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    LA CASERMA NON È SERENA – LA BOMBA SANITARIA NELL’EX CASERMA DI TREVISO È ESPLOSA PERCHÉ NON HANNO SEPARATO I SANI DAI MALATI POSITIVI AL TAMPONE. IL RISULTATO? DEI 300 PROFUGHI, 246 HANNO CONTRATTO IL VIRUS INSIEME A 11 OPERATORI SANITARI  - SI ERA DECISO DI CREARE UNA PALAZZINA DOVE ISOLARE GLI INFETTI MA IN REALTÀ NON È MAI STATO FATTO E I PROFUGHI HANNO CONTINUATO A CONDIVIDERE CAMERE E SPAZI COMUNI – IL SINDACO SI INCAZZA E…


     
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    Andrea Priante per il ''Corriere della Sera''

     

    migranti all'ex caserma serena di treviso2 migranti all'ex caserma serena di treviso2

    In principio fu il «paziente 0»: un operatore pakistano addetto alla raccolta dei rifiuti, che a giugno rientrò da un viaggio in patria e finì nel reparto Malattie infettive dell' ospedale. Prima del ricovero ebbe il tempo di contagiare un migrante ospite della struttura in cui lavorava, la «Serena» di Treviso. È un' ex caserma trasformata in centro di accoglienza per richiedenti asilo.

     

    Oggi lì vivono trecento profughi. E di questi - a meno di due mesi da quel primo caso - 246 hanno contratto il Covid-19 assieme a undici operatori. Tutti asintomatici. Attualmente è il più grande focolaio di coronavirus in Italia.

     

    migranti all'ex caserma serena di treviso migranti all'ex caserma serena di treviso

    Che la situazione rischiasse di degenerare lo si era capito già il 30 luglio, quando un primo giro di tamponi aveva consentito di scoprire 137 migranti infetti. Ma in una decina di giorni il bilancio si è drasticamente aggravato e ora il sindaco di Treviso, Mario Conte, vuole sapere di chi è la responsabilità di quella «bomba sanitaria», il segretario della Lega Matteo Salvini punta il dito sul governo «che spalanca i porti e mette in pericolo l' Italia» e, dal fronte opposto, il candidato del centrosinistra alle regionali Arturo Lorenzoni evidenzia «carenze nel monitoraggio sanitario» parlando di una situazione che è «una vergogna nazionale».

     

    MARIO CONTE SINDACO TREVISO MARIO CONTE SINDACO TREVISO

    Su come sia stato possibile lasciar crescere l' emergenza fino a questo punto, ci sono teorie diverse. Gianlorenzo Marinese, il presidente di Nova Facility - la società che gestisce il centro - ricorda che dopo il primo allarme di giugno i 300 ospiti rimasero in isolamento per otto giorni e poi furono lasciati liberi di muoversi «senza neppure essere sottoposti a un nuovo tampone». Dall' Usl dicono che «il protocollo non prevedeva un nuovo giro di test e comunque all' interno della struttura non ci sono le condizioni di sicurezza», considerato che a giugno i medici erano stati aggrediti e sequestrati in guardiola da un gruppo di ospiti.

     

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    Ma anche ipotizzando che il focolaio di oggi non sia conseguenza diretta di quello di due mesi fa, com' è stato possibile che i 137 malati di fine luglio siano stati lasciati nelle condizioni di infettare altrettanti ospiti sani? E qui la risposta ha del sorprendente: positivi e negativi al tampone non sono mai stati separati. Si era deciso di creare, all' interno della «Serena», una palazzina dove isolare gli infetti ma in realtà non è mai stato fatto: da giugno a oggi, i profughi hanno continuato a condividere camere e spazi comuni.

     

    Marinese dice che i soliti facinorosi hanno rifiutato il trasferimento al grido «il Covid non esiste» e lui non ha «l' autorità per costringerli a fare le valigie né a indossare le mascherine o a usare il disinfettante».

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    Il prefetto Maria Rosaria Laganà conferma che non è stato possibile obbligare i contagiati a trasferirsi nella palazzina accanto: «Non ci sono i presupposti di legge. La norma impone di stare in quarantena, non di chiudere le persone in un recinto o in una stanza».

    Le fa eco il direttore generale dell' Usl Francesco Benazzi: «Ciò che è accaduto dipende dal mancato rispetto delle norme di distanziamento. Il campanello d' allarme doveva darlo la coop, garantendo l' isolamento nella palazzina e l' uso delle mascherine».

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    Il risultato è che a Treviso migranti sani e malati sono rimasti insieme, lasciando campo libero al virus. In un caso simile sempre in Veneto, a Jesolo, si era agito diversamente: alla scoperta di un focolaio nel centro gestito dalla Croce Rossa, era subito scattato il trasferimento dei positivi in un' altra struttura.

    In questo modo, almeno lì, la situazione non era peggiorata.

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