Jacopo Gerna per www.gazzetta.it
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Tra il primo e il seicentesimo gol con un club c’è tutta la straordinaria evoluzione del Cristiano Ronaldo calciatore. Quel 7 ottobre 2002, CR7 in maglia Sporting spaccò la difesa della Moreirense con una percussione centrale incontenibile. Sabato scorso ha punito Samir Handanovic con un sinistro secco e preciso, un tocco e via, senza fronzoli. Quasi 17 anni fa, il suo partner d’attacco era il bielorusso Vitali Kutuzov, arrivato a Lisbona dal Milan e che poi avrebbe girato mezza serie A dal 2004 con la Samp al 2011 con il Bari.
Che cosa ricorda di quella sera?
«Fu proprio una bella giornata: io segnai il primo gol alla mezz’ora con un diagonale di destro, poi doppietta di Cristiano e 3-0 finale. Ma più dei gol ricordo le sue emozioni: era pazzo di felicità e nell’esprimerla si vedevano tutti i suoi 17 anni».
Avrebbe mai pensato che quel ragazzino avrebbe scritto la storia del calcio?
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«Ma no, come avrei potuto? Era troppo giovane. Sicuramente percepivi subito che aveva una velocità e una tecnica speciali, ma già quando andò da Ferguson allo United e lo vedevo giocare dicevo “mamma mia, quanto è diventato forte”. E da allora è migliorato ancora tanto».
Quando dividevate la camera, in che lingua parlavate?
«Portoghese, io mi ero messo subito sotto. Cristiano sapeva che arrivavo dal Milan e mi faceva mille domande: a quei tempi vestire la maglia rossonera era il top assoluto. Mi chiedeva di Maldini, Costacurta, Inzaghi e Sheva. E del centro sportivo di Milanello, all’epoca all’avanguardia nel mondo come qualità del lavoro sui calciatori. Voleva sapere come si allenavano i campioni di quella squadra e come progredivano fisicamente. Io non ero così, pensavo più al pallone che al fisico».
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Come si poneva verso gli altri compagni?
«Da persona molto tranquilla e motivata a fare bene il proprio lavoro. Dal punto di vista umano non era facilissimo per lui, perché eravamo una squadra composta da giocatori “vecchi” e non aveva molti argomenti per parlare con noi vista la differenza di età. Infatti appena poteva stava con la sua famiglia, che è sempre stata molto presente nella sua vita anche e soprattutto dopo la morte del padre».
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Non le ha mai chiesto delle bellezze bielorusse?
«Ma va, zero. A quei tempi parlavamo solo di calcio, le donne erano fuori dai nostri discorsi».
Nel lavoro quotidiano era già così maniacale?
«Si allenava tanto e bene, ma non da fissato o più di noi compagni. Di sicuro aveva una cura del corpo molto al di sopra della media, non ho più visto nessuno così preso da questo aspetto. In spogliatoio si toglieva la maglietta e stava lì davanti allo specchio per molto tempo. Analizzava ogni centimetro del suo corpo: spalle, addome, gambe... E passava molto tempo in palestra, chiedendo a tutti come irrobustirsi. Ma non lo faceva per andare in copertina sulle riviste, voleva solo diventare un calciatore migliore».
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Il CR7 dello Sporting era un’ala veloce che puntava l’uomo, quello della Juventus è uno stoccatore micidiale.
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«A me personalmente piaceva di più la prima versione, ma cosa vuoi dire a una macchina da gol del genere. Puoi solo battergli le mani».
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Quanto avrà accusato l’eliminazione con l’Ajax?
«Per me non molto. Lui ha già vinto tante Champions e soprattutto sa che una partita storta può capitare. L’anno prossimo ci riproverà con ancora più cattiveria».
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