ANTONIO ROSSITTO per la Verità
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«Fondo un partito per battere Salvini», diceva Matteo Renzi un anno fa. E intanto, per legittimare la più coraggiosa delle scelte, scriveva il più emozionante dei tweet: «Una frase di Robert Frost citata nell'Attimo Fuggente mi ha sempre fatto compagnia nei miei anni da boy scout: "Due strade trovai nel bosco e io scelsi quella meno battuta. Ed e per questo che sono diverso".
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Scegliamo la strada piu difficile, senza paracadute. Ma e anche la strada piu bella». L'ex premier già si immaginava come il professor Keating, alias il compianto Robin Williams, portato in trionfo dagli elettori. Era il 16 settembre 2019. Dodici mesi più tardi, quella strada poco battuta è diventata un vicoletto cieco e buio. Italia viva agonizza.
E il suo primo compleanno rischia di trasformarsi in un'esequia. «Non saremo un partito del 5 per cento», prometteva l'ex Rottamatore. «Magari», risponderebbe oggi la sua cinquantina di parlamentari mentre fanno ciao ciao con la manina a Camera e Senato. I sondaggi li inchiodano sotto il 3 per cento. E il testo base della nuova legge elettorale fissa la soglia di sopravvivenza al 5.pretendenti solitariLe elezioni regionali del 20 e 21 settembre erano l'ultima occasione.
teresa bellanova mangia pizza
Per rosicchiare qualche decimale, Italia viva ha pure presentato tre solitari candidati alla presidenza: la senatrice Daniela Sbrollini in Veneto, l'accademico Aristide Fausto Massardo in Liguria e il sottosegretario agli Esteri Ivan Scalfarotto in Puglia. Ma persino nella sua Toscana, dove appoggia il fidato dem Eugenio Giani, la compagine sembra destinata all'irrilevanza.
Nonostante Renzi abbia obbligato l'aspirante governatore a non presentare una propria lista, che gli avrebbe sottratto preferenze e visibilità. «Avremo centinaia di sindaci, una cinquantina di consiglieri regionali, migliaia di amministratori e soprattutto un sacco di comitati e semplici iscritti», assicurava Matteo. Ma la campagna acquisti è stata fallimentare. E l'imminente voto potrebbe dare il colpo di grazia. Italia Viva ha appena 18 consiglieri regionali, ma la metà è stata eletta nei territori alle urne. Se le misere stime dei sondaggi saranno confermate, le truppe si dimezzeranno.
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Mentre a Roma, tra il probabile taglio dei parlamentari e le nuove soglie di sbarramento, si rischia addirittura l'estinzione. Ed è questo uno dei motivi per cui Renzi starebbe meditando un clamoroso ritorno nel Pd se il segretario, Nicola Zingaretti, dovesse essere sostituito con Stefano Bonaccini, governatore dell'Emilia Romagna dal gradito approccio riformista.
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Sul territorio le cose non vanno meglio. Il tesseramento langue. E l'esodo continua. L'ultima ad avere abbandonato Italia viva, il 4 settembre scorso, è stata Beatrice Casini, capogruppo in Consiglio comunale a Sarzana (La Spezia). «In questi giorni le carte sono cambiate anche a livello nazionale», spiega. «Abbiamo visto il Pd fare un'alleanza organica con i 5 stelle e io, da antipopulista, sono contro un'intesa di quel tipo con i grillini».
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Casini non è la sola, in zona, ad avere ripudiato la scelta. La già Stalingrado ligure, adesso guidata dalla totiana Cristina Ponzanelli, è diventata la Caporetto renziana. Due mesi fa ha lasciato Italia Viva pure l'ex sindaco e consigliere regionale Alessio Cavarra, in apertissima polemica con la deputata spezzina Raffaella Paita: «Il partito ha un deficit di organizzazione, una gestione locale in mano a una sola persona e una totale carenza di confronto interno», assalta. «Tutto ciò ha portato ad allontanarsi me e tanti altri che avevano aderito con grande entusiasmo. La giusta idea di un partito snello e senza correnti si è trasformata in una gestione territoriale individuale, che ha inibito la partecipazione attiva e sottratto le scelte al confronto con i militanti».
