Luigi Mascheroni per il Giornale
Bisogna sempre partire dal passato per capire il futuro.
flaiano
E la storia, quella che stiamo per raccontare, inizia dal lontano passato, anno 1971, per arrivare a dopodomani, il 2030.
Comunque, tra il 1970 e il '71, un anno prima della morte, mentre si divide tra giornalismo e cinema, Flaiano inizia a lavorare a un progetto teatrale, una commedia. Compra un piccolo registratore - un «gelosino», i piccoli magnetofoni prodotti dalla Geloso negli anni '60 - e comincia a «scrivere» come gli scrittori americani (così diceva lui), cioè dettando a un microfono. Alla fine registra un breve testo, una decina di cartelle. È un frammento narrativo, titolo: Il divano meridionale. Un divertissement, ma serissimo.
Comunque. Il nastro sopravvive all'incuria (di solito si rompevano e bisognava attaccarli con lo scotch) e alla dimenticanza. Fino a che nel 1992 Rosetta Flaiano, la vedova, lo consegna a Massimo De Rossi, regista e attore romano che nel 1987 aveva portato in scena Melampo, con l'idea di trarne una «lettura teatrale». Passano gli anni, muore Rosetta, la bobina finisce alla Biblioteca Cantonale di Lugano (dove è ancora oggi), ma intanto De Rossi lo trascrive. E oggi, arrivata l'occasione giusta, finalmente ce lo fa sentire, direttamente dalla voce di Ennio Flaiano, in una serata speciale dedicata alla commedia incompiuta: accadrà il 30 gennaio, al teatro Vittoria di Roma, dove proprio ieri sera è tornato Melampo (in cartellone fino al 10 febbraio). Adesso tocca a qualche editore farsi avanti...
flaiano teatro vittoria
Ecco, siamo arrivati al testo. Che cos'è Il divano meridionale? Intanto in questa pagina pubblichiamo uno stralcio, giusto per respirare la scrittura di Flaiano, autore troppo spesso ricordato solo come inventore di memorabili battute, un aforista, maestro del paradosso fulminante. Sì, anche. Ma Flaiano era molto di più. Basta leggere Tempo di uccidere (1947, il primo premio Strega) o le recensioni teatrali dello Spettatore addormentato. O, appunto, ciò che dettò - senza completarlo - del Divano meridionale, partendo da Goethe (lettura preferita, e che citava a memoria). E se è molto curiosa la storia del nastro, fantastica è la storia narrata. Anzi, fantascientifica. Genere: distopia.
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L'ambientazione è «una città del nord», nel 2030 (data che a Flaiano, nel '70 sarà sembrata lontanissima, e ormai è qui dietro l'angolo), un tempo in cui tutti i problemi dell'umanità sono stati risolti, o quasi. È sopravvenuta la pace universale, la povertà azzerata, il progresso allo zenit. Certo, l'Arte è finita, la Musica è diventata silenzio, la Pittura non serve più, «la vita stessa si esaurisce nel quotidiano», però le macchine risolvono tutto (se non fosse per quel maledetto inquinamento...), i sentimenti classico-romantici sono stati eliminati, e perfino il sesso è stato cancellato: in ogni locale cittadini e cittadine possono trovare macchinette a gettoni pronte a soddisfare ogni impulso (le migliori sono di produzione italiana, «di cui già si facevano dei modelli per l'esportazione»). Una società apparentemente perfetta in cui però si insinua «una leggera noia, una noia che nessuno osa confessarsi». Non è strano quindi «che la media dei suicidi in questo paese è purtroppo abbastanza alta»...
Flaiano, qui, è al suo meglio. Il Divano è pieno di intuizioni straordinarie: nel futuro che ci aspetta non ci saranno più libri («Quando si ha bisogno di una citazione o di una pagina speciale o di rivedere un testo, si va in biblioteca e con le macchine elettroniche si fa rapidamente la scelta e rapidamente si ascolta il libro. Il libro di carta non ha senso, chi potrebbe più usarlo?»). Lo smaltimento dei rifiuti è irrisolvibile («È un problema molto grave che non fa dormire gli scienziati. Si è pensato di sotterrare queste scorie, ma il pericolo dei terremoti resta tuttora presente. Si è pensato di diluirle nelle acque degli oceani, ma questo può provocare nel futuro una deformazione delle acque marine...»). L'eutanasia - che nel 1970 neppure si sapeva cosa fosse, o quasi - è ormai consuetudine, ma da quello che si capisce per Flaiano non è una conquista dell'umanità, semmai un orrore che si aggiunge ad altri orrori... E, soprattutto, l'amore è stato tolto dalle opzioni dei rapporti umani, forse perché troppo destabilizzante. Anche se bisognerà fare i conti con due ragazzi, Orlando e Angela...
