intrigo internazionale armi droni formello
Giuseppe Scarpa per “la Repubblica - Edizione Roma”
Pioggia di armi made in Italy sull'Iran. Tre emissari ombra del governo di Teheran, incaricati di comprare clandestinamente una partita di armi da più di 300 milioni di euro, sono indagati a Roma per associazione con finalità di terrorismo internazionale.
Mohamad Hamed Adibpour, Mehran Aalipour Birgani e Esamil Nasab Safarian sono però irreperibili. Rifugiati in Patria, con ogni probabilità. Non lo sono, invece, il resto degli indagati, in tutto 11, venditori d'armi nostrani e faccendieri, sui cui si dovrà esprimere il gup Anna Maria Gavoni il prossimo 26 maggio.
Magistrato che ha impugnato l'archiviazione e che dovrà decidere il da farsi. Chiudere tutto? Delegare una più approfondita inchiesta? Nel frattempo corre parallela l'indagine madre. La principale. Quella che tira in ballo il principale protagonista di questa storia: Said Ansary Firouz, 68 anni, un altro iraniano assassinato da un connazionale che poi si è suicidato un secondo dopo avergli sparato, il 20 ottobre 2020 a Formello.
firouz ucciso a formello
Ma andiamo con ordine in una vicenda complessa. Firouz ha da sempre ha vissuto in Italia, nella Capitale. Titolare di un autosalone, figlio di un ex ambasciatore iraniano ai tempi dello Scià, era il trait d'union tra domanda e offerta: era lui l'anello di congiunzione tra la richiesta degli Ayatollah di acquistare le armi con i tre delegati spediti in Italia - e la volontà di vendere da parte di alcuni produttori bellici italiani.
Ma Firouz aveva una tripla vita, perché era legato anche ai nostri servizi segreti. Gli 007 erano consapevoli e informati sulla trattativa che Firouz aveva imbastito a Roma. Un business che avrebbe fruttato, tra il 2016 e il 2017, più di 300 milioni di euro ai mercanti d'armi.
Gli Ayatollah volevano accaparrarsi dalla Flytop di Gabriele Santiccioli droni da guerra. Il sospetto degli inquirenti è che l'oggetto della trattativa fossero gli Hunter mq5, aeromobili con una apertura alare di nove metri, un raggio d'azione di 120 chilometri, in grado di volare per 18 ore continue a 5mila metri d'altezza. Ma più di ogni cosa capaci di sganciare la pericolosa bomba GBU- 44/ B Viper Strike. Inoltre i carabinieri del Ros erano certi che Firouz stesse per spedire verso la Repubblica Islamica «5000 pezzi di materiale di armamento » . In questo caso il mitragliatore Browing m2, l'AK 47, il fucile di precisione Sako trgm 10 e la carabina Tikka t3. Le armi non sono mai arrivate a destinazione. I carabinieri hanno bloccato sul nascere la spedizione nella primavera del 2017.
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Ad ogni modo Firouz aveva spiegato tutto agli inquirenti, quando è stato interrogato il 7 maggio 2020, dopo che i carabinieri del Ros avevano scoperto il negoziato in atto tra iraniani e italiani all'hotel degli Aranci ai Parioli. In quella occasione, di fronte agli investigatori, il 68enne aveva ribadito la sua vicinanza alla nostra intelligence. E a conferma della versione offerta da Firouz gli investigatori avevano intercettato delle chiamate partite dal suo cellulare ad un numero intestato alla presidenza del consiglio dei ministri il 22 novembre del 2016, proprio nei giorni in cui avvenivano gli incontri con i delegati di Teheran.
Firouz, però, si sarebbe sentito tradito dalla nostra intelligence, come risulta dalle carte dell'inchiesta. Per l'uomo i nostri 007 non sarebbero intervenuti in due occasioni: per evitare che finisse sotto indagine dalla procura per la vendita di armi in Iran e, come conseguenza dell'inchiesta, per il blocco dei suoi conti correnti.
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Firouz pensava, inoltre, di essere stato abbandonato dal gruppo di 007 con cui si interfacciava, perché finito in mezzo a un guerra tra bande della nostra intelligence. « Voglio preliminarmente precisare che ho conoscenze dentro i servizispiega Firouz ai carabinieri che a maggio lo interrogano - in questo contesto (vendita di armi all'Iran) ho cercato di acquisire informazioni. In particolare avevo rapporti con un maresciallo che periodicamente incontravo e scambiavo informazioni, ho incontrato alcuni suoi superiori che mi hanno ringraziato per la collaborazione».
Ma c'è dell'altro, perché a gennaio 2020 un preoccupatissimo Firouz parla con un dipendente della banca Ifigest dove l'iraniano ha un conto. Il bancario, come emerge dall'intercettazione, è a conoscenza dei rapporti tra il suo cliente e i servizi segreti italiani. Gli dà però una notizia terribile, gli stanno per congelare il conto a motivo dell'inchiesta sulle armi. Questa la reazione dell'iraniano: «Per maggio ( l'inchiesta) mi hanno garantito che è chiusa».
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Dei «gruppi tra di loro ( servizi) stanno litigando » . Firouz, come spiegherà al suo interlocutore in un'altra conversazione, pensa di essere finito in mezzo ad un litigio tra due anime dell'intelligence in conflitto tra loro. E aggiunge: «Io sono un amico loro, e ho lavorato per loro punto e basta e ho fatto quello che loro mi hanno chiesto » . Infine la minaccia: « Io per ste cose vado a finire sui giornali, io vado sui giornali, gliel'ho già detto a loro». Pochi mesi dopo Firouz muore.
L'uccisione dell'uomo è solo l'ultimo giallo di una vita vissuta al limite. Ad assassinarlo un connazionale che accusava Firouz di non aver onorato un debito: per questo prima gli ha sparato e poi ha puntato verso di sé l'arma e ha fatto fuoco. Un omicidio- suicidio su cui pendono diversi punti interrogativi, sebbene questa sia la pista maggiormente battuta dagli investigatori.
Tuttavia per quale motivo un creditore dovrebbe uccidere il suo debitore e poi autoeliminarsi? La procura di Tivoli indaga sul mistero della doppia morte. Roma oltre al traffico internazionale d'armi, adesso cerca di fare chiarezza sui tre iraniani Mohamad Hamed Adibpour, Mehran Aalipour Birgani e Esamil Nasab Safarian, pronti a consegnare un fiume di denaro pur di ricevere droni da guerra.
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