Estratto dell'articolo di Andrea Galli e Barbara Gerosa per www.corriere.it
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Uomo di calcolo e insieme d’istinto e passione da autentico giocatore d’azzardo quale Paolo Di Nunno è («Il numero uno nello chemin de fer, dove si puntano migliaia di soldi»), questo 74enne c’entra con Lecco assai più di quanto la città voglia ammettere dapprima a se stessa.
Tutto il mondo è provincia, e Di Nunno, non amato dai cosiddetti «salotti buoni», raduno di pettegoli senza però, beninteso, che le voci divengano mai ufficiali, nutre la comunità di pubblicità e pure, grazie all’indotto del pallone, di denaro mettendocene del suo. […] E lui, il patron del Lecco calcio, imprenditore in svariati rami specie nei videogiochi, allo stato attuale, nell’italica commedia umana che vive per il pallone, di Lecco è una sorta di re.
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Vogliamo forse ricordare cosa diavolo avvenne prima della sua acquisizione della società nel 2017? […] A causa dei soliti ammanchi economici, nel 2002 la società venne radiata dai campionati professionistici. Colpa del patron Franco Cimminelli e del successore Pietro Belardelli: uno che, nello scappare, si portò via i trofei manco li avesse vinti dribblando in campo. Più tardi, con la squadra sprofondata in Eccellenza, saltò fuori l’italo-americano Giuseppe Cala, il quale preferiva come nome Joseph e sventolò mirabolanti promesse per 42 giorni salvo al 43esimo rendersi conto delle panzane e sparire. Nuovo corso, nuovo nome? Come no.
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Toccò a Daniele Bizzozzero presto fuori causa per guai giudiziari, e intanto la società precipitò ancora, con addirittura il pignoramento delle panchine dello stadio. Conclusione: si dichiarò il fallimento della società, basta, chiudiamola qui[…] E allora Paolo Di Nunno e nessun altro: nel senso del termine, essendo egli stato il solo a presentarsi dagli ufficiali giudiziari per acquisire la società.
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Ma chi è davvero Di Nunno? Così ci ha parlato: «Da ragazzino davo una mano nelle campagne. In un incidente con l’aratro persi la gamba. L’Inail organizzava corsi per gli invalidi affinché imparassero un mestiere. Salii da solo a Milano, feci il corso, iniziai a mantenermi. Non era facile mettere insieme pasto e cena. O un letto: quante notti nel mezzanino del metrò... La sorte mi aveva tolto una gamba ma non la fortuna, e anche la testa. Di azienda in azienda mi misi sotto, lavorai duro, risparmiai per investire. Una prima società mia, una seconda.
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E il calcio: presidente del Canosa, del Seregno e adesso del Lecco, dove ho riversato ogni mio soldo. L’ho portato in B e se non mi fermano lo porto in A. Chi mi vuole fermare? I vecchi volponi del pallone. Sono scomodo, non piaccio. E me ne frego. Vogliono salvare il Perugia retrocesso, stanno vendendo la società e hanno bisogno di un palcoscenico... Noi attendiamo il responso del Tar, ma sul fatto che il Lecco giocherà in B non c’è dubbio. Ovvio, ho il calciomercato bloccato, ma sono sereno. Sono forte.
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Ferie? Non scherzate. In ogni modo, nonostante in Puglia abbia una famiglia infinita, le vacanze le faccio in Liguria. Anche qui ho una famiglia numerosa: del resto, tre matrimoni. Figli e nipoti sono in società, io programmo il futuro. Lo stadio? Proseguo coi lavori di ammodernamento. A spese mie: lo dicevo che sta uscendo tutto il denaro messo da parte. Amen: nell’azzardo, grazie alle mie famose qualità, nei casinò gioco a credito. Tanto sanno che vinco e ripiano».
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