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    GIOVENTU' BRUCIATA E DA BRUCIARE – “GLI EBREI SONO COMBUSTIBILE”; “LA MIA PROF LA STUPREREI”, “E POI DICONO CHE I PRETI NON DEVONO VIOLENTARE I BAMBINI…” – LA CHAT DELL’ORRORE ("SHOAH PARTY") DEI RAGAZZINI ANNOIATI DI SIENA TRA INNI A HITLER E ALL’ISIS E VIDEO PEDOPORNOGRAFICI - INDAGATI 25 GIOVANISSIMI, 5 HANNO MENO DI 14 ANNI. "PARLA LA MAMMA CHE HA DENUNCIATO: “NEL TELEFONO DI MIO FIGLIO HO SCOPERTO L'INFERNO. LE ALTRE MADRI TACEVANO"


     
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    Lodovico Poletto per “la Stampa”

     

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    «Gli accendini e gli ebrei dove sono?» si domanda il primo ragazzino. E gli altri della chat ridono. Mandano meme. Bestemmie: «Gli ebrei sono combustibile». Uno skroll di schermate. C' è un video con due ragazzine che avranno sì e no dodici anni, che fanno sesso con un coetaneo. «E poi dicono che i preti non devono stuprare i bambini...». Risate.

    La chat dell' orrore era il regno degli adolescenti, con iscritti da tutta Italia: da Napoli a Torino. Aveva svastiche come icone. E un nome che fa rabbrividire: «The Shoah party». Ci entravi se ti presentavano e ti invitavano con un link: «Clicca qui». Oppure passavi attraverso Instagram. E il regno dell' orrore spalancava la bocca. Stupri. Violenze. Una bestemmia ogni riga. Ogni due. Una risata. Un meme.

    Un commento assurdo, anzi molto peggio: «Io la mia prof la stuprerei...».

     

    L' inchiesta della Procura della Repubblica di Siena ha spalancato un orrido che non ti aspetti. Un inferno di degrado umano senza fondo. Di violenza. Di inni a tutto ciò che è violenza, sangue e orrore. La Shoah è soltanto una delle tante cose malate che puoi trovare qui. I carabinieri del comando provinciale di Siena hanno messo le mani dentro questo pozzo di marciume il giorno in cui una mamma ha deciso di parlare.

     

    «Ho scoperto la chat per caso» racconta adesso. Ne ha discusso con altre mamme, sconvolta. L' hanno liquidata con un' alzata di spalle. Banalità. Lei è andata avanti ed è approdata dai carabinieri: «Mi creda è orribile». L' hanno sentita e poi hanno iniziato a indagare.

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    Ingegneria sociale, si chiama il modo di hackerare senza violare il sistema, fingersi un altro per ottenere informazioni, accessi a siti, dati. Negli uffici del comando provinciale i ragazzi del comandate del reparto operativo si sono dati da fare. E il loro capo, il colonnello Michele Tamponi, gli ha dato carta bianca.

     

    Hanno letto tutto per tre mesi almeno. Hanno annotato numeri. Indagato sulle persone. Trecento utenti si stima siano entrati e usciti da «Shoah party». Quasi tutti ragazzini. Di Torino, per dire, erano 8. Tra loro c' è anche uno studente del Politecnico: ha 19 anni, è arrivato dalla Puglia per andare all' università. C' era anche un uomo di 44, ma era finito lì dentro per caso. La scheda sim da cui suo figlio chattava era intestata a lui. Lo hanno indagato. E lui adesso dice: «Forse avrei dovuto controllare meglio il telefono di mio figlio». Ma forse la chat era nascosta. WhatsApp ha segreti che se non conosci non puoi scoprire.

     

    I carabinieri sì, ci sono riusciti. Hanno trovato i video pedopornografici che fanno accapponare la pelle soltanto a dire che cosa mostravano.

    «Mi sento pedo oggi» scriveva qualcuno. E giù risate. Pollici alzati. Come se chi scriveva non avesse chiaro quali sono i limiti. Dove lo scherzo diventa reato. Dove il buongusto vien ucciso. E più ancora dai valori negati.

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    C' era tutto lì dentro. L' Isis che taglia le teste. Le torri gemelle. «Vorrei ammazzare tutti». I bambini malati: «tutti quelli con il cancro». La leucemia come oggetto di scherno.

    Senza vergogna. O meglio ancora senza un barlume, seppur minimo, di umanità. C' è un bambino africano inginocchiato accanto a una pozzanghera colma di acqua fangosa da cui beve. Commento: «Minkia, il Nesquick».

     

     

    Ecco, quando i carabinieri hanno avuto chiaro tutto questo sono andati a bussare all' uscio dal comandante provinciale, Stefano Di Pace, con i faldoni di carte spessi così. E lui è andato dal procuratore Antonio Sangermano, alla procura dei minori. Ne hanno indagati 25: tutti gli altri che sono entrati lì dentro e, dopo aver visto, hanno abbandonato la chat - «Che cos' è questo schifo?» «Me ne vado». «Addio» - non li hanno tirati in ballo.

    Quel che è rimasto è il peggio. Gente che commentava.

     

    O condivideva. Che non denunciava. «Shoah party» - che ricorda casi molto simili in Inghilterra e Francia - è stato chiuso. Ora iniziano gli interrogatori. Negare sarà inutile: carabinieri e Procura sanno chi ha fatto cosa. E quando.

