Pierluigi Panza per corriere.it
ANGELA VETTESE
«Una gaffe imbarazzante. Angela Vettese “non è matura”. Bocciata? Da chi?»: questa la notizia riportata ieri sul Giornale dell’Arte (Allemandi) da Nicolas Ballario. Angela Vettese è una delle maggiori curatrici d’arte contemporanea, critica e direttrice di musei ed è stata «bocciata» (per la terza volta) all’Abilitazione scientifica nazionale da ordinario nel raggruppamento di Storia dell’Arte, ultima di una schiera di vittime del baronismo.
I cinque commissari, Rosanna Cioffi, Cecilia De Carli, Giovan Battista Fidanza, Silvia Maddalo e Marco Pierattilio Tanzi non l’hanno abilitata giudicando i titoli da lei presentati sulla base di criteri stabiliti dall’Anvur, «che sfavoriscono chi ha successo nel mondo delle professioni e dello studio individuale e favoriscono chi staziona in università», racconta la Vettese.
I commissari hanno avuto «gioco facile» nel bocciarla: la Vettese non possiede «responsabilità di studi e ricerche scientifiche affidati da qualificate istituzioni pubbliche o private» (cioè la direzione di musei vale zero); non ha «responsabilità scientifica per progetti di ricerca internazionali che prevedano la revisione tra pari»
ANGELA VETTESE
(cioè, studiare per realizzare mostre non conta); non ha «direzione o partecipazione a comitati editoriali di riviste, collane editoriali» specie di classe A e quindi non conta nulla scrivere per Il Giornale dell’Arte, il Domenicale del Sole 24 Ore...
Le sue pubblicazioni sono (scontato) ritenute «troppo divulgative: per bocciarmi uno ha preso una parte di quanto c’è scritto su di me su Wikipedia». Morale, giudizio: «Non meritevole perché non presenta articoli di fascia A nell’Arte, superficialità e tendenza divulgativa, mancata maturità metodologica». Un classico.
Perché avviene questo?
ANGELA VETTESE
«Perché si scimmiotta un meccanismo anglosassone, privilegiando brevi saggi in rivista A con necessità del peer review, che è cosa seria in astratto, ma non sempre attendibile in pratica, mentre si depotenzia il valore delle monografie, del lavoro e dello studio individuale. Ci sono ordinari che ora non passerebbero: conosco uno che ci ha messo 10 anni a scrivere un libro fondamentale, quindi non rientrerebbe nei parametri. È un sistema studiato per delegittimare chi è all’esterno dell’università».
Cattiva legge?
celant 7
«La legge è migliore della precedente, ma si è trovato l’inganno. Il mio raggruppamento, ad esempio, L ART 04 è di critica, teoria, mercato e restauro dell’arte, ma io vengo giudicata nell’ambito della Storia dell’arte. È un sistema che penalizza chi fa studi a cavallo di discipline diverse; si è presentata una ricercatrice che ha lavorato in Inghilterra e la commissione, pur riconoscendo il valore altissimo delle ricerche, ha dichiarato che “non rientravano perfettamente nel raggruppamento disciplinare”».
La storia non è nuova, si colpisce il merito e si premia l’appartenenza.
Germano Celant
«Germano Celant disse: “Insegno se mi fanno subito ordinario di chiara fama, altrimenti non mi metto in quel tunnel. Non lo fecero. Si è perso un super professore».
Perché è così?
«È un mondo che crede di essere più importante di quello che è, ora conta poco. È abbarbicato a pseudo certezze legate a scuole, appartenenze. All’estero tu puoi entrare come ricercatore sulla base di quello che hai fatto senza la creazione di quel tunnel inventato in Italia che ti consente di accedere all’università solo dopo vari placet e do ut des che sono una spada di Damocle. Si parte con un giovane che fa la sua tesi di dottorato, metà della quale diventa articolo dell’ordinario che gli ha fatto da tutor e questo che tace».
Le famiglie hanno percezione di ciò?
«In parte. Sanno che è un mondo con qualche opacità. Io invito i figli dei miei amici ad andare a studiare all’estero».
Pierluigi Panza
Mai pensato di lasciare l’università?
«Stupidamente ho lasciato, progressivamente, la carriera di direttrice musei: ho passione per l’insegnamento».
Ci tenterà ancora?
«Ci proverò nel biennio 2020-2022, anche se la domanda è talmente complicata che ci vuole un mese solo per compilarla. Va bene per chi passa il tempo in università, ma per chi lavora...».
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