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«Quella di Flaiano era una maschera - ci dice Massimo De Rossi - lui fingeva di parlare soltanto a se stesso, addirittura di scherzare e motteggiare, perché sentiva di dover parlare al cospetto di un vuoto. In realtà senza volerlo presagiva il grande Nulla italiano».
Da Roma, Italia, 1970, Flaiano a suo modo aveva già intuito il degrado del Paese, politico e soprattutto culturale. L'autore del Diario notturno - lui che fustigava i salotti dell'arte e del cinema mentre Pasolini parlava delle borgate e Moravia smascherava la borghesia - sapeva già come sarebbe finita la nostra intellighenzia, stordita dalla tv e rimbecillita dall'ideologia.
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Per il resto, sedevi comodi sul Divano. E ascoltate la storia di Angela e Orlando...
CHE SOCIETÀ PERFETTA (PIENA DI SUICIDI...)
Testo di Ennio Flaiano pubblicato da il Giornale
Pubblichiamo uno stralcio del testo (a oggi inedito) che Ennio Flaiano dettò al registratore nel 1971, anno prima della morte. Intitolato Il divano meridionale è un progetto di commedia rimasto incompiuto. Trascritto dal regista Massimo De Rossi, sarà presentato il 30 gennaio al Teatro Vittoria di Roma.
Dopo la colazione Orlando si recò nel suo ufficio. Egli lavorava al centro per l'eliminazione delle scorie. Era uno dei migliori elementi: amato, ben voluto, molti amici se in una società perfetta è possibile avere amici. Uno di questi amici si chiamava Achille. Quel giorno venne a trovarlo mentre stava verificando alcuni dati su certe tabelle. Sedette davanti a lui e tirando fuori di tasca un foglio di carta, lo buttò sul tavolo dicendo: «Non so come riempirlo».
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Orlando prese il foglio e vide che era uno di quei moduli che rilascia l'Ufficio Statistico a chi ha deciso di suicidarsi. «Vuoi ucciderti?» disse ad Achille. «Sì, ma non so che motivo mettere» rispose il giovane. Sembrava abbastanza triste "Perché vuoi ucciderti?» disse Orlando, ben sapendo che commetteva così una grave infrazione. «Ti ripeto, non so» rispose Achille. Si levò dalla poltrona, guardò i mobili dell'ufficio, le carte che stavano sul tavolo di Orlando e ripeté desolato: «Non lo so, è da molti giorni che cerco di saperlo, che cerco di conoscermi senza riuscirci. Forse sono imperfetto». «Tutti siamo imperfetti - rispose Orlando - ma non è un motivo per uccidersi».
«Forse è un buon motivo per non vivere - rispose Achille - Comunque non è un motivo che l'Ufficio Servizi apprezzi. Si sa bene che l'imperfezione è il segno di una perfezione raggiungibile».
WELCOME IN ROME FLAIANO
«Ah, non credo» - disse Achille e prese a cantare: «Ho una buona memoria, un bieco talento, un talento che ingabbia la memoria. Questo ricordo è senza asprezza. Quadri di un'impassibile dolcezza, volti che non chiedono più un nome e la fretta di continuare, l'ebbrezza. Si resta sempre inferiori all'età, sempre delusi di ricominciare. La mia pigrizia è solo calda attesa, la mia attesa solo un vuoto che pesa. Un uomo si dibatte dentro di me, cerca un varco che sarà la resa»...
ENNIO FLAIANO E BRUNA PARMESAN ENNIO FLAIANO ENNIO FLAIANO
Così dicendo ingoiò una pillola e rimase lì stecchito.