Marco Imarisio per il “Corriere della Sera”
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L' asfalto finisce davanti a un cartello giallo. «Ponte pericolante, strada chiusa». Via Portoni prosegue per una decina di chilometri su uno sterrato bianco. Intorno c' è terra piatta e poche case distanti centinaia di metri l' una dall' altra. Tutte abbandonate, in rovina.
La prima fuga Igor il russo, sempre più sedicente tale, ha vissuto in latitanza in un edificio con il tetto sfondato, circondato da qualche transenna e da un paio di cartelli che segnalano il rischio di crolli. Il suo rifugio era al pianterreno, una stanza di due metri per lato, l'unica con il camino. Ci rimase per quasi due mesi. Fino a quando, era il 12 dicembre 2010, i carabinieri lo trovarono nel primo pomeriggio, addormentato per terra, ubriaco e quasi incosciente. Accanto a sé teneva l'arco usato per le prime rapine. Il casolare è in fondo alla strada che unisce Portomaggiore alla frazione di Portoverrara.
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A 300 metri in linea d'aria, dall'altra parte dei campi e dei canali, c'è l'ingresso dell' oasi davanti al quale sabato scorso «Igor», le virgolette sono d' obbligo, ha ucciso Valerio Verri.
LE IDENTITÀ
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È sempre tornato qui. Dopo ogni rapina, dopo il carcere, dopo l' omicidio di Budrio. La terra d' acqua intorno a Portomaggiore è la sua tana. L'Armata rossa e l' arruolamento nei corpi speciali russi sul fronte ceceno sono invece le bugie di un uomo che scappa da sempre. Ivan il russo non è solo Ezechiele Norberto Feher, cittadino serbo di Subotica, ex soldato, muscoloso e distinto, con profilo Facebook pieno di sue foto eleganti. Ci sono almeno altri tre alias usati in questi anni. Ma la provenienza dall' ex Jugoslavia sembra vera, così come la ragione del suo arrivo in Italia, che non sarebbe la diserzione, come ripeteva spesso, ma una molto meno nobile accusa di stupro.
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La prima traccia del suo soggiorno italiano è merito di due contadini settantenni del Polesine, che l'undici giugno 2007 lo mettono in fuga a colpi di bastone dopo averlo sorpreso nella loro proprietà. I carabinieri lo arrestano mentre vaga con il capo sanguinante. Sette punti di sutura, una condanna per cinque colpi con arco, frecce e maschera sul volto, due anni di carcere a Ferrara. Esce il 13 settembre del 2010. Quel giorno il questore di Rovigo firma il suo decreto di espulsione. Non verrà mai eseguito.
RAPINATORE SOLITARIO
La libertà dura appena tre mesi. Alla fine, dopo l'arresto nel casolare di Portomaggiore, gli verranno contestate solo quattro rapine. Ma i titoli dell'epoca dei giornali locali sono pieni delle gesta del «pazzo».
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Un individuo che semina il terrore assaltando locali e passanti con un'ascia in mano, coperto dalla testa ai piedi da un pastrano verde militare e un casco da motociclista. Nel maggio del 2011 lo condannano a cinque anni e 8 mesi di reclusione. Don Antonio Bentivoglio non sapeva neppure della foto in compagnia di «Igor» finita sul profilo di Ezechiele Feher.
Comunque si chiamasse, per lui, dal 2002 cappellano del carcere di Ferrara, è stato un detenuto modello. Puliva in chiesa, faceva catechismo, cantava nel coro due volte alla settimana, cucinava per gli altri. «Ovviamente sapevo del suo passato, ma sembrava sulla buona strada. Non mi sembrava sincero fino in fondo. Ma ammetto di non aver mai pensato a lui come a un potenziale omicida. Nutrivo speranze sul suo conto». Fine pena 11 marzo 2016. La buona condotta gli vale lo sconto di quasi un anno.
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LIBERO AL CIE
La pericolosità di «Igor» ormai è agli atti. Quando il 4 novembre 2011 firma l'ordine di esecuzione della condanna, il procuratore capo di Ferrara allega anche una «misura di sicurezza». È questa la motivazione del nuovo decreto di espulsione. Viene portato al Cie di Bari, dove dovrebbe essere «compiutamente» identificato. Ci resta quindici giorni.
La Russia non lo riconosce come suo cittadino, l'Uzbekistan neppure. Succede la stessa cosa avvenuta al Cie di Caltanissetta per Anis Amri, il terrorista che prima di Natale ha fatto strage a Berlino. Non c'è il passaporto. Non c'è un nome certo. Per l'espatrio serve un documento sostitutivo di identità. Figlio di nessuno.
IL RITORNO
Gli spaventi restano impressi nella memoria. «Maggio del 2015, ne sono quasi certo. Comunque primavera inoltrata». Mauro Mazzanti, ex presidente della locale Federcaccia, ex assessore del comune di Portomaggiore, si ferma con la camionetta davanti al capanno della sua riserva di caccia. Quando scende, si trova un arco di precisione puntato al petto. «Era lui». Si guardano. Mazzanti alza le mani. «Igor» abbassa l' arco. Chiede scusa.
OMICIDIO DI BUDRIO - IGOR VACLAVIC
La bicicletta sulla quale è arrivato ha una ruota sgonfia. «Gli ho prestato la pompa». Nel capanno ci sono bottiglie vuote di vino e superalcoolici. «Ha farfugliato qualcosa, non parlava bene l' italiano. Se n' è andato». Il capanno di Mazzanti è nella zona della Martinella. A metà strada tra il luogo dell' ultimo omicidio e il casolare di via Portoni.
La banda «Igor» si riprende presto. In carcere ha conosciuto Ivan Pajdek, cittadino slovacco, 52 anni, rapinatore da sempre.
Diventano amici. Insieme a un altro complice, Patrick Ruszo, compiono tre assalti a ville isolate. Tutto in dieci giorni, dal 26 luglio al 5 agosto 2015. Torture, violenze, ai danni di anziani. Emma Santi, 93 anni, viene legata e imbavagliata al letto. La salverà il figlio, dopo due giorni.
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Il 5 settembre Pier Luigi Tartari, un pensionato di Aguscello, viene ammazzato di botte nel suo casolare. I due complici sono stati condannati all' ergastolo. «Tutto è cominciato quando "Igor" è uscito». Pajdek ha scritto in italiano sgrammaticato un memoriale contro il suo ex compagno di cella. «Lui conosceva i posti buoni e tranquilli. Lui voleva fare qualcosa di più grosso come rapine».