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    "COME SI DIVENTA UN'ICONA POP? È SEMPLICE, BISOGNA DECIDERE MOLTO PRESTO DI NON VOLER MAI FARE UN VERO LAVORO NELLA VITA" - JOHN WATERS, IL "PAPA DEL TRASH" E LEGGENDA DEL CINEMA INDIPENDENTE AMERICANO: "UN TEMPO ERA L'AMERICA VECCHIA E STUPIDA A VOLERMI CENSURARE, ADESSO SONO I GIOVANI E RICCHI LIBERAL. È BUFFO, PERCHÉ IN TEORIA SAREI D'ACCORDO CON MOLTE LORO BATTAGLIE" - "ADORO PASOLINI. ERA CATTOLICO, COMUNISTA E OMOSESSUALE: TUTTE COSE CHE MANDANO FUORI DI TESTA LA GENTE..."


     
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    Elisa Manisco per “il Venerdì di Repubblica”

     

    john waters john waters

    Il primo John Waters non si scorda mai. Per me fu Polyester, intercettato negli anni 90 su una provvidenziale tv privata. Datata 1981, la pellicola raccontava le vicissitudini di una casalinga sovrappeso interpretata dal travestito Divine, "musa" del regista americano scomparsa nel 1988 a soli 42 anni. Francine, questo il nome della protagonista, vedeva il suo mondo andare in pezzi dopo il tradimento del marito, di mestiere proprietario di cinema porno.

     

    divine e john waters divine e john waters

    Come se non bastasse, aveva una madre cocainomane, una figlia lasciva e un figlio punk "acciaccatore" seriale di piedi. Più che un film, era la porta d'accesso a un mondo di humour spericolato, freakitudine impenitente e sgangheratezza camp. Scioccante e irresistibile come tutte le opere del "Papa del trash" (definizione di William Burroughs), da Pink Flamingos del 1972, passato alla storia per una scena di autentica coprofagia, fino a Hairspray - Grasso e bello (1988), diventato un musical di Broadway da otto Tony Award e un remake di grande successo con John Travolta.

     

    il regista john waters il regista john waters

    Proprio questa imprevedibile traiettoria verso la rispettabilità - dalle stalle underground alle stelle di Hollywood, per così dire - è al centro del libro Il Signor So-tutto-io. Consigli impuri di un vecchio sporcaccione ora pubblicato in Italia da Playground. Un memoir dove Waters fa ciò che gli riesce meglio: affrontare argomenti scomodi con ironia dissacrante.

     

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    Dalla cancel culture alle droghe, dall'industria cinematografica ai sex club, spiega come sia riuscito ad «avere successo prendendo la strada sbagliata» e rimanendo sempre se stesso, baffetti compresi. Quella sottile linea di matita che sfoggia da 50 anni e che lo ha reso un'icona pop, immortalata anche in un episodio dei Simpson dove lui, gay, insegnava a Homer ad avere una mentalità più aperta.

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    Come diavolo ci è riuscito?

    «Semplice: bisogna decidere molto presto di non voler mai fare un vero lavoro nella vita» ride al telefono da Baltimora, la decadente città del Maryland dove è nato e che fa da sfondo a tanti suoi film.

     

    Mr. Waters, a 76 anni è un venerato maestro del cinema con retrospettive in tutto il mondo, addirittura insignito in Francia della Legion d'onore. Che effetto le fa?

    «Sono sconvolto e non me lo spiego. Da giovane non pensavo che avrei avuto successo. Ma non mi sono mai rassegnato ai No e alla fine ho trovato gente abbastanza pazza da darmi dei soldi per fare film».

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    Il più scioccante, Pink Flamingos, celebra quest' anno il cinquantennale e la Biblioteca del Congresso americana lo ha selezionato per inserirlo nel National Film Registry. È così paradossale da sembrare la trama di un suo film.

    «Lo trovo esilarante. Soprattutto perché Pink Flamingos è più offensivo oggi di prima. Negli anni 70 non esisteva la il politically correct».

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    Molti suoi film forse oggi non vedrebbero la luce: troppo cattivi.

    «Un tempo era l'America vecchia e stupida a volermi censurare, adesso sono i giovani e ricchi liberal. È buffo, perché in teoria sarei d'accordo con molte loro battaglie. Ma si prendono troppo sul serio. E poi hanno tutte queste regole, sono più rigidi dei miei genitori negli anni 50! Oltre a essere poco divertente, lo trovo inefficace da un punto di vista politico. Sono convinto che la miglior arma per portare un avversario dalla tua parte sia l'umorismo. Se li fai ridere, sei già a buon punto».

     

    Come ha fatto lei con Hairspray, commedia a tinte pastello che promuoveva l'integrazione razziale e le unioni omosessuali.

