Marco Bresolin per “la Stampa”
paradiso fiscale
Il ministro Giovanni Tria ha cercato fino all'ultimo di fare scudo agli Emirati Arabi Uniti, ma alla fine ha dovuto accontentarsi di un compromesso al ribasso. Al termine di una lunga mattinata di trattative l'Ecofin ha approvato la nuova versione della "blacklist" dei paradisi fiscali, l'elenco dei Paesi considerati tali secondo l'Unione europea. E tra i dieci Paesi che si vanno aggiungere ai cinque già in lista c'è pure Abu Dhabi. L'Italia è riuscita però a strappare la possibilità di modificare l'elenco non appena gli Emirati si saranno messi in regola.
Il ministro dell' Economia aveva assicurato che la riserva italiana era legata soltanto «a una questione di tempo»: gli Emirati - ha spiegato arrivando all' Ecofin - «hanno già presentato una nuova legislazione alla Commissione e bisogna solo aspettare che questa venga approvata». I ministri hanno anche valutato l' ipotesi di rinviare la decisione a maggio, ma la Francia ha insistito per accelerare e per chiudere subito il dossier.
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Durante la riunione, secondo quanto raccontano fonti Ue, Tria avrebbe giudicato come "troppo severa" la valutazione fatta sugli Emirati Arabi, ma alla fine ha proposto un compromesso: l' Italia si è detta pronta a ritirare la propria riserva, ma ha chiesto di stabilire che la lista potrà essere rivista ogni volta che ci sarà un cambiamento significativo da parte di un Paese (nel caso specifico gli Emirati), senza attendere la successiva revisione globale Ue. Così è stato.
Nell' ultimo anno l' Ue ha controllato 92 Paesi e ora passerà in esame anche Russia, Messico e Argentina. Tre i criteri presi in considerazione: trasparenza fiscale; buon governo e attività economica reale; esistenza di aliquote zero per le imprese. Le discussioni tra i ministri non sono state facili perché si è trattato di prendere decisioni "tecniche" con forti implicazioni politiche.
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«Questa lista è un vero successo - esulta Pierre Moscovici, commissario agli Affari Economici Ue - perché ha avuto un effetto clamoroso sulla trasparenza fiscale e sull' equità in tutto il mondo». Bruxelles segnala di aver costretto 60 Paesi a intervenire per rimuovere più di cento regimi "dannosi". Ma ovviamente non tutti si sono fatti intimidire dall' iniziativa europea.
Le conseguenze L' Ue accusa Guam, Samoa americane, Trinidad e Tobago, Samoa e le Isole vergini americane di non aver preso alcun tipo di impegno in merito ai propri sistemi fiscali, per questo restano nella lista nera. Le società che fanno affari con loro dovranno effettuare rigidi controlli e ci sarà uno stop dei fondi Ue ai progetti che li coinvolgono.
I cinque vengono raggiunti da altri dieci Stati che precedentemente si trovavano nella lista grigia (quella delle giurisdizioni che hanno promesso di cambiare i loro sistemi fiscali), colpevoli di non aver rispettato gli annunci fatti: Aruba, Barbados, Belize, Bermuda, Dominica, Figi, Isole Marshall, Oman, Emirati Arabi Uniti e Vanatu.
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Nella lista grigia restano 34 Stati - tra cui Svizzera, Turchia, Australia e Albania -, quelli che hanno promesso di modificare la propria giurisdizione fiscale entro la fine del 2019: in assenza di progressi, finiranno anche loro nella blacklist. Altri 25 sono stati invece depennati «per aver rispettato gli impegni». Tra questi - accusa Oxfam - ci sono anche «cinque dei peggiori paradisi fiscali»: Panama, Hong Kong, Isola di Man, Guernsey e Jersey.
La fine della web tax L' Ecofin di ieri ha seppellito definitivamente il progetto di una web tax europea. Il voto contrario di Svezia, Irlanda, Danimarca e Finlandia non ha permesso di continuare i negoziati in sede Ue. La palla passa all' Ocse e nel frattempo i governi europei andranno avanti in ordine sparso.