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    AL CUORE, DOROTHEA, AL CUORE! CHI E’, CHI NON E’, CHI SI CREDE DI ESSERE DOROTHEA WIERER, LA VENERE DEL BIATHLON ITALIANO CHE PUNTA ALL’ORO AI GIOCHI INVERNALI – LA RAGAZZA CON LA CARABINA IMPAZZA SUI SOCIAL: “SÌ, SONO FEMMINILE. CHE MALE C'È? HO PIU’ SCARPE ELEGANTI CHE DA GINNASTICA. QUANTA VOGLIA AVREI DI ANDARE A MILANO AD ASSISTERE A UNA SFILATA DI MODA MA...” - HA DETTO NO ALL’EDIZIONE RUSSA DI PLAYBOY


     
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    Mattia Chiusano per Il Venerdì-la Repubblica

     

    DOROTHEA WIERER DOROTHEA WIERER

     

    Alle Olimpiadi invernali sentiremo parlare di lei. Delle sue fatiche nello sci di fondo e dei suoi spari, delle medaglie, delle risate, dei servizi da modella. Il trucco in gara, il debole per la cioccolata, la erre arrotata. A febbraio, ai Giochi invernali di Pyeongchang, sentiremo parlare di Dorothea Wierer, nordico volto dello sport italiano, punta della spedizione in Corea del Sud, campionessa 2.0 che nuota con piacere su Instagram e social assortiti.

     

    Diventando più conosciuta all' estero che in Italia, perché qui è davvero dura imporsi col biathlon, dove si vince sciando come scandinavi e sparando come Niccolò Campriani (vincitore di tre medaglie d' oro e una d' argento ai Giochi olimpici), fatica e precisione per pochi adepti, «mentre in Russia ci sono migliaia di atleti, in Germania vengono in 50 mila a vederci allo stadio dello Schalke 04, e noi siamo solo in trecento».

     

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    Dorothea è già nella storia dell' Olimpiade made in Italy, da quando, quattro anni fa a Sochi, fece parte del quartetto di ragazzi e ragazze schiamazzanti che vinsero la nostra prima medaglia mista, un bronzo. Si chiama mixed relay, una donna dà il cambio a un' altra donna, poi tocca a due uomini chiudere la staffetta. Alla fine tutti ad abbracciarsi, o a piangere insieme. Al pubblico piace, al Cio pure. Ma ogni quattro anni, per gli atleti come Dorothea, la storia è sempre la stessa. Bisogna spiegare la propria identità, chi si è, cosa si fa, da dove si viene.

     

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    Il biathlon, lo riscopriremo a febbraio, è quella gara di sci di fondo in cui si porta a tracolla una carabina calibro 22 caricata con 5 proiettili, ci si ferma a un poligono, si inquadra un bersaglio lontano 50 metri, e in base agli errori si scontano penalità: anelli di 150 metri di "punizione", o ricariche che fanno perdere tempo. Per vincere, bisogna rallentare: presentarsi al poligono di tiro con il cuore che ritma heavy metal non aiuta la respirazione, e un respiro alterato fa sbagliare la mira, con conseguenze disastrose per i risultati.

     

    Dorothea è famosa, sul suo piccolo pianeta. Non solo per i cinque titoli mondiali juniores, la medaglia olimpica, le 5 gare di Coppa del mondo vinte e la velocità a sparare, ma anche per la sua avvenenza. «A me e ad altre atlete piace essere femminili in uno sport che viene considerato da maschi. È bello se vedi in gara una donna un po' curata e truccata. Prima di partire mi metto mascara, highliner, e ogni tanto il fondotinta. Dipende se mi sento uno schifo o no quel giorno». E giù una risata delle sue. Contagiosa. «Se c' è qualcosa che mi piace è lo shopping, appena posso vado a Livigno e compro cappotti, occhiali, tacchi, credo di avere più scarpe eleganti che da ginnastica».

     

    Su Instagram ha 181 mila follower, su Facebook 176 mila. Gli sciatori francesi l' hanno coinvolta in una web serie chiamata Team Valoche, in cui lei interpreta un' infermiera. «Certo, ci sono persone a cui tutto questo non piace. C' è tanta invidia, si va alla ricerca di un lato oscuro in tutto. Ma bisogna conviverci, ed io mi accetto come sono, non cerco di cambiarmi».

