna nei binari di una dialettica che da tempo, ormai, vede svaporare le distinzioni classiche tra destra e sinistra in tema di Europa. Chi più chi meno, tutte le forze in campo cavalcano la contestazione anti-Ue, gareggiano nel fare «più uno». Per non perdere terreno rispetto ai «sovranisti», il segretario Pd rischia a volte addirittura di surclassarli.
In questo caso Renzi ha frenato in tempo la sua rincorsa specificando come, appunto, le proposte racchiuse nel suo libro siano semplicemente primizie, un trailer del mondo nuovo che vedremo a breve. Ma prima dell'«happy end» sono emerse un altro paio di anomalie politiche, ben afferrabili a occhio nudo.
renzi padoan gentiloni
La prima singolarità è rappresentata dall'«effetto sorpresa». La riscoperta improvvisa dei parametri di Maastricht ha colto alla sprovvista tutti, dentro e fuori il Pd. Pare assodato che lo stesso Paolo Gentiloni non ne fosse al corrente. Il silenzio di Palazzo Chigi segnala un filo di imbarazzo al riguardo. Da nessuna parte ovviamente sta scritto che Renzi dovesse alzare il telefono e discuterne in anticipo con il suo successore. Ma l' esito della vicenda è di uno scollamento sempre più marcato tra le finalità del governo in carica e la visione strategica coltivata dal segretario Pd.
Il quale ha scelto di picconare certi paradigmi Ue su deficit, tasse e debito proprio mentre l' esecutivo sta tentando di far applicare le regole comuni in tema di accoglienza. Si può sostenere qualunque cosa, perfino che Gentiloni possa trarre vantaggio da questa iniziativa. L' impressione raccolta a Bruxelles, tuttavia, è quella di un premier precario, poco sostenuto dal suo stesso schieramento politico, con una voce in capitolo sempre più modesta.
gentiloni padoan1
E qui scatta la seconda palese anomalia. Sta nel modo sbrigativo, quasi sprezzante, con cui le istituzioni in Europa hanno bocciato la proposta renziana. Anche in questo caso, l' auto-inganno potrebbe spingersi al punto di considerare «normali» le reprimende di commissari europei come Dijsselbloem o Moscovici. E a giudicare formalmente ineccepibile che un portavoce di Juncker rifiuti di «commentare i commenti» formulati da persone «non più in carica».
padoan moscovici
Forse sarebbe più onesto domandarsi se la Commissione Ue si sarebbe mai permessa di adottare lo stesso tono liquidatorio, qualora la stessa proposta di tornare a Maastricht fosse stata formulata, per esempio, dal partito della Merkel o di Macron. Renzi, invece, è stato rottamato senza che una sola voce autorevole si levasse in sua difesa, dentro e fuori Italia. La conferma un po' umiliante di come siamo messi.