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    “IL GRANDE TABÙ SULLE DONNE? È SUL NUMERO DEI PARTNER. SE UN UOMO VA CON DIECI DONNE SI VALUTA IN MANIERA DIVERSA RISPETTO A COME SI FAREBBE SE FOSSE LA DONNA A FARLO” – L’INTERVISTA BOMBASTICA ALL’ATTRICE ITALO-SVEDESE EURIDICE AXEN, CHE INTERPRETA MOANA POZZI A TEATRO: “DI MOANA AMMIRO LA LIBERTÀ. LEI FACEVA IL PORNO COME UNA GRETA GARBO” – “L’ITALIA NON È UN PAESE PER DONNE, SI CONFONDE LA GALANTERIA CON IL MACHISMO”


     
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    Daniele Priori per “Libero Quotidiano”

     

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    Euridice Axen, attrice italosvedese dal fascino e dalla simpatia contagiosi, è una delle protagoniste di questa fine d'anno che trova l'artista molto impegnata, in particolar modo in tv e al teatro. Figlia d'arte, nata a Roma il 20 settembre di 42 anni fa, porta per scelta il cognome della mamma che è l'attrice scandinava Eva Axén. Il padre è l'attore e doppiatore Adalberto Maria Merli. Euridice è una donna libera, schietta e diretta che non ama le mezze misure ma neppure il doversi schierare per forza tra due poli opposti.

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    Il suo mondo è molto più vario. La personalità estrosa e il carattere forte l'hanno resa celebre tra i personaggi di fiction divenute cult come Ris Roma, Vivere e Le tre rose di Eva, fino a The young Pope da cui è nato l'incontro col premio Oscar Paolo Sorrentino che poi l'ha voluta nel cast del film Loro, mentre Gabriele Muccino l'ha scritturata per la serie tratta dal film A casa tutti bene di cui, nei primi mesi del 2023, andrà in onda su Sky la seconda stagione.

     

    La Axen ha concluso il suo 2022 con la prima serata di ieri su RaiUno dove, assieme a Chiara Francini, Cristiano Caccamo e Cesare Bocci ha recitato nel film per la tv Una scomoda eredità, diretto da Fabrizio Costa, mentre si prepara a tornare in scena a teatro con Settimo Senso in scena dal 18 al 22 gennaio al Parioli di Roma dove, dopo il successo di pubblica e critica della prima milanese, indosserà nuovamente vesti e idee di un personaggio carismatico quanto enigmatico come Moana Pozzi.

     

    Vorrebbe convincerci così che a Natale in tv non c'è spazio solo per Una poltrona per due?

    «Esatto. C'è anche un'eredità per due! Che crea problemi non indifferenti. Un film interessante. Una commedia nella quale io e Chiara siamo queste due donne che si ritrovano, a causa di una liaison tra i rispettivi genitori ad affrontare una sorpresa dopo un evento tragico.

     

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    I nostri personaggi si chiamano Diana e Gaia. Anche i nomi rendono già l'idea. Diana, interpretata da me, è un medico con la mania del controllo. Gaia la figlia dei fiori ma anche la bambola assassina. Le due non vanno molto d'accordo anche se poi finisce bene come si capisce anche dal nome della collana di cui il film è parte».

     

    Tv e teatro sono mondi conciliabili oppure il tubo catodico è solo più ricco delle tre pareti del palcoscenico?

    «Credo che il problema principale non sia il cachet ma proprio la durata nel tempo che in Italia è troppo scarsa perché si dà per scontato che uno spettacolo muoia dopo il debutto.

    All'estero tengono le repliche anche per due, tre anni e molte persone amano tornare a vedere lo stesso spettacolo più volte. Una soluzione che favorirebbe anche una maggiore circolazione di pubblico tra le varie nazioni. A me è capitato di andare a vedere spettacoli all'estero».

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    È un consiglio che vorrebbe dare alla premier Meloni?

    «A chi è al Governo chiederei di puntare sulla cultura. Chi governa deve sempre ricordarsi di investire sulla cultura perché un Paese senza cultura diventa ignorante e pericoloso».

     

    L'Italia è un Paese per donne?

    «No. Perché comunque ci portiamo dietro una tradizione difficile. Non è un Paese moderno e assieme alla tradizione e alla storia manteniamo un'impronta maschilista che continua a confondere la galanteria con il machismo. È anche vero che di anno in anno le cose migliorano e andiamo nella direzione di una parità che però ancora non si percepisce...».

     

    Cosa pensa delle lettere lgbtqi per indicare le comunità gay e trans. E cosa del femminismo nominalista che declina tutto al femminile. Sono soluzioni o specchietti per le allodole?

    «Le lettere lgbtqi servono giustamente a definirsi perché altrimenti ci pensano gli altri a farlo, utilizzando tristemente solo una lettera: la F. Sul declinare al femminile sono d'accordo. Come lo sono sull'utilizzo dello schwa (linguaggio inclusivo ndr).

     

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    Le parole sono importanti, formano i pensieri. Molto più di quanto i pensieri formino le parole. Credo siano soluzioni proprio per evitare di essere valutati ed etichettati dagli altri. Te lo dico io chi sono, non tu. Quello che stanca semmai è l'eterno dualismo su tutto. Dovremmo capire che c'è molto di più».

     

    Nell'ultimo mese l'abbiamo vista nei panni di Luisa Spagnoli su RaiStoria e Moana Pozzi a teatro. Chi delle due la rappresenta di più?

    «Come scelta di vita nessuna delle due. Come forza entrambe. Aspiro ad avere la loro forza.

    Luisa Spagnoli ha costruito un impero con la Perugina, ha inventato i Baci e poi è passata a fare i maglioni d'angora. Una creatività e uno spirito imprenditoriale che io proprio non ho.

     

    Di Moana ammiro la libertà. Lei faceva il porno come una Greta Garbo. Affascinavano e creavano mistero la sua delicatezza, la sua grazia, il suo saper parlare. Era stabile ma non falsa. Era schietta, sincera, diretta. Abbiamo preso in prestito questa figura per denunciare la pornografia dei nostri giorni».

     

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    Ha dichiarato di recente che l'affermazione delle donne può passare anche attraverso la visione di un porno. Esiste qualche tabù che una donna non possa superare?

    «Sono contro i tabù in generale. Li reputo di un'ipocrisia totale. Che riguarda sia gli uomini sia le donne. Il grande tabù che ancora c'è sulle donne ad esempio è sul numero dei partner. Se un uomo va con dieci donne si valuta in maniera diversa rispetto a come si farebbe se fosse la donna a farlo.

     

    Una differenziazione che trovo da sempre ridicola, non foss'altro per il fatto che è una cosa semplicemente reciproca e dovrebbe quindi essere proprio paritaria invece ancora resiste il giudizio, magari in maniera meno pesante di una volta, che colpisce sempre le donne. Anche di questo ce ne libereremo col tempo».

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    Lei è italosvedese. In cosa l'Italia dovrebbe imitare la Svezia e viceversa?

    «Lì i padri portano i bambini all'asilo, cucinano. Qui è ancora un'eccezione. C'è un'apertura mentale che però non corrisponde nell'apertura nei rapporti, nell'accoglienza, Noi qui, invece, abbiamo una luce che lassù manca alla quale corrisponde la solarità nelle persone. In Svezia ti accolgono a braccia conserte, noi ci abbracciamo. Siamo il Paese del sorriso, un particolare che non va dato affatto per scontato».

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