    «Hairspray è stato il mio cavallo di Troia nella pancia dell'America media e benpensante. Chi lo guardava non si rendeva conto di quanto fosse sovversivo perché era troppo impegnato a divertirsi. Risultato: provavano empatia per storie e persone che nella vita reale avrebbero trovato disgustose. Ed è anche il film che mi ha fatto fare più soldi in assoluto. Un aspetto da non sottovalutare in questo business».

     

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    Il musical ora viene rappresentato in molte scuole d'America.

    «Anche se a volte lo stravolgono per aderire ai dettami del politically correct. In un liceo la protagonista, invece di essere una teenager bianca e sovrappeso, era una ragazza nera magrissima».

     

    Non le dà fastidio?

    «Lì per lì mi ha stupito, ma poi ho capito che va bene così. È come se si realizzasse il sogno all'origine di Hairspray: andare oltre ogni barriera di razza e di genere».

     

    Strano che non le abbiano proposto dei sequel.

    «In realtà mi hanno pagato per farne ben tre, ma poi non se ne è fatto nulla. Hollywood è così, l'ho imparato presto e non me ne faccio un cruccio. Se non giro film, mi dedico ad altro: i monologhi comici che porto in tour in tutto il mondo, la scrittura, l'arte. Sono anni che espongo le mie opere in gallerie e musei. E adesso in America è appena uscito il mio primo romanzo, si intitola Liarmouth. La protagonista è una ladra di valigie. La sua famiglia la odia e cani e bambini scappano via non appena la vedono: insomma, il genere di persona che piace a me».

     

    John Waters John Waters

    Diventerà un film? Una serie?

    «Al momento ho in cantiere un nuovo progetto, ma non voglio rivelare nulla per scaramanzia».

     

    A proposito di serie, di recente l'abbiamo vista in I diari di Andy Warhol su Netflix. Eravate amici?

    «Ho conosciuto Andy negli anni 70 e penso che nessun artista, a parte Duchamp, abbia avuto la sua stessa influenza. Non ne posso più di tutte quelle storie su quanto fosse insensibile, freddo e sfruttatore del talento altrui. Era un genio ed era complesso. I film realizzati con le cosiddette Superstar della Factory mi hanno ispirato moltissimo come regista. Ho cercato di replicare quel modello con i miei attori, che innanzitutto erano miei amici. A cominciare da Divine, la mia "Superstar"».

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    Un altro suo mito è Pasolini.

    «Adoro Pasolini. Era cattolico, comunista e omosessuale: tutte cose che mandano fuori di testa la gente. L'anno scorso ho pubblicato un disco con l'etichetta Sub Pop, Prayer to Pasolini, in cui gli rivolgo delle preghiere, l'ho registrato all'Idroscalo di Ostia, dove si trova il suo monumento funebre. Ho anche realizzato un'opera intitolata 21 Pasolini Pimples (in inglese "brufoli", ndr) perché secondo me aveva un debole per i brufoli. Se ci fai caso molti suoi attori e amanti li avevano».

     

    Film preferito di Pasolini?

    «Sono indeciso tra Teorema e Salò. Anche se la pellicola che mi ha formato di più in assoluto è Il mago di Oz. Quando da bambino ho visto la Malvagia Strega dell'Ovest ho capito a chi volevo somigliare».

     

    Cosa ne pensavano i suoi genitori?

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    «Erano inorriditi, naturalmente. Ma mi volevano bene e mi hanno sempre sostenuto. E poi, senza le loro lezioni di buon gusto, non avrei saputo a che cosa ribellarmi e non sarei diventato il re del cattivo gusto».

     

    Omaggiato da un esercito di fedelissimi fan. Nel libro racconta di aver autografato «culi, uccelli, stomaci, schiene, persino lingue».

    «Che Dio li benedica, adoro i miei fan. Hanno tutti una cosa in comune: sanno ridere di loro stessi. E mi sorprendono con aneddoti assurdi. Una ragazza mi ha raccontato che suo padre una sera non è finito a letto con me per un pelo. A volte mi chiedono anche di sposarli: ho celebrato 17 matrimoni». Però uno si è rifiutato di officiarlo: sul set di Cry Baby (1990) Johnny Depp le chiese di sposare lui e Winona Ryder e lei disse di no. «E penso sia stato meglio così: Winona era troppo giovane. Mi dispiace per il processo che Johnny sta affrontando. Posso solo dire questo, e credo che le sue ex Winona, Vanessa e Kate (Paradis e Moss, ndr) sarebbero d'accordo con me: non ho mai visto Johnny Depp mancare di rispetto a una donna».

     

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    Cinema, arte, libri, tv, lezioni all'università. C'è qualcos' altro che vorrebbe provare e che le manca?

    «La musica, ma purtroppo non sono portato. La mia massima aspirazione sarebbe cantare con Alvin e i Chipmunks. Oppure diventare un rapper e coronare un altro dei miei sogni: incontrare Eminem. Lo ammiro moltissimo, soprattutto perché lui non vuole incontrare me».

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