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    2 - PARLA LA DONNA CHE HA DENUNCIATO

    Grazia Longo per “la Stampa”

     

    «Dirle che mi è crollato il mondo addosso non rende l' idea. Ero sconvolta dai due video pedopornografici, e lo ero ancora di più perché si trovavano sul telefonino di mio figlio tredicenne». Veronica parla con tono calmo e gentile, tradisce l' emozione solo dal modo in cui stringe la tazza di tè. Le dita delle mani sono quasi cianotiche per la tensione. Il suo nome è ovviamente di fantasia, mentre l' inferno che racconta è tutto reale. È lei la mamma che, a differenza delle altre, ha avuto il coraggio di denunciare tutto ai carabinieri del Reparto operativo di Siena. E ora rievoca quei momenti con lucidità e sollievo.

     

    Quando è cominciato tutto?

    «Lo scorso aprile. Ricordo quel pomeriggio con una precisione certosina. Da una decina di giorni non esaminavo il telefonino di Luigi (anche questo nome è fasullo, ndr). Avevo il pin perché con mio figlio c' è un rapporto di fiducia. È un accordo tra di noi: Luigi sa che può tenere il cellulare solo a patto che io lo possa controllare».

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    Perché?

    «Perché il telefonino in mano a un minorenne può diventare una pistola che un ragazzino non è in grado di gestire in modo adeguato».

     

    Quel pomeriggio che cosa ha scoperto?

    «Ha attirato subito la mia attenzione una chat, per via del nome, "The shoah party". Mi sembrava offensiva, e così l' ho aperta. E lì è incominciata la discesa nei gironi dell' inferno».

     

    Per i video pedopornografici?

    «Innanzitutto per quelli, certo. In uno ho visto due bambini, sotto i 10 anni, che avevano un rapporto omosessuale.

    Nell' altro un incontro a tre tra due maschietti di circa 10 anni e una bambina coetanea.

    Le immagini erano indescrivibili, mi creda. Non ci sono davvero parole adeguate per rendere l' orrore».

     

    Ma c' erano anche foto o video inneggianti Hitler, Mussolini o i terroristi islamici?

    «Sì c' era un po' di tutto. Era tutta una violenza, un sopruso, una dominazione fisica e psicologica sul prossimo. Si trattasse di ebrei, malati, bambini».

     

    Molti insulti quindi?

    «Tantissimi. Basti dirle che ogni messaggio si apriva con una bestemmia».

     

    E suo figlio come ha reagito? Come si è giustificato?

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    «Mi ha spiegato che era stato contattato via whatsapp da alcuni sconosciuti i quali lo avevano invitato ad entrare nella loro chat».

     

    E perché ha accettato?

    «Mi ha riferito di averlo fatto perché quelle pressanti e continue richieste gli impallavano il cellulare e lui non poteva più usarlo per i giochi. Così mi ha detto, che non riusciva più a giocare con il telefonino e quindi ha acconsentito di entrare nella chat».

     

    Suo figlio non è rimasto turbato da quelle immagini e da quegli slogan che istigavano alla violenza e al razzismo?

    «Mi ha raccontato di aver aperto solo i primi due video che gli sono arrivati e di aver poi archiviato gli altri. Per lui era finita lì, tant' è che, pur sapendo che io ogni tanto, senza preavviso, gli monitoro il telefonino, non ha cancellato nulla. Inoltre lui non ha mai scritto niente e non appena io ho individuato la chat si è cancellato».

     

    Lei aveva notato nella chat la presenza di alcuni compagni di scuola?

    «Ne ho riconosciuti tre, ma non so se ve ne fossero altri».

     

    E cosa ha fatto, prima di rivolgersi ai carabinieri?

    «Ho scritto alle altre mamme nella chat di classe, avvertendole che su whatsapp giravano foto violente, razziste è pedopornografiche».

     

    Che cosa le hanno risposto?

    «Sono state molto fredde, indifferenti. Qualcuna ha ringraziato, qualcun' altra ha replicato che suo figlio non faceva quelle così lì e la discussione non è andata avanti».

     

    Ma poi ha avuto occasione di confrontarsi con le mamme dei tre compagni riconosciuti in chat sulla necessità di rivolgersi alle forze dell' ordine?

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    «Nessuno ha voluto denunciare. Non so se per vergogna o cos' altro. Mio figlio in questa vicenda risulta un testimone, non è indagato. Ma io comunque non mi sarei fermata in ogni caso. Non solo perché ritengo che sia un dovere civile sporgere denuncia, ma anche perché non si può accettare che dei ragazzini divulghino oscenità e appelli in nome di Hitler o della Jihad. È assolutamente inconcepibile».

     

    Eppure è drammaticamente successo.

    «Infatti. Non so in che modo abbiano agito i giovani amministratori della chat e con quale assurdo passaparola quello scempio sia arrivato sul telefonino di mio figlio. Per fortuna la giustizia sta facendo il suo corso, ma credo sia molto importante la questione socio-culturale, il rapporto genitori-figli».

     

    I ragazzini della chat appartengono a una classe sociale medio alta, hanno genitori laureati e liberi professionisti. Che cosa non ha funzionato secondo lei?

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    «Non mi permetto di guardare in casa d' altri. Ma i genitori devono fare i genitori e controllare i propri ragazzi».

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