     

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    L' edizione russa di Playboy le chiese di posare senza veli: lei disse no. Il reporter francese Pierre Teyssot la notò, proponendole uno shooting fotografico: il cappello a tesa larga, il look total blue e l' espressione intensa la trasformarono in una diva anni Quaranta. Ma è stato solo un attimo, un tuffo in una landa senza tempo dove solo la bellezza ti può portare, e riportare subito indietro, a un realtà fatta di spinte sui bastoncini e sguardi nel mirino, col fiatone, sdraiati sulla neve. All' isolamento in Paesi dove la notte non dà tregua d' inverno, e si spera di non perdere mai la strada nel bosco.

     

    «Sono nata in una famiglia di Anterselva, la patria del biathlon» racconta, «i miei fratelli maggiori facevano biathlon, e ora vivo in un' altra piccola famiglia in cui dividiamo lo stesso appartamento, gli allenatori e gli skiman cucinano per tutti e noi ragazze laviamo i piatti. I soldi, si sa, sono pochi. Questo è il mio mondo da quando avevo dieci anni. A chi mi chiede se è il caso di far girare una ragazzina con un fucile dico che non vedo problemi, il porto d' armi è dell' allenatore, ma il senso della responsabilità lo impariamo noi sin da piccoli. Pulire il fucile, chiudere l' armadietto, far sì che tutto sia a posto perché coi controlli dei carabinieri non si scherza.

     

    Quanta voglia avrei di andare a Milano ad assistere a una sfilata di moda. Ma questo significa una giornata di viaggio, un' altra in cui ti svegli stanca e nel mio sport le fatiche, gli allenamenti saltati li paghi, quando vuoi ottenere risultati.

     

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    Se penso a una donna che mi ispira, quella è Lindsey Vonn, la sua voracità, la voglia di rinascere dopo ogni infortunio. Mi piace ballare, mi accompagna ovunque la musica da discoteca, ma ormai certe cose le ho lasciate nel passato, il mio sport non le permette. Se poi volete praticarlo ad alto livello, il biathlon, è meglio sapere che servono i corpi militari, e gli arruolati sono sempre meno. Ho visto abbandonare tanti giovani, perché non si può girare il mondo a spese di mamma e papà».

     

    Dorothea ha sposato Stefano Corradini, allenatore di fondo e finanziere come lei. Insieme, vivono in Val di Fiemme. «Mio marito? È il mio problema... cucina talmente bene. Io sono golosa, pasta e bistecca, non le mangio mica quelle robe che ti danno in Scandinavia. Adoro i dolci, tutto quello che ha a che fare con la cioccolata.

     

    Lo so che non si dovrebbe, però meglio un attimo di felicità che essere depressi».

    L' anno del suo ritiro è fissato nel 2020, quando ci saranno i Mondiali nella sua Anterselva. «Poi magari continuo fino a quaranta-cinquant' anni... (ride) ma certo è dalla prima delle superiori che vivo con la valigia, e avrei voglia di formare una famiglia mia».

    Nella sua famiglia acquisita, intanto, quella dei giramondo di sciolina&carabina, ha scoperto l' adrenalina e la fiducia.

     

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    Staccandosi da terra, abbandonando sci e fucili. «È successo quando il mio compagno di squadra Lukas Hofer mi ha invitato a provare il parapendio, la sua seconda passione. Quando sei lassù, e guardi verso il basso, ti dici che se succede qualcosa sono cavoli. In quel momento scopri che devi fidarti di qualcun altro, come è avvenuto nella staffetta olimpica di Sochi, se qualcuno sbaglia c' è un altro pronto a rimediare. Alla fine è bello condividere anche con chi non era in pista, gli allenatori e gli skiman. Sarà così anche in Corea, non posso dire "voglio la medaglia d' oro", perché siamo in venti in grado di vincere, o di non prendere niente. So solo che sarò carica al massimo. Capisco che all' Italia mancherà il Mondiale di calcio, però provate a conoscere anche noi, i nostri sport invernali che fanno fatica. Non siamo il calcio, ma sappiamo emozionare».

     

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