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    IL RITORNO DEI "RIVOLUZIONARI" IN SUDAMERICA - A UNA SETTIMANA DALLE PRESIDENZIALI IN COLOMBIA, IL SUPERFAVORITO È GUSTAVO PETRO, EX SINDACO DI BOGOTÁ CHE DA GIOVANE FACEVA PARTE DELL'M-19, MOVIMENTO "ANTI-IMPERIALISTA" RESPONSABILE DI ALCUNI DEGLI EPISODI PIÙ TRAGICI NELLA STORIA DEL PAESE - NEL SUO PROGRAMMA C'È LA FINE DELLA GUERRA ALLA DROGA, LO STOP ALLE ESTRADIZIONI E LA REVISIONE DEL TRATTATO DI LIBERO SCAMBIO CON GLI USA - SE PETRO SARÀ ELETTO (E DOPO DI LUI LULA IN BRASILE) ARRIVEREBBE A SETTE IL NUMERO DI NAZIONI DELL'AMERICA LATINA CON PRESIDENTI DI SINISTRA…


     
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    Gustavo Petro Gustavo Petro

    Sara Gandolfi per il “Corriere della Sera”

     

    Gustavo Petro non è il benvenuto a Pereira. «Le bande armate dicevano che mi avrebbero ucciso». A una settimana dalle Presidenziali in Colombia, il superfavorito ha spiegato così la rinuncia ai comizi nella capitale dell'«eje cafetero», la regione dove si produce uno dei caffè più buoni al mondo. Negli anni '80 questa città sulla Cordillera centrale era la Svizzera dei narcos. Nel resto del Paese i Signori della droga si facevano una guerra feroce, ma Pereira era territorio neutrale e qui convivevano in pace.

     

    Oggi è la patria di altre, più piccole ma non meno pericolose mafie. Petro ha fatto il nome del presunto mandante - un chiacchierato imprenditore locale - e degli aspiranti esecutori, la gang della Cordillera, ex paramilitari che si dedicano a strozzinaggio, racket, narcotraffico. Quindi ha tirato in ballo lo sfidante di destra, Federico Gutiérrez detto «Fico». Che ha ribattuto: «Qui l'unico che ha avuto legami con strutture criminali è Petro».

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    «Sono le elezioni presidenziali più pericolose dei nostri ultimi sei decenni - assicura Rodrigo Uprimny, professore di diritto all'Università nazionale -. Se non vogliamo che finiscano in tragedia o in una rottura democratica, cosa che sembrava impensabile in Colombia, è necessario che alcuni attori influenti, come uomini d'affari, media, accademici, chiese, comunità internazionale o sindacati, esprimano inequivocabilmente il loro impegno democratico, qualunque sia il risultato elettorale».

     

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    Eppure una calma irreale avvolge la Colombia. La gente non parla di politica al bar e per strada si vedono pochissimi cartelloni elettorali, perlopiù striscioni appesi ai balconi. Il silenzio sembra il miglior antidoto alla paura.

     

    Petro, ex sindaco di Bogotá e candidato del Pacto Histórico delle sinistre, al suo terzo tentativo, è in testa con oltre il 45% delle preferenze, che non gli bastano per assicurarsi la vittoria al primo turno il 29 maggio.

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    L'ex sindaco di Medellín «Fico», candidato della coalizione di destra Equipo por Colombia, e l'indipendente di centro-destra Rodolfo Hernández si contendono il secondo posto per il ballottaggio del 19 giugno. La polarizzazione estrema - come nel vicino Brasile, alle urne in autunno - non preannuncia nulla di buono in un Paese ancora in cerca di riconciliazione dopo oltre cinquant' anni di guerra civile, terminata sulla carta nel 2016 con il trattato fra Stato e Forze armate rivoluzionarie (Farc).

     

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    Anche Petro, economista di 62 anni, deve farsi perdonare un passato da guerrigliero. Da giovane si è unito all'M-19, movimento urbano «anti-imperialista» responsabile di alcuni degli episodi più tragici nella tormentata storia della Colombia. Lui ha sempre dichiarato di non aver mai partecipato ad azioni armate, ma per gli avversari, e per gli Usa, la sua biografia ha una macchia indelebile.

     

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    In campagna elettorale Petro ha ripetuto di non essere comunista, che non esproprierà nessuno e governerà «per tutti». Ha evitato ogni contatto pubblico con il partito degli ex guerriglieri Farc, che pure gli hanno offerto i loro (pochi) voti.

     

    Il suo linguaggio viscerale però spaventa buona parte dell'elettorato. «Io sono un rivoluzionario», ricorda spesso. E il suo programma, seppure molto moderato rispetto alle posizioni di qualche anno fa, ne è una conferma, a partire dallo stop alla «guerra alla droga» così com' è stata concepita finora.

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    «Dopo 40 anni passati a fare la stessa cosa, distruggendo con gli erbicidi le coltivazioni di coca, catturando leader ed estradandoli, i gringos hanno più morti per overdose di prima - ha detto al settimanale Semana -. Oggi la Colombia esporta più cocaina che mai. Qui ci sono gli eserciti e la violenza. I narcotrafficanti, che sono messicani, trattengono i profitti. Sono più potenti di Pablo Escobar». Petro preannuncia lo stop alle estradizioni, la revisione del trattato di libero scambio con gli Usa, un ambientalismo spinto, la ripresa delle relazioni con il Venezuela, e una vicepresidente donna e nera, Francia Márquez. La Colombia non ha mai virato così a sinistra.

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    Finora è stata un solido alleato degli Stati Uniti, che hanno ripagato tanta fedeltà con miliardi di dollari in aiuti e armi. Dopo anni di governi di destra, però, gran parte della popolazione vuole un cambio al potere. È la nazione con la maggiore diseguaglianza dell'America Latina, uno dei tassi di omicidi più alti del mondo, (27 morti ogni 100.000 abitanti) e la repressione delle manifestazioni del 2019 e del 2021, decisa dal presidente Iván Duque, ha lasciato ferite profonde nella società, e decine di morti.

     

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     Se Petro sarà eletto - e dopo di lui Lula in Brasile - ben sette nazioni dell'America Latina avranno presidenti di sinistra. Il leader del Pacto Histórico ama concludere i suoi discorsi volgendo in positivo una frase di Cent' anni di solitudine : «Le generazioni (non) hanno una seconda possibilità sotto i cieli della terra». E in fondo la Colombia è ancora quella che ci ha regalato la magica penna di Gabriel García Márquez. Dolce e tragica, accogliente e misteriosa.

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