1. QUELLA SCRITTA RIEMERSA CHE CI RESTITUISCE UN PO’ DI FIDUCIA
Marco Imarisio per “Il Corriere della Sera”
Costa Concordia
La nave svanirà al risveglio, lasciando dietro di sé una scia di umori maligni come capita sempre dopo un brutto sogno. Domani mattina non ci sarà più, tutto finito. Ma proprio adesso che è emersa, con la scritta rimasta sott’acqua per trentuno mesi, enorme, lettere alte quasi tre metri, con il ponte 4 dove vennero trovate quasi tutte le vittime, sembra davvero un fantasma, che incombe su una tranquilla domenica d’estate al Giglio. La metafora di un Paese spiaggiato come la Costa Concordia è venuta a noia da molto tempo.
SCHETTINO TORNA SULLA COSTA CONCORDIA FOTO LAPRESSE
Era ingiusta anche all’inizio, in quei giorni del gennaio 2012, dove lo spread era l’unica cosa che volava alta mentre l’umore degli italiani era basso come non mai. Ci venne inflitta dai media stranieri, quell’immagine era un bastone pronto all’uso, e talvolta finimmo anche per crederci, la depressione è sempre contagiosa. Ci è voluto molto tempo per cambiare le cose, per raddrizzarla e infine farla galleggiare. L’ultima umiliazione della nave è la gigantesca ciambella di salvataggio che le è stata costruita intorno, tutta l’operazione si può in fondo riassumere nello stesso principio applicato ai bambini che non sanno nuotare. Ma quanta fatica, quanto studio per arrivarci.
Gianni Lettich
L’immagine che oggi sarà sui quotidiani di tutto il mondo ha due possibili significati. Quel Costa Concordia a caratteri cubitali, con le lettere incrostate dal tempo e dall’acqua ci ricorda come su quella nave siano morte 32 persone. Perché tra depressione e alzate d’orgoglio questa storia è stata soprattutto una tragedia. E dietro all’enfasi che oggi sottolinea che si tratta della «più grande nave mai naufragata» c’è sempre il dolore di decine di madri, padri, figli. E poi ci siamo noi. Questa gigantesca operazione di recupero l’hanno pensata aziende e ingegneri italiani. Niente metafore, non è il caso, neppure oggi.
La scritta emersa ieri ci ricorda anche che talvolta sappiamo essere all’altezza della situazione. Sarà solo una toppa su un disastro causato dalla stupidità umana, e incrociamo le dita, c’è ancora da arrivare a Genova. Ma fino a qui si tratta di un lavoro fatto bene.
2. L’ULTIMO MIGLIO DELLA CONCORDIA A GENOVA: AI COMANDI IL PILOTA DEL PRIMO VIAGGIO
M.Ima per “Il Corriere della Sera”
transatlantico Rex
L’uomo dell’ultimo viaggio celebrò anche il primo. «La portammo in mare aperto dalle acque ristrette del cantiere di Sestri. Ricordo solo che ero preoccupato, ci voleva molta attenzione con una bestia del genere. Nient’altro». Era la mattina del 7 luglio 2005. La Concordia, il gioiello costruito da Fincantieri, l’ammiraglia della flotta di Costa Crociere, conosceva il suo battesimo dopo la sfarzosa cerimonia di cinque giorni prima, con lancio della bottiglia affidato alla modella Eva Herzigova. A bordo salirono l’allora capopilota Bozzo e il suo vice, Gianni Lettich. Nove anni dopo, toccherà a quest’ultimo riportare indietro la nave diventata celebre in tutto il mondo, per le ragioni sbagliate.
la concordia verra portata al porto di genova
Sono ormai tre giorni che sulla diga foranea di fronte al Voltri terminal Europa (Vte) del porto di Genova quattro rimorchiatori aumentano al massimo i giri del loro motore provando la tenuta dei cavi d’acciaio delle nuove bitte, ognuna delle quali può reggere, anche a strappo, passando dalla tensione minima alla massima in pochi secondi, un carico di cento tonnellate. Ne sono state preparate tredici, oggi invece sono stati messi in posizione i distanziatori metallici, necessari a scongiurare urti della nave, tecnicamente declassata a «relitto inerte» secondo la definizione della Capitaneria, contro la diga.