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Ancor più esplicito è Ignazio Abbate, sindaco di Modica, in provincia di Ragusa. Un altro appassionato degli esordi, costretto ad abbandonare un movimento «che ha dimostrato di essere più interessato a nominare i coordinatori provinciali che ad ascoltare i cittadini». E, anche in questo caso, sotto accusa finiscono i vertici regionali. iniziative deserteGià irrisorio, il numero dei sindaci e amministratori locali aderenti continua dunque ad assottigliarsi.
L'EGO DI MATTEO RENZI BY GIANNELLI
Con ammirevole pervicacia, Renzi due settimane fa ha celebrato a Castrocaro la seconda edizione della scuola politica di Italia viva. Alla tavola rotonda dei primi cittadini si sono ritrovati quattro intrepidi: Isabella Conti da San Lazzaro di Savena (Bologna), Ciro Buonajuto da Ercolano (Napoli), Nicola Cesari da Sorbolo (Parma) e Gerardo Stefanelli da Minturno (Latina). Insomma, il «centinaio» di sindaci vagheggiato inizialmente s' è ridotto a un manipolo di fedelissimi. In compenso, al governo la pattuglia renziana può contare su due ministri (Teresa Bellanova ed Elena Bonetti) e un sottosegretario (Ivan Scalfarotto).E il «migliaio di amministratori locali»? Mai pervenuti. In compenso, l'esodo continua. A Viareggio è andata via l'ex vicesindaco Rossella Martina, fondatrice del primo comitato civico cittadino: «Pensavo che il partito di Renzi potesse essere una voce nuova liberale e partecipata. Invece stravecchie camarille della brutta politica la fanno ancora da padrone. Esco da Italia Viva e con me tante altre persone che mi hanno comunicato la loro scelta».
MARIA ELENA BOSCHI renzi bonaccini
Ad Arezzo s' è sfilato Marco Donati, già deputato del Pd e candidato sindaco con una lista civica: «Ho sperato nascesse una grande forza liberaldemocratica e riformista, per dare risposte su scuola e sanità. E ora questo paese rischia di schiacciarsi su un assistenzialismo non sostenibile». E a Napoli s' è eclissato Luciano Crolla, uno dei fondatori di Iv in città, dopo l'approdo di Carmine Sgambati. Ovvero il consigliere comunale distintosi nel 2016 per pittoreschi insulti a Renzi e consorte. Crolla ha quindi annunciato il sofferto addio: «Amici miei, adesso andate e fate. Nulla di personale, ma ci vuole rispetto per i tanti che ci credono».
renzi bonaccini
A crederci non sembra più nemmeno la nutritissima pattuglia di finanziatori che, agli esordi, aveva generosamente contribuito alla causa renziana. casse vuoteLe «erogazioni liberali» al movimento, a ottobre 2019, avevano raggiunto 329.000 euro: quasi tutti versati da aziende e munifici supporter. Nell'ultimo rendiconto pubblicato, quello dello scorso luglio, i versamenti sono crollati a 82.000 euro: un quarto dei tempi d'oro. Con un'aggravante: quasi 25.000 vengono dall'obolo mensile di 500 euro imposto ai parlamentari. Il resto, circa 67.000 euro, arriva da piccoli contributi e grandi donazioni. Come quella del manager Lupo Rattazzi, figlio di Susanna Agnelli e nipote dell'Avvocato: 10.000 euro. Un bel gesto che si ripete mensilmente, per complessivi 185.000 euro.
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L'altro storico supporter renziano è il finanziere Davide Serra, patron del fondo inglese Algebris: pure lui, lo scorso luglio ha contribuito con 10.000 euro. Per un totale di quasi 120.000 euro. Pochi soldi, pochi voti e pochi tesserati. Alla fine di ottobre 2019, Renzi esultava: «Abbiamo già 10.000 iscritti. E ricordo che, per ogni iscritto, Italia viva pianta un albero». Il 2 febbraio 2020, alla prima assemblea nazionale, fissava «due obiettivi entro il prossimo 31 marzo: aprire 100 sedi di Italia Viva e avere mezzo milione di registrazioni». Tuttavia, pochi giorni dopo, il 13 febbraio, nella periodica Enews ribadiva la promessa di piantare «10.000 alberi in tutta Italia». Ma da quel momento non si è più avuta notizia di nuove piantumazioni. «Due strade trovai nel bosco e io scelsi quella meno battuta», poetizzava un anno fa l'ex boy scout di Rignano sull'Arno. Prima di perdere definitivamente persino la via di casa.
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