DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Mauro Masi per www.adnkronos.com
Negli Stati Uniti proprio in questi giorni ha ripreso forte vigore la polemica intorno ai brevetti sui vaccini contro il Covid 19 quando tre senatori democratici molto noti e popolari (Elisabeth Warren, Peter Welch e Bernie Sanders – ex candidato dem alla Presidenza contro Biden) hanno attaccato prima Pfizer poi Moderna per la loro annunciata decisione di portare il costo della singola dose vaccinale sul libero mercato (quando saranno esauriti i contratti in essere con il governo USA e i vari governi mondiali, UE compresa) a 130 dollari.
Sanders ha sottolineato che il costo stimato di produzione della singola dose è di circa 2,85 dollari quindi il prezzo di vendita annunciato sarebbe di oltre 45 volte quello di produzione. Un’enormità. Pfizer non ha proprio risposto alle critiche, Moderna ha ricordato i grandi costi sostenuti per ricerca e sviluppo e che comunque il suo prodotto anche dopo la fine dei contratti pubblici “sarà disponibile gratuitamente per la stragrande maggioranza delle persone negli USA”.
Il dibattito sulla gestione dei brevetti sui farmaci salva vita viene da lontano e ha avuto sviluppi molto significativi durante la pandemia da Covid. Ricordiamo che al margine dell’ultima Assemblea generale dell’ONU prima della guerra russo ucraina, il Presidente USA Biden volle un vertice mondiale virtuale per la lotta al Covid. Vi parteciparono i leader di 30 Nazioni ad alto reddito per presentare “impegni per la donazione dei vaccini”.
In questo contesto gli Usa annunciano che avrebbero donato fino a 1,1 miliardi di dosi per i paesi più poveri. Peraltro nessuno dei partecipanti al Summit menzionò nulla che riguardasse la tutela brevettuale dei vaccini e l’annuncio fatto dallo stesso Biden nel maggio 2021 al WTO di “non voler proteggere la proprietà intellettuale per i vaccini” è rimasto lettera morta.
All’epoca la presa di posizione di Biden era sembrata addirittura epocale mettendo un punto fermo, con tutta l’autorevolezza del Governo Usa, nella disputa annosa tra chi ritiene che la salute pubblica faccia premio su ogni altra tutela e chi sottolinea che senza la protezione assicurata dall’esclusività brevettuale si bloccherebbe l’innovazione e la spinta del sistema a produrre nuovi farmaci.
Come si è visto, però, non se ne è fatto sostanzialmente nulla e ciò per diversi motivi di natura sia economica sia politica ma forse anche perché la strada proposta dagli USA (sospensione “sic et simpliciter” dei brevetti) era quella tecnicamente più semplice ma, non necessariamente, la più adeguata.
Meglio sarebbe stato, forse, puntare sulle licenze obbligatorie (deroghe ai brevetti su pronuncia di un’autorità giuridica o amministrativa che ne fissa condizioni e durata) come prevede lo stesso accordo multilaterale TRIPS. Ciò detto, lo stato dell’arte ad oggi è che, nella sostanza, nulla è cambiato rispetto a tre anni fa, prima della pandemia, e il tema resta, quindi, attualissimo ed irrisolto.
LINEE AEREE. Molte compagnie aeree mondiali stanno cercando di seguire l’esempio dell’Alaska Airlines che per prima ha applicato il software di ultra avanguardia Flyways che studia e definisce rotte più efficienti e meno dispendiose anche e soprattutto in termini di consumo di carburante. Non è un esercizio semplice: le infrastrutture di IT non sono facilissime da installare in quanto una linea aerea non può semplicemente chiuderne una ed aprirne un’altra.
Tali sistemi vanno, infatti, integrati progressivamente e con molta attenzione perché il tutto avviene con i voli in corso e si rischiano problemi anche molto seri (come peraltro accaduto pochi giorni fa proprio negli USA dove, sembra, un errato upgrade di un sistema informatico della FAA l’agenzia federale del volo ha causato un blackout di molte ore bloccando al suolo migliaia di voli).
Ne vale comunque la pena: Alaska Airlines ha ottenuto nell’ultimo anno notevoli successi sia in termini di risparmio di carburante che di raggiungimento di ambiziosi target di sviluppo sostenibile lanciando nell’olimpo dei supermanager il suo CEO, l’italo-americano Ben Minicucci.
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