Giuseppe Salvaggiulo per “La Stampa”
PREPARATIVI IN UNA SCUOLA DI MILANO PER LA RIAPERTURA
Altro che le centinaia di miliardi del Recovery Fund: da quattro mesi non riusciamo a pagare i miserevoli stipendi di decine di migliaia di docenti, tecnici e addetti alle pulizie, naturalmente precari, chiamati a settembre nelle scuole per l'emergenza Covid. Chi era senza contratto da anni. Chi ha attraversato l'Italia e dopo quattro mesi non ha neanche i soldi per il bus. Chi sopravvive grazie ai prestiti di presidi e colleghi.
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«È frustrante», dice una maestra d'asilo genovese compulsando il gruppo WhatsApp dove ogni giorno si rende conto del penoso rito mattutino della verifica contrattuale sul portale «Istanze online». Si clicca sulla sezione riservata agli stipendi e, mentre la rotellina gira, si prega che compaia un verdetto diverso da «verifica fondi». Così ogni giorno, da ottobre, vacanze di Natale incluse. E senza tredicesime.
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Le supplenze Covid nascono a settembre, in prossimità della riapertura delle scuole, per garantire le misure di sicurezza sanitaria: classi dimezzate, sanificazioni, percorsi differenziati, misurazione della febbre.
Primo problema: si segue un iter inedito in un settore già di per sé complicato. Anziché stabilire un piano dell'organico e una corrispondente dotazione finanziaria, il governo mette un miliardo e lo distribuisce agli uffici scolastici regionali, che lo assegnano alle scuole. Ognuno a modo suo: chi quantifica i posti, chi le ore di supplenza.
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Secondo problema: le scuole interpellano insegnanti e tecnici dalle graduatorie, ma faticano a trovare disponibilità per una norma-capestro inserita nel contratto, che lo annulla in caso di lockdown. Dopo qualche settimana, la clausola viene cancellata.
Sono 70 mila i precari che ottengono una supplenza Covid con scadenza a giugno. Ma, spiega Anna Maria Santoro della Cgil, «i ministeri (Economia e Istruzione) quantificano in modo sbagliato i costi per retribuirli». A novembre, quando le scuole mettono mano al pagamento dei primi stipendi, «si accorgono che i soldi non bastano».
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C'è un altro ostacolo burocratico: anche quando i soldi ci sono, ma mancano solo 7 euro per un diverso calcolo di un assegno familiare o di una detrazione, tutto si ferma e lo stipendio non viene pagato. Per non dire della beffa per cui a dicembre le casse delle scuole vengono svuotate (e alimentate a gennaio per motivi contabili), il che impedisce i pagamenti degli stipendi a ridosso di Natale anche se tutti gli altri problemi sono risolti.
In ogni caso si entra nel girone dantesco della burocrazia romana, con ministero dell'Istruzione (controparte contrattuale) e dell'Economia (che dovrebbe pagare) a rimpallarsi la faccenda. E ad accusare le scuole di non aver completato le autorizzazioni ai pagamenti.
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Il risultato è che tutti i 70mila precari Covid non hanno ancora ricevuto lo stipendio di dicembre, almeno metà quello di novembre e almeno un quarto non ha mai visto un euro. Le situazioni sono differenziate: nella provincia di Torino oltre la metà dei 2.400 supplenti non ha percepito neanche lo stipendio di ottobre. Stipendi tra 1.100 e 1.400 euro mensili. Un decimo di quelli dei parlamentari, sia detto pro memoria e senza demagogia.
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Dopo proteste e appelli, il governo ha annunciato che oggi ripartirà la procedura dei pagamenti. Ma il meccanismo è farraginoso: dal ministero dell'Economia la palla passa al portale NoiPa, che materialmente accredita gli stipendi sui conti correnti dei supplenti. Dove, se tutto va bene, arriveranno a fine gennaio. Nel frattempo, non resta che cliccare e sperare.
«Lavoro da tre mesi e non so ancora quant'è il mio stipendio - sospira un'addetta alle pulizie in una scuola di Torino -. Ho 39 anni e aspettavo questa supplenza dal 2004. Ma non per venire a fare volontariato».