Quando verrà il momento, sabato prossimo se tutto procede secondo i piani, Lettich verrà fatto salire a bordo della Concordia quando quest’ultima sarà a tre miglia dall’entrata di Voltri. Da quel momento sarà lui a impostare la manovra di ingresso nel porto, affiancando Nick Sloane nella sala di controllo, diventando responsabile del miglio finale di questa storia infinita.
PORTO DI GENOVA
«Ci penso, certo che ci penso. Ogni giorno che Dio manda in terra». Lettich ha 61 anni, è capopilota dal 2007, dopo aver navigato i mari di tutto il mondo. È un uomo alto e sottile, nato a Genova ma di origine istriane, i genitori e il cognome provengono dall’isola Lussino. La sua riservatezza è proverbiale, come l’amore per la montagna, quasi una reazione al mestiere che si è scelto. La notte del 7 maggio 2013 lo chiamarono a casa. «È crollata la torre». Il mercantile Jolly Nero si era schiantato contro la palazzina dei piloti. Al momento dell’incidente era in corso il cambio turni. Morirono in nove. Lettich avvisò le famiglie. Era lui il capo. Toccava a lui. «Abbiamo ricominciato a lavorare subito, in condizioni difficili. Avevamo perso tutto, la nostra casa, i documenti che c’erano dentro, i mezzi andati distrutti nella tragedia. Non ci siamo seduti, lo dovevamo alle nostre vittime».
COSTA CONCORDIA
L’ultimo anno è stato difficile. I piloti di Genova sono ancora in attesa di una sede, hanno trascorso mesi interi a fare lavoro d’ufficio sul rimorchiatore Hollande, le attività sparse tra darsena e officina, governando un traffico portuale che finora ha contato oltre 14.000 manovre. Adesso arriva quella più importante, che avrà un carico mediatico senza precedenti. «La trattiamo come una questione professionale, altrimenti arrivano le complicazioni. La studiamo da due settimane: non sarà una passeggiata».
A dirla con termini da profani, la manovra consiste nel costeggiamento della diga foranea, l’entrata di prua nello specchio d’acqua di Voltri, la «marcia indietro» e infine l’attracco al terminale Vte, forse il momento più delicato, di fronte al sesto modulo del terminal, davanti alle case del quartiere Prà. «Nessuna emozione. So cosa significa per noi piloti genovesi. Siamo professionisti, e come tali ci comporteremo».
COSTA CONCORDIA
Il pudore di Lettich è quasi una prova di genovesità. Ma è vero che l’ultima tappa della Costa Concordia significa molto per una città che ha avvertito i morsi della crisi come poche altre in Italia. C’è qualcosa di simbolico in quest’ultimo mesto ritorno a casa. Dopo la rimozione degli arredi e del materiale non ferroso al Vte, in autunno la nave sarà portata a Sampierdarena, alla banchina dell’ex superbacino, l’enorme struttura di cemento armato mai completata, venduta ai turchi quasi per disperazione e impotenza. L’ultima tappa sarà ai bacini di carenaggio.
La Concordia sarà demolita qui, dove invece fu costruito il Rex, il transatlantico da leggenda al quale si ispirava, affondato nel 1944 a Capodistria dagli aerei alleati. Ma il ritorno della figliol prodiga non è solo poesia. «Lavoro importante, lavoro vero, per il nostro futuro» dice Lettich.
COSTA CONCORDIA
C’è soprattutto la prosa di una commessa da quasi cento milioni di euro che in due anni porterà lavoro a mille persone in un periodo di cantieri bloccati, un’occasione più unica che rara per rientrare nel settore delle demolizioni, monopolizzate da porti stranieri che possono vantare costi più bassi e soprattutto un notevole dumping ambientale, controlli pari a zero, acque inquinate, incidenti tremendi per la manovalanza. Nel primo semestre del 2014 sono stati assegnati a Pakistan e Bangladesh ben 280 appalti per la demolizione di navi provenienti dall’Europa. Ogni fine significa anche un nuovo inizio.